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10.12.2024

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Pillole di apologetica
6 Marzo 2015

Pillole di apologetica

 
Confessione
Ma per ottenere il perdono dei peccati, c’è bisogno di confessarli a un prete? Sì, rispondono i cattolici, perché, istituendo il sacramento della Confessione, Gesù ha dato il potere di rimettere i peccati agli Apostoli, dunque alla Chiesa. No, dicono i seguaci di altre confessioni cristiane, che interpretano diversamente le parole di Gesù. Eppure, i cristiani dei primi tempi avevano idee chiare. Cipriano (205-258), vescovo di Cartagine, esortava chi voleva ottenere il perdono di Dio dopo aver tradito la Chiesa durante la persecuzione
scatenata dall’imperatore Decio (249-251) a confessarsi da un sacerdote: «Vi prego, o fratelli, di confessare ciascuno il proprio delitto, mentre chi ha peccato è ancora su questa terra, mentre è ancora possibile confessarsi, mentre la soddisfazione, come pure la remissione fatta per mezzo dei sacerdoti, è gradita al Signore» (De Lapsis, c. 29). Testimonianza preziosa e antica: nel III secolo, Cipriano affermava che «bisogna confessare i peccati» e che Dio perdona «per mezzo dei sacerdoti». Nella stessa opera, si legge che ai peccatori «viene purgata la coscienza con la mano del sacerdote» (c. 16). Allora come oggi, è necessario l’intervento della Chiesa per ottenere da Dio il perdono dei peccati. È il sacramento della Confessione.

Purgatorio
Noi ci crediamo, ma Protestanti, Testimoni di Geova, Valdesi e altri cristiani no. Per i cattolici, il Purgatorio è uno stato post mortem nel quale si trovano «Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna». Costoro «vengono sottoposti, dopo la morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo» (n. 1030).
Un’invenzione della Chiesa, come sostengono alcuni? O una verità sempre creduta dai cristiani? Risponde Perpetua, martirizzata a Cartagine, in Africa, il 7 marzo 203. Il racconto del suo martirio narra che, in prigione, Perpetua ebbe due visioni. Nella prima, vide il fratellino Dinocrate «morto per malattia a sette anni per una ferita al volto andata in cancrena» – al punto che «la sua morte aveva fatto inorridire tutti» – uscire «da un luogo tenebroso dove vi era molta altra gente; era accaldato e assetato, sudicio e pallido. Il volto era sfigurato dalla piaga che l’aveva ucciso». Una condizione di “sofferenza” post mortem, dunque, che muove Perpetua a pregare per l’anima del fratellino. Dio la esaudì. Nella seconda visione, Dinocrate era guarito: «Mi svegliai e compresi che la pena gli era stata rimessa». Ecco, dunque, all’inizio del terzo secolo, un chiaro riferimento a una condizione di sofferenza, non eterna, dopo la morte, dalla quale si può uscire: è il Purgatorio. I primi cristiani credevano quel che crediamo oggi noi cattolici.

Datazione dei Vangeli
Per dubitare della credibilità dei Vangeli, basta dire che sono stati composti molti decenni dopo la morte di Cristo, quando i testimoni oculari dei fatti narrati erano morti e nessuno poteva smentirli. Siamo sicuri?
Il Vangelo di Giovanni fu scritto – concordano gli studiosi – per ultimo. In un articolo pubblicato su Il Nuovo Areopago nel 1994, Julian Carron, oggi alla guida di CL, allora docente di Sacra Scrittura al Centro studi teologici San Damaso a Madrid, affermava che in quel Vangelo «molti elementi si possono spiegare solo prima della distruzione di Gerusalemme», avvenuta ad opera dei romani nel 70 d.C.
Per esempio: «Nel racconto della guarigione del malato che aspettava per essere guarito l’agitazione delle acque nella piscina si dice: “C’è (in greco: estin) in Gerusalemme, vicino alla porta delle Pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzaetà che ha cinque portici” (Gv 5,2)». Carron spiega: «Il presente dell’indicativo in cui viene data la notizia dell’esistenza della piscina (estin = c’è), mentre tutto il racconto è scritto in aroisto (cioé al passato), come se facesse riferimento a un fatto succeduto nel passato, mostra che quando questi racconti furono scritti esisteva ancora quella piscina». E conclude: «Questo si poteva affermare solo prima della distruzione di Gerusalemme, nell’anno 70». Quando, evidentemente, i testimoni oculari di quell’episodio erano vivi e avrebbero potuto smentire. Cosa che non avvenne. Né per l’ultimo dei Vangeli, né per gli altri scritti prima. â–

 
Il Timone – Marzo 2015

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