Geniale metafisico, è uno dei maggiori filosofi di sempre. Il suo pensiero è stato ripreso dai filosofi cristiani per temi come l’immaterialità di Dio, il desiderio di Dio nell’uomo, l’importanza della virtù, la descrizione del male come mancanza, la concezione del tempo e dell’eternità
Tra i maggiori filosofi di tutti i tempi va annoverato Plotino, che fu un grandissimo pensatore, capace di influenzare anche la cultura cristiana dei primi secoli. Certo, egli rimase un pagano e lo stesso sant’Agostino, che pur gli deve molto, non esitò a prendere le distanze dalle sue dottrine quando esse si dimostrarono non in grado di armonizzarsi con le fondamentali verità della Rivelazione cristiana.
Originario di Licopoli, in Egitto, Plotino nacque nel 205 e fu allievo di Ammonio Sacca ad Alessandria dal 232 fino al 243; dopo essere stato in Oriente al seguito dell’imperatore Gordiano, aprì una scuola a Roma, incontrando un notevole successo. Progettò pure la fondazione di una città dei filosofi, che si sarebbe dovuta chiamare Platonopoli, in onore del suo amato Platone. Morì nel 270. Fu il suo discepolo Porfirio a riordinare i testi che gli erano serviti per tenere le sue seguitissime lezioni.
Egli divise i 54 trattati di cui disponeva in sei gruppi di nove (in greco ennea): di qui il titolo di Enneadi dato all’opera plotiniana. Plotino viene considerato il più significativo rappresentante del neoplatonismo, una corrente di pensiero che riprende alcuni motivi dell’antica filosofia greca (soprattutto, ovviamente, di Platone, ma anche di Aristotele), ma che con il suo contributo raggiunge livelli di profondissima originalità. Il concetto chiave dell’intera speculazione plotiniana è quello di Uno, considerato il principio supremo di tutta la realtà, infinito e posto al di sopra persino dell’essere e dell’intelligenza; tale Uno, perfettamente semplice, causa incausata di tutto e che trova in se stessa la propria giustificazione, realtà che si autopone, trascendenza assoluta, non è definibile con i termini del linguaggio filosofico tradizionale: per questo viene descritto da Plotino attraverso caratterizzazioni negative, proprio per sottolinearne l’incommensurabile superiorità.
A volte l’Uno viene definito Bene: si tratta del bene assoluto e trascendente del quale tutte le cose hanno bisogno per esistere.
Da questo Uno, secondo Plotino, proviene la realtà attraverso una «processione» (o, come spesso viene detto, emanazione), che consiste nell’espansione della potenza infinita dell’Uno stesso, il quale fa «traboccare» da sé gli enti, come dal fuoco si diffonde il calore, semplicemente per il fatto che sta ardendo.
Si stabilisce così una gerarchia di sostanze, che dopo l’Uno vede lo Spirito (Nous), che è insieme Essere e Pensiero perfetti. Si tratta di un’intelligenza che pensa la totalità degli intelligibili e di una realtà di pura bellezza. Allo Spirito segue l’Anima che, volgendosi «verso l’alto», riceve l’esistenza e l’energia che poi riverserà «verso il basso», dando vita alle cose e governandole. Vi è poi il mondo fisico: Plotino considera la materia l’ultima propaggine della capacità produttiva dell’Uno, perciò la materia è limite, mancanza di positività.
In questo grande affresco metafisico viene a collocarsi anche l’uomo, che è il frutto della caduta di un’anima in un corpo: Plotino presenta tale caduta a volte come frutto di una necessità ontologica, a volte come una specie di colpa.
Proprio facendo perno sulla realtà e sulla condizione dell’anima, Plotino traccia le linee della sua antropologia. L’uomo deve curare la propria anima al fine di realizzare il ricongiungimento con l’Assoluto, che è la meta che conferisce pienezza di significato all’esistenza. L’eccessivo interesse per il corpo rappresenta, a giudizio del filosofo egizio, un grave errore, perché conduce l’anima ad allontanarsi dalla propria origine e ad invischiarsi nelle cose del mondo. La più alta attività dell’anima è la libertà, intesa come desiderio del Bene. All’uomo si presenta il compito di ripercorrere a ritroso il cammino discensivo per riunirsi all’Uno: sarà una salita da attuare mediante la spoliazione di sé, la liberazione dalle passioni e la completa rinuncia a tutto ciò che è esteriore. Secondo Plotino, già su questa terra è possibile il distacco dalla dimensione corporea e il ricongiungimento all’Uno.
Riprendendo dottrine sostenute da alcuni pensatori dell’età ellenistica, egli afferma che la realizzazione della felicità è possibile anche durante la vita terrena, pure in mezzo ai tormenti fisici, in quanto nell’uomo è presente un elemento trascendente che può unirlo al divino, sebbene il corpo sia gravato di dolori e sofferenze. Plotino indica alcune vie concretamente percorribili per ottenere questo ritorno: innanzitutto la pratica delle virtù, poi la contemplazione artistica e l’amore per il bello ideale, quindi la filosofia come esercizio della ragione, e, infine, misticamente, l’estasi, il congiungimento con Dio, che così viene a ricolmare di sé l’anima dell’uomo. In effetti, poiché le varie realtà hanno origine dall’Uno mediante un processo di differenziazione ontologica, il loro riunirsi al primo principio richiede che tale differenziazione sia superata e tolta. Per l’uomo, spogliarsi significa rientrare in se stesso e progressivamente perdere la dimensione affettiva e quella razionale, per giungere alla piena contemplazione.
Agli occhi di Plotino, questa totale spoliazione non coincide con un impoverimento o un annientamento, ma rappresenta uno straordinario accrescimento. L’estasi stessa non è uno stato di incoscienza, bensì di «super-coscienza».
Plotino – lo ripetiamo – fu un filosofo pagano e molte sue tesi non sono compatibili col cristianesimo. Tuttavia, non pochi studiosi hanno insistito su alcune somiglianze che intercorrono tra le due dottrine. Ciò è facilmente verificabile confrontando il neoplatonismo plotiniano e la filosofia di sant’Agostino, il quale – come afferma Anne-Marie Bowery – risentì molto dell’influsso di Plotino, soprattutto per quanto concerne le seguenti componenti della sua speculazione: la trascendenza e l’immaterialità di Dio, la convinzione che l’uomo non è mai separato da Dio e che in lui rimane sempre un anelito al Divino, l’importanza dell’esperienza mistica, il grande valore della purificazione della mente, la descrizione del male come mancanza e la sua riduzione a «nulla», la concezione del tempo e dell’eternità, il progetto di dar vita a una comunità spirituale di amici e discepoli. Ha scritto Vittorio Mathieu: «La filosofia della stessa religione cristiana ha tratto da Plotino un giovamento immenso; ed uno ancor più grande può trarne oggi, che la secolarizzazione ha interrotto quella continuità che legò al platonismo la Patristica e la stessa Scolastica».
RICORDA
«Le basidel neoplatonismo […] sono tratte da Platone (non senza inserimento, in altri punti, di elementi aristotelici): ma la loro elaborazione obbedisce a uno spirito nuovo; e Plotino, mentre si atteggia a semplice esegeta di Platone, sviluppa un pensiero originale e geniale, che rappresenta una delle tappe fondamentali della storia della filosofia».
(Vittorio Mathieu – Aldo Rizza, Filosofia. Storia del pensiero e delle civiltà, vol. I, Calderini, 1999, p. 256).
Plotino, Enneadi, a cura di Giuseppe Faggin, Rusconi, 1992 (questa ottima edizione del capolavoro plotiniano presenta il testo greco a fronte e contiene anche La vita di Plotino scritta da Porfirio e un’amplissima bibliografia).
Vittorio Mathieu, Perché leggere Plotino, Rusconi, 1992.
Vittorio Mathieu – Aldo Rizza, Filosofia. Storia del pensiero e delle civiltà, vol. I, Calderini,
1999, pp. 256-269.
Vittorio Mathieu – Emanuele Samek Lodovici, Filosofia della natura e caso. Attualità di una polemica plotiniana, in Rivista di filosofia neo-scolastica, 1 (1982), pp. 27-46.
IL TIMONE N. 93 – ANNO XII – Maggio 2010 – pag. 32 – 33