Con Pio VI (1775-1799) la cancellazione del papato dallo scenario mondiale giunge, come mai in passato, molto prossima a realizzarsi, a causa delle aggressioni tanto di forze laiciste, come Napoleone e i giacobini della Rivoluzione Francese, quanto di sovrani cattolici, come il re austriaco Giuseppe II.
La figura dignitosa e curata al limite della vanità di Pio VI, persona mite, devota, con una spiccata vocazione alla meditazione e allo studio soprattutto del Rinascimento, non sembra adatta a chi deve difendere la Chiesa dal violento anticlericalismo illuminista.
Invece, la sua accortezza e l’intensa vita di pietà, unite ad una rocciosa fermezza che gli permetterà di sopportare l’umiliante arresto e la penosa morte in esilio a Valence, sono le virtù con le quali il Papato, evitando inutili conflitti, si libera dal giogo della persecuzione rivoluzionaria recuperando il consenso, il rispetto e la stima delle Nazioni.
Giovanni Angelo Braschi nasce il giorno di Natale del 1717 in una famiglia della nobiltà decaduta di Cesena. Dopo la laurea in utroque iure nel 1735, viene in contatto tramite uno zio con il cardinale Ruffo il quale, costatatone l’acume e l’intelligenza, lo assume come segretario a Roma.
Papa Benedetto XIV (1740-1758) gli vuole conferire il canonicato di S. Pietro, ma il futuro Papa non è ancora sacerdote. Anzi, è addirittura fidanzato e in procinto di sposarsi. Tuttavia, dopo un periodo di discernimento, opta per la scelta ecclesiastica. Nel 1755, all’età di 38 anni, è ordinato sacerdote.
Il conclave che segue alla morte di Clemente XIV (1769-1774) si protrae per quattro mesi, a causa dei soliti veti incrociati da parte dei rappresentanti esteri. Il nodo principale è la soluzione del grave problema dello scioglimento della Compagnia di Gesù avvenuta due anni prima. Il cardinale Angelo Braschi soddisfa entrambi i partiti degli “anti” e dei “filo-Gesuiti”.
Amante dello sfarzo rinascimentale, Pio VI (nome scelto per la devozione al santo predecessore Pio V) non bada a spese per riportare il lusso e lo splendore a Roma che torna per qualche tempo capitale della bellezza classica. Mecenate munifico, commissiona la costruzione di edifici sfavillanti come il Palazzo Braschi per il nipote Luigi (una delle numerose concessioni al nepotismo), la sacrestia della basilica di S. Pietro, il museo Pio-Clementino, oltre ad innalzare gli obelischi di Piazza Montecitorio e di Trinità dei Monti. Ammoderna lo Stato pontificio riorganizzandone il catasto, potenziandone la rete stradale e i porti di Anzio e Terracina, tentando anche la bonifica delle paludi dell’Agro Pontino. Inutile rilevare come queste iniziative portano ben presto al dissesto delle casse vaticane.
Ma i problemi maggiori per Pio VI giungono dal rapporto con gli Stati, ormai sempre più eccitati dallo spirito della Rivoluzione Francese.
Si scontra con il re di Napoli, con Caterina II di Russia, con il granduca Leopoldo II di Toscana e, soprattutto, con Giuseppe II d’Austria (1765-1790). L’imperatore austriaco, affascinato dalla nuova filosofia dei Lumi, dà vita al cosiddetto giuseppinismo, ossia il tentativo di modificare in senso “illuminista” non solo l’ordinamento statale ma anche quello ecclesiastico, in linea con l’erroneo principio giacobino della superiorità e del potere temporale su quello spirituale. I frutti sono l’appesantimento della burocrazia per la centralizzazione dei poteri, l’introduzione della libertà religiosa e la soppressione degli Ordini contemplativi (chiusi più di 700 tra conventi e monasteri con relativo pignoramento dei beni).
Giuseppe II giustifica “dottrinalmente” le sue tendenze assolutistiche con le tesi (per altro già condannate da Clemente XIII) di Febronio, alias Johan Nikolaus von Hontheim, vescovo ausiliare di Treviri, che in un’opera pubblicata nel 1763 sottolineava, tra l’altro, la preminenza del concilio sull’autorità del Papa al quale si riconosceva solo una preminenza di “onore, distinzione e direzione”, dando l’opportunità ai governanti e ai vescovi di poter disattendere liberamente le delibere del magistero petrino.
Pio VI reagisce con fermezza evitando però lo scontro diretto. Si reca a Vienna nel marzo del 1782 per incontrare l’Imperatore, nonostante le proteste e l’indignazione di alcuni cardinali che considerano la visita una eccessiva concessione all’arroganza del potere temporale. L’incontro dimostra quanto è vivo l’affetto del popolo per Pio VI (il viaggio a Vienna è trionfale), ma non frutta risultati politici significativi.
La reazione di Pio VI è contenuta anche nel luglio del 1790, quando l’Assemblea degli Stati Generali francese approva la Costituzione civile del clero che impone ai sacerdoti il giuramento di fedeltà allo Stato. Pio VI emette la bolla di condanna della Costituzione solo l’anno successivo per evitare il probabile scisma della Chiesa francese, dopo che il clero si è diviso in una parte che ha sottoscritto il giuramento (che trasforma i preti in dipendenti pubblici stipendiati) e un’altra parte fedele al Papa e per questo perseguitata (impressionante la devozione delle carmelitane di Compiègne, processate e uccise nel 1794 in quanto “papiste”).
La situazione per la Chiesa precipita quando Napoleone entra in Italia. Con la minaccia di un sanguinoso intervento militare nei territori dello Stato della Chiesa, il Corso impone al Papa due trattati (di Bologna e di Tolentino) particolarmente avvilenti. Addirittura la pace di Tolentino del 19 febbraio 1797 prevede il pagamento di un esoso tributo in denaro alla Francia, la consegna di numerose opere d’arte e la cessione di Avignone, del porto di Ancona e delle ricche legazioni di Bologna, Ferrara e Romagna.
Ben presto si giunge all’aggressione diretta. Il pretesto che il Direttorio utilizza è l’assassinio a Roma del generale francese Duphot durante un tentativo per aizzare i romani contro il Vaticano. Con la proclamazione della Repubblica romana del 15 febbraio 1798 inizia la Via Crucis di Pio VI, anzi, del “cittadino” Angelo Braschi, catturato e deportato. I continui e faticosi trasferimenti saranno fatali per l’anziano e sofferente pontefice (gli ultimi giorni di prigionia li trascorrerà in barella).
Anche in questo grave frangente Pio VI dà ancora una volta prova di mitezza e fermezza eroiche.
Prima della morte stabilisce le regole per l’elezione del successore assicurando la continuità del ministero petrino, frustrando le speranze dei giacobini che già denominavano Papa Braschi come “Pio VI e ultimo”.
«L’espulsione del Papa dalla città di S. Pietro doveva rappresentare, secondo le intenzioni dei nemici della Chiesa, l’ultimo trionfo della Rivoluzione francese sopra l’Occidente cristiano. Fu un atto caratteristico che il generale Haller, prima di comunicare a Pio VI l’espulsione imminente da Roma, gli richiese con minaccia della forza i due anelli che egli portava al dito. “Uno posso darvene”, rispose il Papa, “perché è mia proprietà; ma l’altro deve passare al mio successore”. Era l’anello del Pescatore. Questa era la fede incrollabile [di Pio VI] nella vittoria futura della Chiesa».
(L. Von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, Vol. XVI, Roma, Desclè Ed. Pontificia, 1934).
Sandro Totti, Il martirio di un Papa, Il Cerchio, 2002.
Rino Cammilleri – Vittorio Messori, Gli occhi di Maria, Rizzoli, 2001.