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14.12.2024

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Problema Islam
31 Gennaio 2014

Problema Islam

 

 

 

Ha il coraggio di dire quello che molti pensano e sanno, ma tacciono per viltà o timore.
L’Islam sbarca in Italia. E avanza con l’immigrazione. Il cardinale Biffi avverte: in pericolo non è solo la fede, ma l’identità di un popolo. Il nostro.

 

 

Lo hanno chiamato razzista e intollerante, un vescovo che istiga all’odio. Insomma, il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, deve aver colpito nel segno ancora una volta. Sotto accusa è l’affermazione del cardinale – contenuta nella lettera pastorale del 12 settembre alla diocesi di Bologna -secondo cui, in materia di immigrazione, lo Stato italiano dovrebbe privilegiare l’ingresso di persone provenienti dai Paesi cattolici rispetto agli islamici. Non soddisfatto della prima bordata di reazioni, pochi giorni dopo, il 30 settembre, il cardinale è tornato sull’argomento intervenendo a un seminario della Fondazione “Migrantes”. E qui è finita sotto accusa la richiesta di trattare gli islamici in Italia come i non-islamici vengono trattati nei loro Paesi. Apriti cielo: su tutti i principali mezzi di comunicazione sono apparsi commenti scandalizzati. Personalmente, ho letto attentamente entrambi i documenti e ne ho ricavato l’impressione di interventi “profetici”, non nel senso comune di predizione del futuro, ma di giudizio di Dio sul presente. E perciò estremamente realistici. Cerchiamo perciò anzitutto di stabilire alcuni punti fermi contenuti nel doppio intervento:
1. Il fenomeno dell’immigrazione ha colto di sorpresa sia lo Stato italiano sia la Chiesa cattolica che – ognuna per ciò che le compete – non sono ancora in grado di dare una risposta organica e credibile.
2. Lo Stato dovrebbe disciplinare il massiccio arrivo di stranieri (che il cardinale non giudica assolutamente un fatto negativo) puntando a progetti di “inserimento che mirino al vero bene di tutti, sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni”.
3. È qui che si pone la questione delle “preferenze”. L’Italia ha infatti una storia precisa, una cultura e delle tradizioni che nella religione cattolica affondano le loro radici (Biffi parla di “religione storica” della nazione italiana). Sembra perciò logico – e “laico” – sostenere che l’inserimento sarà molto facilitato a chi proviene da Paesi che quelle radici condividono (latino-americani, filippini, eritrei, alcuni Paesi est europei) e, in secondo luogo, a chi dimostra di sapersi (e volersi) integrare “con buona facilità”, come cinesi e coreani. Del resto, aggiungiamo noi, tutti i governi a forte immigrazione si sono sempre preoccupati di attuare criteri di questo genere: di legami coloniali (Francia, Gran Bretagna e, in modo diverso, Stati Uniti) o culturali (Germania).
4. E veniamo al “caso islam”. Dice Biffi: “Gli islamici – nella stragrande maggioranza e con qualche eccezione – vengono da noi risoluti a restare estranei alla nostra ‘umanità’, individuale e associata, in ciò che ha di più essenziale, di più prezioso, di più ‘ laicamente irrinunciabile ‘: (…) essi vengono a noi ben decisi a rimanere sostanzialmente ‘diversi’, in attesa di farci diventare tutti sostanzialmente come loro”. C’è qualcuno che, dati alla mano, può smentire questa affermazione? Bisognerebbe guardare a cosa sta accadendo nel mondo per rendersi conto di quanto realiste siano le parole dell’arcivescovo di Bologna. Ad esempio, alcuni anni fa una serie di incidenti nelle periferie parigine – dove gli immigrati islamici sono praticamente i padroni – aveva fatto emergere con chiarezza il sentimento di quella comunità: “Non siamo islamici francesi, ma islamici in Francia”, ripetevano con chiarezza i leader. Vale a dire: non abbiamo alcuna intenzione di integrarci, ma vogliamo che le leggi cam-bino a nostra misura. Giustamente il cardinale Biffi fa notare che con questa impostazione ci si troverà ben presto davanti a laceranti battaglie (il giorno festivo, il diritto di famiglia, la concezione dello Stato e della giustizia). E chi pensa che una pacifica convivenza possa essere possibile una volta che gli islamici raggiungano un numero significativo, dovrebbe guardare a ciò che sta avvenendo nelle Isole Molucche: la causa principale del massacro che va avanti da due anni è il tentativo di islamizzazione di un arcipelago che – a causa del passato coloniale – fino a pochi anni fa era a maggioranza cristiana. È giusto ritenere che, anche in questo caso, molti dei musulmani arrivati nelle Molucche siano persone paci-fiche alla sola ricerca di un terreno da coltivare, ma non si può ignorare che chi ha favorito tale migrazione aveva anche altro in mente. Così quelli che nel gennaio ’99 sono iniziati come scontri inter-etnici, si sono trasformati – con l’arrivo dei volontari per la “guerra santa” – in una vera e propria “pulizia etnica” a danno dei cristiani, costretti a fuggire e disperdersi in altre isole dell’Indonesia. Un esempio troppo lontano? E allora guardiamo a cosa è successo in due Paesi più vicini, esempi di pacifica convivenza interreligiosa: in Libano la guerra è scoppiata a metà degli anni ’70 come conseguenza dell’arrivo massiccio di profughi palestinesi (musulmani in stragrande maggioranza). Certamente c’erano motivi politici e militari per questo improvviso afflusso e per la successiva guerra civile, ma è un fatto che alla fine della guerra i cattolici – che prima erano maggioranza – si sono ritrovati in minoranza in un Paese che da indipendente è passato sotto tutela siriana. Qualcosa di analogo è accaduto in Bosnia in tempi ben più recenti: anche se la comunità internazionale si è giustamente commossa per i musulmani brutalizzati dai serbi, anche qui è un fatto che alla fine della guerra la composizione etnica della Bosnia è cambiata a tutto danno dei cattolici, anche perché i musulmani hanno potuto contare sull’aiuto economico e militare dei Paesi islamici (Arabia Saudita in testa). E a proposito di Arabia Saudita non si può non accennare alla questione della reciprocità: come non ricordare che questo Paese ha finanziato pesantemente la costruzione della moschea di Roma mentre sul suo territorio non è permessa neanche una cappella cristiana o un segno di croce? L’Arabia Saudita è considerata luogo sacro dell’islam, si replica. Forse che Roma non è la capitale della cattolicità?
Non si vuole con questo creare allarmismi, promuovere crociate o creare discriminazioni. Ma uno Stato “laico” non può non porsi il problema di come garantire una pacifica convivenza per il bene di tutti e come evitare che il diritto di una minoranza sia esercitato a danno della maggioranza.
5. Ma un ultimo punto va bene fissato, perché è stato trascurato da tutti quanti hanno commentato gli interventi di Biffi: il compito dei cattolici. Di fronte agli immigrati, dice il cardinale, il primo compito è evangelizzare e riguarda cia-scun cattolico. L’azione di assistenza sociale può coadiuvare questo compito, ma non lo può sostituire. Come cattolici siamo chiamati a testimoniare Cristo, non a fare gli assistenti sociali. Consentire perciò l’uso delle chiese per la preghiera islamica, tanto per fare un esempio, è un grave errore. Ecco perciò a cosa ci deve stimolare il doppio intervento del cardinale Biffi: a vivere maggiormente la fede e a testimoniarla a tutti. Altro che razzismo e intolleranza: una fede cattolica forte è antidoto a ogni futura violenza.

IL TIMONE – N. 10 – ANNO II – Novembre/Dicembre 2000 – pag. 16-17

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