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9.12.2024

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Quando la Sapienza perde la ragione
31 Gennaio 2014

Quando la Sapienza perde la ragione

 

 

 

 

Un gruppetto di docenti e studenti impedisce la visita di Benedetto XVI all’Università di Roma. Un oltraggio senza precedenti al Papa, un attacco alla libertà di tutti. Con la complicità della classe politica. Ecco cosa ci attende…

«Libertà, libertà", hanno scandito i pellegrini presenti all'Udienza generale del Papa di mercoledì 16 gennaio in Aula Paolo VI. "Libertà, libertà", ha fatto eco una gremitissima Piazza San Pietro la domenica successiva per la recita dell'Angelus con Benedetto XVI. La solidarietà al Papa per l'incredibile e inqualificabile censura operata dall'Università "La Sapienza" di Roma si è trasformata così in una corale invocazione alla libertà. Un gruppetto di docenti (67 su circa 4.500) e di studenti (qualche centinaio a fronte di 135mila iscritti) hanno infatti creato un clima tale da indurre il Papa, per motivi di sicurezza, a rinunciare al previsto intervento all'inaugurazione dell'Anno Accademico, il 17 gennaio. È un fatto senza precedenti, l'offesa più grave rivolta a un Papa – è stato detto – da oltre un secolo.
Il grido della folla che invoca "libertà" si è alzato spontaneo non solo per il becero tentativo di chiudere la bocca al Papa, ma perché in quel gesto è presente un allarme per tutta la nostra società. Perché ciò che è accaduto alla Sapienza non è solo un oltraggio al Papa e alla Chiesa, è una minaccia alla libertà di tutti.
Il perché lo ha spiegato indirettamente lo stesso Benedetto XVI nel discorso che avrebbe dovuto tenere alla Sapienza e che invece è stato diffuso a mezzo stampa. La libertà, ha detto, è strettamente connessa alla «vera, intima origine dell'università» che sta «nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuoi sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità». Libertà e verità dunque vanno di pari passo, ma la verità, avverte il Papa «significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene». Tanto è vero che proprio mentre viviamo in un'epoca che ha visto un enorme sviluppo dei suoi saperi – basti pensare alla ramificazione delle Università – tutto ciò non corrisponde affatto a una maggiore consapevolezza della verità. Al punto che, dice ancora Benedetto XVI «il pericolo del mondo occidentale è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità». Il problema sta tutto nella ragione che, correttamente intesa, è esigenza di verità (non per niente il Papa ha citato «l'interrogarsi di Socrate» come la molla da cui nascono le Università occidentali) e per questo si apre alla totalità. In Europa sembra però accadere il contrario: «Se la ragione – sollecitata dalla sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma».
Il giudizio non potrebbe essere più chiaro: il problema di docenti e studenti della Sapienza sta tutto nell'uso distorto della ragione. AI punto di scivolare nel ridicolo: non solo per il motivo magistralmente espresso dal nostro direttore nell'editoriale di questo numero; o per il fatto di aver chiuso la porta in faccia a un docente che all'attività universitaria ha dedicato una parte importante della sua vita. C'è anche quella assurda pretesa che la Sapienza e anche la ricerca scientifica – non abbia niente a che vedere con la Chiesa. Quei docenti dimenticano che se oggi possono andare nei salotti televisivi fregiandosi del titolo di docente della Sapienza lo devono proprio ai Papi. È stato infatti un Papa, Bonifacio VIII, a fondare l'Università La Sapienza nel 1303. E fino al 20 settembre 1870 – ovvero fino alla presa violenta di Roma da parte delle truppe sabaude – La Sapienza è stata l'università della Santa Sede.
Che ci sia un grosso problema di libertà che va oltre l'offesa al Papa lo dimostra un altro fatto inquietante: quello della Sapienza è stato infatti un ulteriore episodio in cui una minoranza violenta impone la propria volontà, con le istituzioni che rinunciano a difendere i diritti della maggioranza dei cittadini. Dalle colonne de Il Timone abbiamo già segnalato questa preoccupante tendenza in Italia, ma la questione si sta aggravando e oltretutto con l'attiva complicità della classe politica. Nel caso della Sapienza, ad esempio, abbiamo visto tanti esponenti del governo e dell'opposizione stracciarsi le vesti, ma soltanto dopo che l'irreparabile era già accaduto. Ma durante i giorni e le settimane che hanno visto un crescendo di polemiche e di arroganza da parte dei docenti e degli studenti, quando la situazione stava degenerando, non una parola – ad esempio – è venuta dal ministro dell'Università, Fabio Mussi, né dal capo del governo, ma neanche dai leader dell'opposizione, più attenti a sfruttare politicamente le occasioni piuttosto che a difendere il bene comune. Il rettore dell'Università, che pure aveva invitato il Papa, addirittura dava l'autorizzazione a una contro manifestazione dei "collettivi" nel giorno dell'inaugurazione dell'Anno Accademico. E il ministero dell'Interno, appena dopo il comunicato che annunciava la decisione del Papa di soprassedere alla presenza in Università, si affrettava pateticamente ad affermare che la rinuncia non era dovuta a motivi di sicurezza, assolutamente garantiti. Peccato che veniva smentito nel giro di pochi minuti dal vicariato di Roma che, rifacendosi al vertice di poche ore prima al ministero dell'Interno, affermava di essersi fatto carico dei problemi di sicurezza manifestati dalle autorità italiane. In pratica il governo non solo non è in grado di garantire i più elementari diritti, ma incapace di assumersene la responsabilità, scarica i problemi sugli altri. È una "ritirata" indecorosa delle istituzioni fori era di nuove violenze e prepotenze. E chiunque potrà essere la prossima vittima.
A tutti i livelli, perciò, è necessario rispondere alla sfida del Papa sulla ragione, lanciata a Ratisbona e ripetuta con la lezione alla Sapienza. La filosofia non c'entra, ne va della nostra vita.

 

 

RICORDA

 

«Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell'università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che Illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro».
(Benedetto XVI, Discorso "vietato" all'Università La Sapienza di Roma, 17 gennaio 2008).


IL TIMONE  N. 70 – ANNO X – Febbraio 2008 – pag. 10-11

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