La guerra del Vietnam (1973-1975) ha segnato un’epoca: era il tema principale della “contestazione antiamericana” (come oggi la globalizzazione), il più dibattuto sui giornali, nella politica italiana. Tutto è iniziato nel 1945, quando i francesi ritornano nel Vietnam che avevano colonizzato e nel 1940 ne erano stati scacciati dai giapponesi.
Il 2 settembre 1945 Ho Chi Minh proclama la repubblica del Vietnam, col sostegno entusiastico del popolo vietnamita. Subito dopo inizia la guerra contro i francesi e i nazionalisti si dividono: i Viet-Minh (comunisti) eliminano i partigiani cattolici, buddisti e democratici, instaurando nelle zone “liberate” una dittatura di tipo staliniano.
Nel biennio 1947-1949 i partigiani cattolici fondano una loro “Repubblica democratica del Vietnam” in un territorio ampiamente abitato dai cattolici (Phat-Dieme BuiChu), ma soccombono sotto l’attacco dei Viet-Minh, che vincono anche contro i francesi (7 maggio 1954 a Dien Bien Phu).
La guerra termina con la pace di Ginevra (luglio 1954), che divide il Vietnam in due stati: il Nord con Ho Chi Minh e il Sud con un governo democratico. Incomincia la guerriglia dei Vietcong (partigiani comunisti) contro il governo di Saigon, che nel 1955, a causa della guerriglia fomentata dal Nord, diventa una dittatura militare filoamericana col cattolico Ngo Dinh Diem.
Dal Nord fuggono più d’un milione di vietnamiti (molti cattolici) che scappano al Sud.
Il Nord, spalleggiato da Cina e Urss, sosteneva apertamente i Vietcong, violando il patto di pace di Ginevra. Nell’ottobre 1963 John Kennedy manda i primi militari americani nel Sud Vietnam, per difendere l’alleato sud-vietnamita (come qualche anno prima aveva difeso l’alleato sud-coreano).
La guerra del Vietnam, prima ignorata dalla stampa mondiale, improvvisamente balza sulle prime pagine dei giornali.
Durante il Concilio Vaticano II ho intervistato l’arcivescovo di Saigon, mons. Nguyen van Binh, che mi ha detto: “Noi vescovi del Vietnam non siamo contenti di come la stampa europea parla del nostro paese. Vieni a trovarci, ti farò visitare tutto il Vietnam”.
Nel 1967 ci sono andato. 2000 giornalisti occidentali vivevano negli alberghi di Saigon, vedevano da aerei ed elicotteri americani le battaglie e poi facevano inchieste sulla corruzione e la violazione dei diritti dell’uomo da parte del governo del Sud.
Tutto il male da una parte (il Vietnam del Sud), tutto il bene dall’altra (il regime comunista del Nord ed i Vietcong), che prometteva la “liberazione” del popolo.
Viaggiando nelle campagne e sui monti, ho visto che dai territori “liberati” dai Vietcong la gente scappava raccontando di un regime molto più oppressivo di quello messo in atto nel Sud Vietnam da Van Thieu.
Nessuno scappava nel senso opposto, verso i Vietcong o il Nord Vietnam o i Khmer Rossi cambogiani.
Nel Sud Vietnam esistevano forze popolari che non volevano né la dittatura di Thieu né la dittatura del Nord Vietnam, ma pace e libertà per tutti. Era la “terza forza”, nata da cattolici e buddhisti, che faceva manifestazioni per la pace, riempiva le carceri del regime di Saigon ed era uccisa nei villaggi dai Vietcong. La Chiesa lamentò, dal 1960 al 1973, 2.800 catechisti uccisi a casa propria, uno per uno: i “liberatori” creavano il vuoto per poter dominare un popolo senza capi.
La posizione della terza forza era chiara: condanna del regime dittatoriale di Van Thieu, ma anche del totalitarismo comunista imposto da Ho Chi Minh al Nord; richiesta agli americani di abbandonare il Vietnam del Sud e al Nord Vietnam di non imporsi con la violenza ad un paese diviso da un trattato di pace (come Corea e Germania).
Questa “terza forza” ha avuto un peso notevole nel far cessare la guerra, indebolendo il fronte interno di resistenza ai guerriglieri comunisti: venne riconosciuta come forza politica dagli ” accordi di Parigi” dell27 gennaio 1973, che determinarono la partenza degli americani (l’ultimo combattente americano si imbarcò il 27 marzo 1973), il rapido decadimento del regime di Thieu e il dilagare delle armate nord-vietnamite fino alla conquista di Saigon nell’aprile del 1975. Gli accordi di Parigi riconoscevano alla “terza forza” precisi diritti nel dopo guerra: libertà di stampa, di religione, di fondare partiti e sindacati, di partecipare ad elezioni libere e pluraliste, ecc. Nessuno di questi patti è stato rispettato e il mondo internazionale non ha più parlato della “terza forza”: in Italia gruppi, associazioni, sindacati, giornali che si erano battuti per la pace e la libertà hanno chiuso gli occhi. La dittatura comunista venuta dopo la guerra non interessava più: era definita “Iiberazione del popolo”. I bonzi buddisti che negli anni 1975-1976 si sono immolati dandosi fuoco per protestare contro la dittatura imposta con la violenza, non hanno più avuto fotografi e televisioni a riprenderli e sono stati ignorati dalla stampa internazionale: il Vietnam era ormai tutto pacificato e “liberato”! Il milione e mezzo di “boat people” che fuggivano dal Vietnam negli anni 1975-1982 commossero il mondo occidentale: la minoranza che s’è salvata dalle guardie costiere vietnamite e dalla furia dell’Oceano e dei pirati è stata accolta in Europa e Nord America (3.000 circa in Italia).
Con l’aprile 1975 inizia per cattolici e buddisti un’interminabile persecuzione, che ha attraversato varie fasi ed ancor oggi è tutt’altro che terminata. In Vietnam i cattolici sono circa il 9-10% dei 70 milioni di abitanti. Il regime li ostacola in ogni modo (ad esempio limita le ordinazioni sacerdotali che devono dipendere da permessi speciali), ma conversioni e vocazioni sono in aumento. La Chiesa del Vietnam, che viene da secoli di martirio, quando sarà libera potrà essere importante per mandare missionari in altri paesi asiatici.
Laos e Cambogia, protettorati francesi e paesi liberi dopo il 1945, sono stati coinvolti nella guerra del Vietnam. Il Laos, occupato dai nord-vietnamiti (vi scorreva il “sentiero di Ho Chi Minh” da cui passavano uomini e armi verso il Sud), è ormai una provincia vietnamita. Lo stesso destino attendeva la Cambogia. La pressione vietnamita verso i due regni vicini è un fatto storico che risale a secoli addietro: i vietnamiti, molto più numerosi degli abitanti di Laos e Cambogia (oggi 70 milioni contro cinque e otto dei due paesi confinanti), nell’Ottocento avevano occupato vaste regioni laotiane e cambogiane. Dopo la metà del secolo XIX i francesi stabiliscono il loro potere sull’intera Indocina, fissando precise frontiere (tutta la regione di Saigon e il delta del Mekong appartenevano alla Cambogia, ma sono rimasti al Vietnam).
Quando nel 1930 Ho Chi Minh fonda ad Hanoi il partito comunista, lo chiama “indocinese” per comprendervi anche i compagni laotiani e cambogiani. La lotta contro il colonialismo francese e poi contro l’intervento americano è infatti condotta dal partito comunista indocinese sia in Vietnam che in Laos e Cambogia. Ma mentre in Laos la vittoria finale nel 1975 contro il governo reale alleato degli americani apre le porte al dominio vietnamita, in Cambogia la situazione è diversa. Infatti, nel 1966 nascono i Khmer rossi (“khmer” è la Cambogia, i cambogiani), che già durante la guerra si separano dai compagni vietnamiti, per impedire che il paese diventi una provincia del Vietnam.
Così, nell’aprile 1975, scomparsi gli americani e i governi loro alleati, i Khmer rossi hanno nuovi nemici da cui guardarsi: i VietMinh (comunisti nord-vietnamiti) e i Vietcong (sud-vietnamiti). In quel tempo di forte contrasto fra Urss e Cina, il Vietnam era alleato dell’Urss e i Khmer rossi della Cina. Questi ultimi, guidati da Poi Pot, impongono un regime di spaventosa violenza, dandogli una coloritura ideologica: la piena realizzazione del “maoismo” che Mao, nell’immensa Cina, non era riuscito a realizzare.
L’idea guida era di creare una Cambogia socialista, ripartendo dalle foreste e dalle risaie e distruggendo qualsiasi eredità feudale (del regno cambogiano) e coloniale (francese e americana).
Entrando nella capitale Phnom-Penh il 17 aprile 1975, i Khmer rossi scacciano tutta la popolazione cittadina (circa 300.000 persone), come avviene in altre città: persino i malati dagli ospedali, gli anziani, i bambini. Tutti a disboscare le foreste per piantare il riso e creare un paese nuovo e una cultura nuova. Chiunque era sospetto di essere istruito o religioso o di ascendenza vietnamita oppure oppositore del regime veniva ucciso. Si calcola che in quattro anni i Khmer rossi di Poi Pot abbiano ucciso o fatto morire di fame e di stenti (o obbligato a fuggire in Thailandia) circa due milioni di cambogiani: un genocidio di proporzioni enormi, incredibile, che fa impallidire i massacri nazisti e staliniani. Nell’estate 1977 Poi Pot è in Sri Lanka per un convegno internazionale; un giornalista gli chiede: “Si dice che mancano due milioni di cambogiani. Dove sono finiti?”. Risposta: “Si vede che non servivano alla costruzione del socialismo”.
Il mondo inorridisce di fronte a questa violenza pazza. Nel gennaio 1979 l’esercito vietnamita occupa la Cambogia, i Khmer rossi si rifugiano nelle foreste del centro e nord-ovest ai confini con la Thailandia: dominano nei campi profughi in Thailandia e conducono la guerriglia contro il governo instaurato dal Vietnam a Phonm-Penh col premier Hun Seno Dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, l’esercito vietnamita abbandona la Cambogia. Ricomincia la guerra fra Khmer rossi e il governo di unità nazion-ale e poi fra la parte governativa di obbedienza vietnamita (Hun Sen) e quella nazionalista e democratica con Norodom Ranariddh, figlio del principe Sihanuk. Nel 1998 i Khmer rossi si arrendono e la pace torna in Cambogia, col primo ministro Hun Sen e il presidente Ranariddh. Una pace precaria, ma il paese si sviluppa economicamente e socialmente e torna la libertà religiosa.
In Cambogia i cattolici erano circa 60.000 (in maggioranza vietnamiti). Dopo i Khmer rossi ne erano rimasti 6.000, uccisi il vescovo Salas e tutti i preti. Dal 1989 ritorna la Chiesa, con le suore di madre Teresa (chiamate dal governo per curare i mutilati e i bambini abbandonati) e il loro cappellano p. Toni Vendramin, missionario del Pime in Bangladesh.
Oggi ci sono in Cambogia tre diocesi e circa 30.000 cattolici. Il Pime è presente con una parrocchia e vari progetti approvati dal governo, fra cui quello di ricostruire due facoltà dell’università nazionale totalmente distrutta (sociologia e filosofia), in collaborazione con università italiane e asiatiche e con i finanzia menti della Conferenza episcopale italiana.
3000 “Boat people” in Italia
Con la “liberazione” di Vietnam e Cambogia (aprile 1975), incomincia la fuga di popolo dai due paesi. Nel 1976 p. Gheddo denunzia su “Mondo e Missione” e nel suo libro – “Cambogia: rivoluzione senza amore” i massacri dei Khmer rossi. È il primo che ne parla in Italia. Pochi ci credono: dopo l’esaltazione della “guerriglia di liberazione” e la conquista del potere da parte dei comunisti, prevaleva l’opinione che i profughi erano “collaborazionisti degli americani” o “non avevano voglia di lavorare per la ricostruzione” .
Nel dicembre 1978 il Centro Pime di Milano invita il francese mons. Paul 8eitz, vescovo di Kontum, espulso con i suoi missionari dopo 38 anni di Vietnam. Quel che dice Seitz suscita polemiche: Vietnam e Cambogia stanno diventando un nuovo “gulag” comunista; oggi il popolo sta molto peggio che sotto il regime appoggiato dall’America, che pure era una dittatura (ma allora non scappava nessuno); la gente fugge a rischio della vita perché non vuole vivere in un sistema che soffoca ogni libertà e perseguita le religioni. In Italia, a quel tempo, questo non lo si poteva dire. Il Centro missionario Pime di Milano era protetto dalla polizia quando si facevano manifestazioni o conferenze su questo tema. Gheddo era invitato in varie città e fortemente contestato e minacciato.
Il 18 dicembre 1978 il Centro Pime lancia un appello ai Presidenti della Repubblica e del Consiglio affinché l’Italia accolga la sua parte di “boat people”. Il primo firmatario è il Card. Giovanni Colombo, seguono migliaia di persone comuni. Molti parroci scrivono impegnandosi per l’ospitalità, la Carotas si dichiara pronta a coordinare l’accoglienza. Ma ancora una volta l’Italia si divide sul Vietnam, come già durante la guerra: i profughi non meritano di essere accolti perché tradiscono i loro popoli. Al Centro Pime si costituisce una “segreteria profughi Vietnam”: vi lavorano a tempo pieno molti giovani di Comunione e Liberazione e di Gen-Focolarini, per mostre, conferenze, incontri di scuole e parrocchie, comunicati stampa, dibattiti pubblici.
Il 25 giugno 1978 il Primo Ministro Giulivo Andreotti riceve a Palazzo Chigi i due missionari promotori della campagna, Giacomo Girardi (direttore del Centro Pime) e Piero Gheddo (“Mondo Missione”). Ringrazia per quanto s’è fatto e informa che tre navi militari vanno a raccogliere i “boat people” nei mari di Vietnam e Cambogia. Lo scopo della campagna è raggiunto: le adesioni raccolte (1.687 adozioni di bambini, 862 ospitalità a famiglie con offerte di lavoro) sono passate alla Caritas; il miliardo di lire ricevuto è stato distribuito da p. Giancarlo Politi (vice-direttore del Centro Pime), che nel luglio 1979 visita i campi profughi di Thailandia, Malesia, Hong Kong e Macao.