Bellezze della religione cristiana
Quasi in contemporanea, nel 1802, il maggior romanziere romantico di Francia dava alle stampe, nella Parigi rivoluzionaria e irreligiosa, il capolavoro Genio del cristianesimo (ed. Messaggero): era Francois-René de Chateaubriand.
Allora come ora, un buon modo per un artista per cadere in disgrazia era pubblicare un elogio della fede. Il francese ne ebbe il coraggio, e fu un successo sorprendente. Fu singolare che una voce chiara a favore della cristianità provenisse dal paese degli illuministi e di Napoleone… Chateaubriand restaurava senza mezzi termini il sentimento imborghesito dei parigini suoi contemporanei e osava intitolare capitoli come “I santi”, “Gli angeli”, “II purgatorio”, e mostrò per immagini come l’incredulità fosse causa di decadenza del gusto.
Famose, e da riscoprire, le pagine sulle devozioni popolari, sul suono delle campane, sulla quiete delle domeniche cristiane, sulla pace celeste che spira tra le tombe del camposanto. Chateaubriand rispose al quesito “Come sarebbe il mondo se il cristianesimo non fosse apparso sulla terra?”
allineando esempi illuminanti: il più grande avvenimento mai capitato tra gli uomini fu la venuta di Gesù Cristo; sotto tutti i rapporti, il Vangelo ha cambiato gli uomini, ha fatto fare loro un passo immenso verso la perfezione.
Gli anticattolici antitaliani hanno torto
In quegli anni di sovvertimenti rivoluzionari, Alessandro Manzoni era un adolescente affascinato dalle idee parigine. Ma una volta riapprodato alla fede, lasciò all’apologetica un’opera di grande valore: Osservazioni sulla morale cattolica (Bur), redatta nel 1820-22. Chi si avventurasse tra le dense pagine del trattato, scoprirebbe che l’autore dei “Promessi sposi” aveva confutato le false accuse dei moderni: che l’Italia fosse un paese arretrato per colpa dello Stato Pontificio, che la mancanza di una riforma protestante fosse l’origine dei problemi della Penisola. Manzoni analizza e ribalta le (erronee) idee circolanti; usa l’antico metodo patristico amate ‘ gli uomini, combattete le idee e riesce nell’intento. Peccato che per oltre un secolo i connazionali non abbiano potuto leggerlo: potenza delle élite intellettuali.
Dio strabenedica quegli inglesi
Dobbiamo salpare dal continente verso l’isola di Albione e attendere un nuovo secolo, se vogliamo trovare grandi scrittori che difendono la fede a proprie spese.
G.K.Chesterton fu uno scrittore poliedrico e reagì agli orrori della “Belle Epoque” anche con iniziative pratiche: e nel 1908, prima di convertirsi al “papismo”, prima di diventare famoso come l’autore delle avventure di Padre Brown, scrisse un saggio paradossale ed edificante, una difesa del sovrannaturale e della poesia naturale della realtà, e lo intitolò Ortodossia (Piemme).
Vi mostrava l’assurdità del vivere moderno, quando gli uomini sono convinti di “pensare con la propria testa”; indicava la via dell’avventura nell’abbracciare il cristianesimo. Nel 1930 pubblicò La resurrezione di Roma (IPL), saggio brillante che svela i dolci segreti dell’eternità dell’autorità spirituale del Papa. Persino un gran maestro della letteratura agnostica, come J.L.Borges, disse che “nessuno scrittore mi ha dato tante ore felici come Chesterton”.
Il quale non fu l’unico dono letterario dell’Inghilterra alla religione cristiana nel Novecento. Nel 1939, il poeta T.S.EIiot diede alle stampe L’idea di una società cristiana (Gribaudi): una riflessione sull’unica religione che, distinta dal paganesimo, esige una vita naturale; che ammonisce circa il cosiddetto progresso, il quale chiederà alle generazioni future un.prezzo carissimo; che illustra l’origine e il destino di ogni figlio di Dio.
E risalgono al 1952 le conversazioni radiofoniche che C.S.Lewis raccolse con il titolo di Il cristianesimo così com’è (Adelphi): sono discorsi sulle cose ultime della vita, svolti in modo accessibile. Gesù vi appare come il sale che da sapore alla pietanza perché “con Cristo e noi accade qualcosa di simile.
Più togliamo di mezzo ciò che ora chiamiamo il nostro io, e ci lasciamo condurre da Lui, più diventiamo veramente noi stessi”. Di questo breve elenco, che potrebbe continuare, conta il metodo: leggere (e far leggere) non tanto ciò che piace, quanto ciò di cui abbiamo bisogno.
IL TIMONE N. 18 – ANNO IV – Marzo/Aprile 2002 – pag. 46 – 47
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