Da G.K. Chesterton a Rino Cammilleri. Quando gli scrittori cattolici raccontano storie di delitti e di misteri. Il giallo come risposta a un’esigenza insopprimibile del cuore dell’uomo: la ricerca delle cause più profonde delle azioni umane.
Notizia battuta dalle agenzie il 3 dicembre 2004: il romanziere messicano Paco Ignacio Taibo Il e il subcomandante Marcos, capo guerrigliero zapatista, scrivono un giallo insieme. Verrà pubblicato a puntate sul giornale messicano "La Jornada", i cui diritti d'autore saranno versati a una ONG che sviluppa progetti a favore delle regioni controllate dagli zapatisti. Conclusa la pubblicazione di "Commissione d'inchiesta", il romanzo diventerà volume per le edizioni spagnole e sarà poi tradotto in Italia, Francia, Stati Uniti e Turchia.
La notizia non suscita entusiasmi, l'opera non sarà un granché; eppure chi vuole scrivere un libro "che sia letto", scrive un giallo. Prima di G.K. Chesterton e Agatha Christie, grandi autori hanno frequentato il genere: Manzoni, per fare un nome; ma anche Guareschi e Graham Greene e Flan-nery O'Connor furono narratori "gialli" in senso lato. O no?
Rino Cammilleri entra in questa tradizione con le "dieci piccole indagini" appena pubblicate sotto il titolo de I delitti della stanza chiusa (Piemme, 2004, pp. 143, € 9.90). Un esordio che, con ap-prezzabile senso dell'humor, ascrive all'amico Marco Beck, sollecitatore paziente e insistente per anni (<Della prima, giudicherà i lettore: ci sono omaggi a tutte le grandi firme del genere, e ciò è segno di originalità. Nell'introduzione Cammilleri spiega, senza svelarlo, uno degli arcani del suo libro, quando prevede le possibili obiezioni confessionali circa il suo lavoro di scrittore: ipotizza l'imputazione di introdurre Dio come attore nelle sue storie, o di non introdurlo affatto. E risponde: «Evelyn Waugh, accusato, rispondeva semplicemente che per lui quell'azione era più reale di tante altre e che senza Dio la vita stessa non avrebbe senso. Quanto queste dieci piccole indagini siano effettivamente "cattoliche" non saprei dire. Comunque, avverto subito che è cattolica la filosofia che le sottende e pervade. Tuttavia, mi si passi il paragone, Tolkien è stato capace di fare un'opera esplicitamente cattolica senza mai nominare nulla di religioso».
Infatti, le altre qualità del narratore "giallo" sono saper maneggiare il cuore dell'uomo con lievi mani e vedere l'invisibile attraverso il visibile. Nel caso del romanzo giallo si tratta, per di più, di "aprire la porta della stanza chiusa". Che può contenere anche sgradevoli sorprese, come il peccato.
«Qualcuno, forse, osserverà – prosegue Cammilleri – che la descrizione di un'umanità dedita al vizio e al peccato mortale, tipica del genere giallo, mal si addice alla visuale cattolica. Risponderò che ben due terzi della Divina Commedia non sono altro che una rassegna di viziosi. Nel giallo ogni delitto è punito e ogni nefandezza rivelata. E c'è sempre qualcuno che lotta per la verità e la giustizia. Tracce, sparse qua e là, che rimandano alle opere di quei giganti. Al lettore attento (e informato) il trovarle. Sarà l'undicesima piccola indagine».
La travolgente diffusione del genere "giallo" nel corso del Novecento è stata una risposta, parziale, a un'esigenza insopprimibile del Cuore dell'uomo: la ricerca delle cause, dei moventi profondi delle azioni. Sul palcoscenico nascosto dell'anima, nel medioevo cristiano i mistici ambientarono i propri drammi spirituali, da veri conoscitori dei reconditi dello spirito: si vedano per esempio i Dialoghi drammatici (Garzanti, 2002) della badessa tedesca Rosvita di Gandersheim, scritti nel X secolo e riscoperti solo in tempi recenti.
Si può però azzardare che oggi, nell'epoca della secolarizzazione, gli esperti dei simboli del Cuore siano alcuni fini osservatori dell'agire dell'uomo. Proprio perché artisti e, spesso, cristiani.
Consideriamo infatti un aneddoto poco noto, risalente ai decenni scorsi: sul Times del 6 luglio 1971 appariva Appeal to Preserve Mass Sent to Vatican, il testo di un memorandum alla Santa Sede sottoscritto da un gruppo di intellettuali, personalità del mondo della cultura e dell'arte di lingua inglese. Tra i tanti nomi noti, suscitò maggior impressione quello della celebre scrittrice Agatha Christie. A quanto si dice la sua adesione avrebbe impressionato molto lo stesso papa Paolo VI il quale, anche e soprattutto in seguito a questo appello, diede il permesso di celebrare la messa antica per l'Inghilterra e il Galles, il cosiddetto "indulto di Agatha Christie". È un fatto marginale, è vero, ma eloquente di una sensibilità: la scrittrice britannica non era soltanto una maestra della tipologia classica del whodonit (cioè la ricerca del colpevole)…
I dieci omicidi raccontati da Cammilleri sono dunque l'ultima filiazione di tale nobile discendenza: le vicende avvengono tutte all'interno di una stanza chiusa e in ogni caso c'è una figura religiosa, nei panni della vittima o dell'eroe. Quattro pareti sigillate a prova di killer e di acqua santa: eppure un assassino c'è quasi sempre. Inoltre si spazia nel tempo: dalla Francia dell'anno di grazia 1273 ai reduci della guerra di Crimea, dall'America in preda a rigurgiti nazionalsocialisti all'Irlanda bigotta. Ogni vicenda interseca due storie, della guardia e del ladro, che s'incontrano per poche pagine e quindi si divergono per sempre. Per Cammilleri il detective non è mai una persona qualsiasi: è una personalità complessa, difettosa e arguta. In quel che fa, ci mette cuore. È il caso del prete che smaschera un assassino grazie ad un riflesso, dell'esperto di enigmistica che si fa descrivere la scena del crimine e individua il killer, dell'investigatore privato dal passato poco limpido, capace di ricordarsi dei suoi trascorsi per camuffarsi e fare piazza pulita in una stanza buia.
IL TIMONE – N. 40 – ANNO VII – Febbraio 2005 pag. 52-53