I Pacs sono l’ultima tappa di un processo di disgregazione delle relazioni umane che fanno capo al matrimonio: il rapporto genitori-figli e i legami di parentela. Non solo. Sfasciando la famiglia, è in pericolo la formazione dell’identità personale dei nostri figli. Intervista a Lucetta Scaraffia, storica ed ex-femminista.
«Tremate, tremate, le streghe son tornate!». Chissà se la storica Lucetta Scaraffia ha mai pronunciato la fatidica strofetta (in fondo, aveva vent’anni proprio nel Sessantotto…); di certo oggi, insieme a una ristretta pattuglia di amiche e colleghe – Anna Bravo, Anna Foa, Eugenia Roccella – la Scaraffia fa tremare dall’interno molti luoghi comuni del femminismo storico, firmando prese di posizione coraggiose e controcorrente rispetto alla comune mentalità “laica” su donna, bioetica, famiglia, Chiesa. Docente di storia contemporanea all’università di Roma Tre, Lucetta Scaraffia non ha avuto timore nemmeno di esporsi in occasione del referendum del 2005 sulle cellule staminali e nemmeno di stendere un libro di accuse contro le politiche demografiche delle grandi organizzazioni internazionali, Onu compresa.
Professoressa, oggi il dibattito sulle cosiddette «unioni di fatto» è molto forte in Italia. Come mai, secondo lei?
«Sta succedendo nel nostro Paese quello che è già successo negli altri Paesi dell’Occidente più industrializzato e secolarizzato. Le cause sono molte, di natura economico-sociale e culturale. In primo luogo, la rivoluzione demografica che ha portato alla diffusione su vasta scala del controllo delle nascite, e quindi alla separazione fra sessualità e procreazione, fra sessualità e matrimonio e fra matrimonio e procreazione. Il matrimonio così è stato svuotato delle sue funzioni, e si è potuto proporlo al di fuori della coppia eterosessuale. Poi l’individualismo esasperato e la fuga da ogni impegno e legame duraturo, la supervalutazione dei desideri, che devono essere inseguiti e possibilmente realizzati e che, proprio per questo, tendenzialmente, diventano diritti. Le “unioni di fatto” costituiscono un esempio molto chiaro: realizzare un desiderio impossibile, cioè avere libertà e disimpegno insieme con i vantaggi che vengono da un impegno serio e di lunga durata. Ma anche il segno della totale scissione fra coppia e sessualità, fra coppia e procreazione, aprendo la struttura familiare, nata per favorire e proteggere la procreazione, a persone che, come gli omosessuali, non la possono realizzare».
Uno degli argomenti più forti dei sostenitori dei Pacs è il riconoscimento della libertà individuale e la difesa dei diritti della coppia, quale essa sia. Che cosa dire al riguardo?
«La libertà individuale è garantita già dal fatto che ogni persona, nella nostra società, è libera di vivere con chi vuole, per il tempo che vuole. I diritti della coppia si possono pretendere solo se la coppia accetta anche i doveri, e per questo esiste il matrimonio civile, che prevede anche il divorzio. Non c’è nessun bisogno di Pacs».
Qualcuno ha proposto una sorta di «patto notarile» per tutelare le coppie di fatto. Che ne pensa: bisogna essere contrari anche a un riconoscimento «debole» di questo tipo? Perché?
«Penso che il patto notarile, che del resto già si può realizzare in varie forme, può venire accettato e potenziato, perché rimane all’interno del rapporto privato. Quello che deve essere evitato è il riconoscimento legislativo pubblico, ufficiale, il “matrimonio di seconda classe”, il “matrimonio debole”. I patti notarili non hanno niente a che fare con un matrimonio, sono un rapporto fra privati».
La Chiesa ha certamente molte e comprensibili ragioni «religiose» e morali per non condividere i Pacs. Ma in realtà ce ne sono anche parecchie dal punto di vista sociale e civile, che però non sempre emergono dal dibattito; quali sono le più forti, a suo parere di «laica»?
«I Pacs costituiscono il riconoscimento legislativo di quel processo di disgregazione dei legami sociali che fanno capo al matrimonio, e che comprendono anche la costruzione di legami di parentela e di legami economici fra le generazioni, che costituiscono il tessuto sociale della nostra società. Processo che senza dubbio causa l’indebolimento della società – del resto già riscontrato con allarme nei Paesi in cui è in atto da anni, come l’Inghilterra e l’Olanda –, ma il danno non si ferma lì. Il danno tocca addirittura la formazione dell’identità individuale, che si realizza all’interno di un rapporto con una coppia di genitori eterosessuali e che prevede l’inserimento all’interno di una catena di generazioni legate da rapporti familiari. Se tutto questo non esiste più, come si farà a definire l’identità di ciascuno? Non sapere chi si è costituisce un fattore da sempre riconosciuto come gravemente destabilizzante, basti pensare a quello che è stato per secoli un best-seller della narrativa popolare, la storia di Guerino il meschino, che affrontava mille pericoli per scoprire chi fossero i suoi genitori. I Pacs provocano dunque un cambiamento negativo per la società, cosa che è stata denunciata anche da molti intellettuali laici, specialmente al di fuori del nostro Paese, dove invece i laici sembrano tutti – le eccezioni sono veramente poche! – “a favore” di ogni deriva di modernità, e a contrapporsi a questi ci sia solo la Chiesa, che naturalmente fa appello ai valori cristiani. Penso che questo vuoto intellettuale andrebbe colmato, in modo da consentire un dibattito più equilibrato e vero, invece di un irrigidimento nelle proprie posizioni come spesso avviene».
In una recente intervista, il cardinale Lopez Trujillo ha sostenuto che «chi vuole i diritti della famiglia, si sposi», almeno civilmente. È un curioso paradosso che la Chiesa si trovi oggi a «difendere» il valore del matrimonio civile, non crede?
«La Chiesa ha sempre sostenuto – lo dice il Diritto canonico – che il matrimonio è un bene naturale e vanta, inoltre, una lunga tradizione di pragmatismo rispetto ai problemi che pone la modernizzazione della società. Meglio un matrimonio civile che una coppia di fatto, e oltretutto il matrimonio civile, riservato alle coppie eterossessuali, costituisce quindi un effettivo argine contro i Pacs. La Chiesa, soprattutto dal Concilio di Trento in poi, ha difeso sempre la famiglia, senza idealizzare gli esseri umani ma pensando che una famiglia anche molto imperfetta è sempre meglio, per i figli e per la società, che nessuna famiglia. Noi cattolici non dobbiamo difendere solo valori e ideali, ma anche capire come questi si possono inserire nella società, qual è il minore dei mali, da cui può nascere un avvicinamento alla fede più facilmente che dalla disgregazione e dall’indifferentismo».
Non si rischia che, se non si dà qualche forma giuridica alle convivenze, aumenti l’individualismo nella società?
«Non credo proprio. Credo che sia sbagliato facilitare tutto, fornire un visione annacquata di tutto. Un finto matrimonio è molto meno allettante di un vero matrimonio, che richiede capacità di rischiare e perseveranza. Che richiede serietà, sacrificio e forza morale. Noi oggi ci vergogniamo di parlare ai giovani di sacrificio, anche se sappiamo bene che, senza sacrificio, non otterranno mai nulla di buono dalla vita. Penso, più in generale, che la nostra società faccia torto ai giovani, negando loro la possibilità di confrontarsi con modelli forti e difficili, negandogli ogni speranza di scelta “eroica”. Penso che sia proprio questa una delle ragioni degli sballi in discoteca o al volante, delle pietre dai cavalcavia: un tentativo di fuga, naturalmente sbagliato, dalla piatta e bassa normalità che viene loro offerta. L’individualismo si combatte facendo comprendere il senso di legami profondi, veri, costruiti con fatica. I falsi legami contribuiscono ancora di più a ricacciare le persone nella solitudine senza speranza».
Dossier: No Pacs!
IL TIMONE – N.60 – ANNO IX – Febbraio 2007 pag. 40-41