Papa Pacelli operò con tutti i mezzi perché Mussolini e il Re non portassero l’Italia nel secondo conflitto mondiale. Senza riuscirvi.
Così anche il Bel Paese conobbe direttamente la tragedia della guerra
Eletto dopo un conclave-lampo ormai alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra mondiale, Pio XII (1939-1958), non appena asceso al Soglio di Pietro, tenta di tutto per cercare di scongiurare la deflagrazione del conflitto, mettendo in campo iniziative diplomatiche e lanciando, il 24 agosto 1939, il famoso radiomessaggio nel corso del quale afferma: «Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra». Gli sforzi del Papa, come sappiamo, sono inutili. E il 1º settembre, la Germania invade la Polonia. Due giorni dopo Francia e Regno Unito rispondono all’attacco.
Nei mesi successivi Papa Pacelli, oltre a dar vita ad iniziative di soccorso ai profughi e ai rifugiati di guerra, s’impegna a fondo per cercare di tenere l’Italia fuori dal conflitto.
«Sebbene non possa scendere in particolari», ha raccontato il cardinale Arcadio María Larraona durante il processo di beatificazione di Pio XII, «posso tuttavia dichiarare che il Papa fece l’impossibile per tenere fuori l’Italia dalla guerra, ma Mussolini si era troppo legato alla Germania».
Il 7 dicembre 1939, Pio XII riceve le credenziali del nuovo ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Dino Alfieri (1886-1966). Nel discorso di risposta al diplomatico, il Papa stigmatizza il pensiero che «umanizza il divino e divinizza l’umano», con parole adattabili sia all’ideologia nazista che a quella comunista. E ne prevede lucidamente la caduta: «Ognuno di questi errori, come in generale ogni errore, ha il suo tempo: il suo tempo di accrescimento e il suo tempo di decadenza; il suo meriggio e il suo crepuscolo o tramonto precipitoso. Due tempi: il tempo, quando il veleno inebriante delle dottrine seduttrici travolge e infatua le masse e a sé le avvince in suo potere, e il tempo, quando gli amari frutti maturano e gli occhi delle masse o almeno degli uomini più assennati e riflessivi li guardano atterriti, ripensando ai calcoli e alle promesse, dimostratisi fallaci, con cui sono stati attratti nell’errore. Oggi quanti occhi si aprono e si riaprono, dianzi rimasti chiusi!». Pacelli aggiunge di sperare che i suoi appelli per la pace trovino sempre un’eco «nel prode, forte e laborioso popolo italiano, che la saggezza dei governanti e il suo proprio intimo impulso hanno finora felicemente preservato dal trovarsi implicato nella guerra».
Viene fatto discretamente sapere dalla Santa Sede, anche se in via del tutto ufficiosa, che una visita del re Vittorio Emanuele III (1869-1947) al nuovo Papa sarebbe stata molto gradita, anche in memoria dell’incontro avvenuto tra i sovrani d’Italia e Pio XI (1922-1939), all’indomani della firma dei Patti lateranensi, nel 1929. Così il 21 dicembre 1939, il re e la regina sono accolti in Vaticano. Il Papa ripete alla presenza di Vittorio Emanuele III l’elogio già rivolto all’ambasciatore Alfieri: «In un momento in cui, mentre altri popoli sono travolti o minacciati dalla guerra e la tranquillità e la pace sono andate esuli da gran numero di cuori, l’Italia, invece, pur sempre vigile e forte, sotto l’augusta e saggia mano del Suo Re Imperatore, e per la chiaroveggente guida dei suoi Governanti, posa pacifica nel vivere civile».
Quella che oggi ci può apparire come una «sviolinata» a Benito Mussolini (1883-1945), peraltro neanche presente, rappresenta in realtà il tentativo di mantenere l’Italia fuori dal conflitto. In questa luce va infatti letta anche l’inedita decisione di Pio XII di fare uno strappo al protocollo, e di recarsi al Quirinale. Per la prima volta dal 1870, un successore di Papa Mastai (1846-1878), che per di più portava lo stesso nome Pio, rimette piede in quella che fu per secoli la residenza principale dei pontefici. Il 28 dicembre Pacelli è dunque ricevuto con tutti gli onori al Quirinale. Il Papa invoca sulla famiglia reale, ancora una volta, una benedizione di pace, «affinché la pace che, salvaguardata dalla saggezza dei suoi Reggitori, fa grande, forte e rispettata l’Italia in faccia al mondo, diventi ai popoli che oggi…si combattono attraverso le terre, i cieli e i mari, sprone e incitamento a future intese, le quali per il loro contenuto e per il loro spirito siano sicura promessa di un nuovo ordine tranquillo e duraturo, ordine che invano si cercherebbe fuori dalle vie regali della giustizia e della cristiana carità». Da questi pochi cenni si comprende bene, ha fatto notare lo storico padre Pierre Blet, che Pio XII «si era valso dei colloqui privati con i sovrani per insistere sulla necessità di salvare la pace dell’Italia».
«Il vero scopo di questa visita», ha testimoniato al processo di beatificazione il nipote del Papa, Giulio Pacelli, «fu quello di scongiurare il Re a non far entrare l’Italia in guerra. Il S. Padre fece presente l’assicurazione a lui data da Roosevelt di aiutare in tutti i modi l’Italia se fosse restata estranea al conflitto. Naturalmente questa fu una comunicazione allora sotto segreto… Alla cerimonia che fu solennissima per l’intervento di tutti i Principi di Casa Savoia non intervenne Mussolini, mentre invece era presente il Ministro Galeazzo Ciano». Il clima dello storico incontro è cordiale e per sottolinearlo Vittorio Emanuele accompagna il Papa fino all’auto, giù dalla scala, nel cortile del Quirinale, attendendo che il corteo parta prima di risalire nei suoi appartamenti. Pio XII desiderava che l’Italia rimanesse neutrale innanzitutto per risparmiare lutti e rovine alla sua nazione, ma anche perché la Santa Sede potesse continuare a svolgere la sua attività, senza trovarsi accerchiata (come poi effettivamente accadde) e chiusa tra i paesi in guerra. Va notato che nella lettera spedita da Mussolini a Hitler (1889- 1945) il 5 gennaio 1940, il Capo del governo italiano riferisce al Führer dell’incontro tra i sovrani e il Pontefice, minimizzandone la portata: «I recenti scambi di visite tra il Re ed il Papa hanno rivestito un carattere soprattutto interno e non internazionale. Le conversazioni sono state brevi e generali, senza condurre a decisioni o a progetti. E non sarebbe potuto essere altrimenti». In quella stessa missiva, però, Mussolini manifesta al cancelliere tedesco la sua preoccupazione per gli esiti della guerra e suggerisce come possibile soluzione la ricostruzione di uno Stato polacco indipendente sotto la protezione del Reich. È l’ultimo tentativo del duce fascista di smarcarsi dalla politica hitleriana prima dell’ingresso dell’Italia in guerra. La risposta arriva da Ciano, che di ritorno da Berlino, dove ha consegnato personalmente la lettera a Hitler, riferisce: «Sono sicuri che il 1940 ci porterà la vittoria».
Mussolini, che nel maggio 1939 aveva firmato a Berlino il Patto d’acciaio, e pur cercando di attenuarne la portata si era di fatto impegnato come alleato militare del Terzo Reich, credeva di avere ancora spazi di manovra. Ha scritto lo storico Roberto Pertici (L’Osservatore Romano, 10 giugno 2010): «Né lui né il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano si accorsero di essere, invece, saliti su un treno in corsa, e in corsa verso la guerra. Non furono cioè in grado di valutare in tutta la sua portata la politica tedesca e le sue evidenti direttrici, credendo – al solito – di poterla condizionare e frenare, magari candidandosi ancora una volta (come nella conferenza di Monaco) al ruolo di mediatori».
Dopo l’attacco tedesco alla Danimarca e alla Norvegia, nell’aprile 1940, e quindi alla Francia, il 10 maggio 1940, e le rapide vittorie dell’esercito tedesco, Mussolini comprende che non poteva più sperare di vincere il conflitto senza avervi preso parte e si convince a entrare in guerra per poter poi avere un posto al tavolo della pace che credeva imminente. A nulla sarebbero valsi i tentativi di Pio XII e del suo Segretario di Stato Luigi Maglione (1887-1944), che sapevano guardare lontano. Il 24 aprile papa Pacelli scrive una lettera personale a Mussolini, formulando ancora una volta «il voto ardente che siano risparmiate» all’Europa «più vaste rovine e più numerosi lutti; e in particolar modo sia risparmiato al Nostro e al Tuo diletto Paese una così grande calamità». Il duce, ormai decisamente incamminato verso il conflitto, risponde polemicamente e, come ha notato lo storico Philippe Chenaux, sembra quasi voler impartire al Pontefice una lezione di teologia morale, un’attitudine che non appartiene solo al passato e che abbiamo potuto riscontrare anche in tempi più vicini a noi. «La Storia della Chiesa – scrive il duce a Pio XII – e Voi me lo insegnate, Beatissimo Padre, non ha mai accettato la formula della pace per la pace, della pace “ad ogni costo”, della “pace senza giustizia”, di una “pace” cioè che in date circostanze potrebbe compromettere irreparabilmente per il presente e per il futuro le sorti del popolo italiano». Sarebbe stata l’entrata in guerra, invece, a compromettere «le sorti del popolo italiano», travolgendolo con lutti e rovine.
I tentativi della diplomazia pontificia e soprattutto la solidarietà espressa da Pio XII a Olanda, Belgio e Lussemburgo dopo l’attacco tedesco, provocheranno ritorsioni del Governo fascista contro la Santa Sede. All’ambasciatore Dino Alfieri, in visita di congedo, il quale non escludeva che potesse accadere «qualcosa di grave», papa Pacelli risponde «di non avere alcun timore di finire, se sarà il caso, in un campo di concentramento o in mani ostili», spiegando che «il Papa in certe circostanze non può tacere». In quei giorni i fascisti cercarono – invano – di impedire la pubblicazione de L’Osservatore Romano. Non essendo riuscito il tentativo, la polizia fa bloccare tutte le vendite fuori dai confini vaticani, con pestaggi ai venditori di giornali e danneggiamenti alle edicole.
Alcuni sacerdoti vengono insultati per strada, e uomini sorpresi a leggere il quotidiano della Santa Sede vengono aggrediti.
Il 15 maggio, secondo quando riferiscono i diplomatici britannico e francese Francis d’Arcy Osborne e Wladimir d’Ormesson, il Papa era uscito dal Vaticano in automobile per celebrare la messa in una chiesa di Roma e ad un incrocio l’auto avrebbe rallentato e sarebbe stata oggetto di attacchi verbali da parte di gruppi di giovani fascisti: «Il Papa fa schifo!», «Abbasso il Papa!».
BIBLIOGRAFIA
Pierre Blet, Pio XII e la Seconda Guerra mondiale, San Paolo 1999.
Andrea Tornielli, Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro, Mondadori 2007.
Philippe Chenaux, Pio XII. Diplomatico e pastore, San Paolo 2004.
IL TIMONE N. 96 – ANNO XII – Settembre/Ottobre 2010 – pag. 22 – 24