Il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova e protagonista della vita della Chiesa e dell’italia nel secolo scorso. Un ricordo nel centenario della nascita.
Chissà se monsignor Angelo Bagnasco, ex Ordinario Militare per l’Italia e da settembre nuovo arcivescovo di Genova, saprà ricalcare le orme del suo maestro, il cardinale Giuseppe Siri. Colui del quale don Gianni Baget Bozzo ha potuto affermare che, al tempo del Vaticano II, costrinse la Chiesa ad essere se stessa anche contro la sua stessa volontà, e che compirebbe in questo periodo i cento anni di vita. Ma il cardinale Siri, arcivescovo di Genova dal 1946 al 1987, è morto a 83 anni e solo ora, all’interno di una prospettiva storica ormai sgombra di pregiudizi e pregiudiziali, se ne può cogliere appieno la sua grandezza di uomo, di prete e soprattutto, come ha detto Giulio Andreotti nella solenne commemorazione che si è svolta recentemente nel Palazzo Ducale di Genova, di grande italiano.
Figlio di due devoti popolani (la madre Giulia era portinaia di uno stabile di Piazza Marsala, uno dei quartieri dell’alta borghesia genovese, che guardò sempre con una sorta di altezzoso distacco quell’intransigente uomo di Chiesa che mai sarebbe venuto a patti con il sinistrismo strisciante dei salotti buoni della città), Siri entrava il 16 ottobre 1916 nel seminario minore del Chiappeto, per frequentarvi il ginnasio. Ricevuta l’ordinazione sacerdotale il 22 settembre 1928 dal-le mani di monsignor Dalmazio Minoretti, un altro grande della storia dell’episcopato genovese, allievo di Giuseppe Toniolo (1845-1918) e sostenitore dell’Opera dei Congressi, il giovane sacerdote coronava con una laurea summa cum laude gli studi di teologia, per poi tornare da Roma a Genova dove c’era ad aspettarlo una cattedra presso il seminario diocesano.
Attività infaticabile, luminosa capacità di esprimere l’asprez-za della riflessione filosofica e teologica attraverso una parola vigorosa e sintetica, fanno di don Siri uno degli uomini di punta della Curia genovese. Sicché non c’è da stupirsi quando Pio XII, l’11 maggio 1944, ad appena 38 anni, lo nomina vescovo ausiliare del cardinal Pietro Botto (1871-1946).
Ma già all’orizzonte si annunciavano anni terribili. La città vive gli ultimi spasmi della guerra civile. I tedeschi controllano la città, ma i partigiani, asserragliati nelle vicine vallate, minacciano attentati ed atti di forza che provocherebbero le inevitabili ritorsioni dell’esercito germanico. Inoltre ci sono da salvare dalla deportazione innumerevoli cittadini ebrei, al cui espatrio provvede la DELASEM, un’organizzazione con sede in piazza della Vittoria, che si era specializzata a traghettare nella clandestinità una massa di disperati, che d’improvviso si trovavano braccati nella loro stessa patria.
Siri è ovunque sino al punto da attirare su di sé l’occhio delle autorità della Repubblica Sociale Italiana. Il cardinale Boetto invita il suo ausiliare a sparire per qualche tempo dalla circolazione, ma si tratta di una scomparsa temporanea, perché quando gli avvenimenti precipitano, quando i tedeschi, sotto il comando del generale Meinhold, minacciano, prima di ritirarsi, di far saltare il porto e con esso gran parte della città, ecco monsignor Siri riapparire e stipulare con gli alti gradi dell’esercito di Hitler quell’armistizio di Villa Migone che permette ai tedeschi di lasciare, indisturbati, la città e alla città stessa di sopravvivere a quei terribili anni di guerra.
Negli anni Cinquanta, divenuto arcivescovo e cardinale, il vescovo Siri si trasforma nel referente di Pio XII circa la politica della Chiesa in Italia. In quanto presidente della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, egli si oppone fermamente all’apertura a sinistra, con l’ingresso dei socialisti, ancora strettamente legati al Pci di Palmiro Togliatti, nell’area di governo. Al momento del conclave, che avrebbe portato sulla cattedra di Pietro il Patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, il prelato genovese è ancora troppo giovane per avanzare pretese. La sua età – come avrebbe scritto maliziosamente qualcuno – in caso di elezione al pontificato avrebbe fatto di lui non un santo padre ma un padre eterno.
Occorre, dunque, aspettare, ma, nel corso di quella attesa, si abbatte su Siri un avvenimento imprevisto ed imprevedibile: l’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Non che Siri non avesse partecipato ai tre anni di sessioni preparatorie, che avevano in qualche modo disselciato la strada della futura assise ecumenica. Quello che coglie il cardinale di Genova del tutto impreparato – così come, del resto, gli stessi cardinali Alfredo Ottaviani (1890-1979) ed Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo (1946-1967), – sarà invece la svolta che alcuni vescovi, soprattutto francesi e tedeschi, avrebbero impresso all’assemblea.
La concezione del pontificato come sintesi della collegialità e non come autorità da cui il collegio trae la sua stessa legittimazione (il tentativo cioè di sostituire nella Chiesa al potere monarchico del Papa quello aristocratico dell’assemblea sinodale ) e la pretesa di ridurre la rivelazione divina alla sola Sacra Scrittura, ridimensionando decisamente la Tradizione (idea che aveva il suo fondamento nella cultura di ispirazione luterana), trovano Siri su posizioni di deciso dissenso. Anche perché non sono tesi contenute nei documenti del Vaticano II, ma sono interpretazioni ideologiche di alcuni intellettuali che sopravvivono ancora oggi. La sua risposta sarà la rivista teologica Renovatio, che, sotto la guida di don Gianni Baget Bozzo, porterà avanti proprio su questo fronte la sua battaglia. Ma il ruolo di “sentinella dell’ortodossia” non avrebbe comunque impedito a Siri di porsi come mediatore tra papa Paolo VI e monsignor Marcel Lefebvre, vescovo francese di Dakar. Egli cercò sino all’ultimo di scongiurare lo scisma. Il che non toglie merito e pathos alla celebre lettera che l’ar-civescovo di Genova, il 22 luglio 1987, scriveva al suo confratello francese, al quale chiedeva “in ginocchio”, davanti alle soglie dell’eternità, di non staccarsi da Santa Romana Chiesa.
Alla morte di papa Montini, sembrò finalmente giungere l’ora del grande porporato genovese, ma fu forse la spiccata personalità di Siri a sfavorirne la candidatura presso non pochi elettori che, pur desiderando un mutamento di rotta, preferivano che questo mutamento venisse operato gradualmente e quasi impercettibilmente da un pontefice mite e riservato, come sembrava essere il Patriarca di Venezia Albino Luciani (1912-1978), piuttosto che da un risoluto custode dell’ortodossia, come era stimato l’arcivescovo di Genova.
Diverso e assai più complesso il discorso circa il conclave successivo, che si svolse soltanto trenta giorni più tardi, nell’ottobre del 1978, quando Giovanni Paolo I venne misteriosamente trovato cadavere nel proprio letto. Accadde allora un fatto davvero singolare. Siri, che questa volta sembrava il candidato favorito e che mai si era compiaciuto di rilasciare interviste di tipo sensazionalistico, smentendo se stesso ne rilasciò una a Gianni Licheri della Gazzetta del Popolo di Torino, in cui si rivelava per quello che era, vale a dire il paladino di una Chiesa che, immobile al di là e al di sopra delle tempeste del mondo, porta avanti, senza esitazioni, il suo messaggio di salvezza.
Si disse che quell’intervista, nella quale affermava tra le altre cose – «La mia cattiva fama mi ha finora risparmiato l’ele-zione» – abbia causato l’affossamento della sua candidatura nell’ambito di un conclave da cui sarebbe uscito papa Karol Wojtyla, un porporato di cui ancora si ignorava la tempra. Ma si disse anche e ancora si continua a dire che sia stato Siri stesso a volersi in quel modo autoescludere, ritenendo forse la sua elezione inopportuna nella situazione storica in cui versava quella Chiesa a cui aveva consacrato la propria esistenza. Immaginava, probabilmente, che l’intervista sarebbe uscita prima dell’inizio del conclave, anche se il redattore gli aveva assicurato il contrario, ben sapendo che le promesse dei giornalisti sono spesso simili a quelle dei marinai, e dunque poco credibili.
BIBLIOGRAFIA
Giuseppe Siri, Memorie nelle vicende genovesi 1944 – 1945, in Rivista Diocesana, maggio – giugno 1975.
Raimondo Spiazzi, Il cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova dal 1946 al 1987. La vita – L’insegnamento – L’eredità spirituale – Le memorie, Edizioni Studio Domenicano, 1990.
Benny Lai, Il papa non eletto. Giuseppe Siri cardinale di Santa Romana Chiesa, Laterza, 1993.
Alessandro Massobrio, Storia della Chiesa a Genova, De Ferrari Editore, 1999. L’edizione integrale delle opere del card. Siri è in corso di pubblicazione presso Giardini editori e stampatori in Pisa.
N. 57 – ANNO VIII – Novembre 2006 – pag. 54 – 55