La mentalità eugenetica è dentro di noi e lo si vede nell’atteggiamento davanti al figlio nascente. L’indifferenza con cui si accettano le diagnosi prenatali e l’ambiguità davanti all’ecografia.
La diagnosi prenatale
Molte patologie genetiche sono oggi ben note, nel senso che se ne conoscono le cause ereditarie e quindi è possibile diagnosticarle, cioè scoprire se un paziente è o non è malato. Ma ciò non significa che si conoscano anche le terapie, i rimedi per curare il paziente. Di fronte a questo “scacco”, cioè alla constatazione di poter conoscere la malattia senza poterla eliminare, la medicina tende a reagire con una soluzione radicale ma profondamente ingiusta: si usano le più potenti tecnologie disponibili per individuare il soggetto incurabile ed eliminarlo. Si parla in questi casi, a sproposito, di “prevenzione”.
Su questo versante, le tecniche di diagnostica prenatale rappresentano una spaventosa industria dell’eugenetica, che ha ormai stritolato nei suoi ingranaggi la stragrande maggioranza delle donne in gravidanza. Le quali, senza nemmeno conoscere le implicazioni morali e cliniche di ciò che stanno facendo, si sottopongono a esami che rispondono all’idea distorta di prevenzione appena descritta, o che quanto meno possono alimentare tentazioni eugenetiche nei genitori.
Il primo responsabile di questa detestabile “caccia al feto tarato” è purtroppo sempre più spesso il medico ginecologo, che prescrive alla gestante una serie di accertamenti in maniera del tutto automatica, così come si prescrive l’esame del sangue periodico a un diabetico o a un cardiopatico. In questo modo, la donna ha la sensazione di compiere gesti privi di qualsiasi valenza morale, ed è addirittura indotta a credere che se si rifiuterà non starà facendo il suo dovere di madre. Nei dialoghi fra donne incinte, l’ampia offerta delle tecniche diagnostiche prenatali occupa ormai un posto importantissimo, al punto che la quantità e la qualità degli esami affrontati sembra essere un indicatore dell’amore verso il figlio in arrivo. Ma ciò che diremo dimostrerà esattamente il contrario.
Mezzi inaccettabili
Le tecniche di diagnosi prenatale possono essere moralmente inaccettabili sotto due differenti punti di vista. Innanzitutto, per la pericolosità intrinseca nei confronti del nascituro: si tratta di capire sempre se uno strumento di diagnosi prenatale costituisce un pericolo per la salute e la vita del bambino. È la domanda sul come, sul mezzo che sto per utilizzare. Molte donne non sanno che le tecniche diagnostiche invasive più diffuse possono indurre l’aborto del concepito.
a. Amniocentesi. È la più antica, risale al 1877, ed è molto diffusa. Consiste nel prelevare con un ago il liquido amniotico e nella successiva analisi cellulare. Comporta un rischio di abortività indotta che oscilla fra lo 0,2 e il 5 %.
b. Cordocentesi. Consiste nel prelevare con un ago il sangue del feto, che viene poi esaminato. Comporta un rischio di abortività che va dallo 0,5 al 1,9 %.
c. Villocentesi. Consiste nel prelevare dei villi coriali con una pinza bioptica o una cannula. Ha un rischio di aborto assai elevato, tra il3 e il 10 %.
d. La diagnosi pre-impianto. Nelle tecniche di fecondazione artificiale sono tutti gli atti con cui si ricercano gli embrioni difettosi allo scopo di non impiantarli o eliminarli. Si tratta di un’orribile forma di eugenetica precoce, intrinsecamente legata alla “cosificazione” dell’embrione che si accompagna a ogni fecondazione in vitro.
Scopi inaccettabili
Quand’anche si faccia ricorso a tecniche diagnostiche in sé non pericolose per il nascituro, come nel caso dell’ecografia, la donna (e con lei il medico) dovrebbe avere il coraggio di domandarsi: perché sto facendo questo atto diagnostico? È la domanda sul perché. Sono possibili essenzialmente tre risposte:
a. Intendo verificare le condizioni del bambino, affinché siano assicurate a lui e alla madre tutte le cure e le attenzioni che la medicina mette a disposizione. In tal caso, la diagnosi è perfettamente lecita.
b. Intendo verificare se il bambino è sano. Senza un approfondimento delle decisioni successive al risultato diagnostico, questa motivazione è palesemente ambigua, perché sfugge alla questione fondamentale, cioè se il figlio verrà accolto anche nel caso in cui non sia sano, o se invece si pensa in segreto di gettarlo via come un oggetto difettoso. La stragrande maggioranza dei medici e delle donne affrontano i test diagnostici in questo clima di ambiguità, che a ben guardare contiene già in nuce gravi cedimenti morali.
c. Intendo verificare se il nascituro è sano, allo scopo di prevenire la nascita di un difettoso. In questo caso la condotta dei genitori e del medico è certamente ingiusta, moralmente inaccettabile. Essa infatti stravolge allo stesso tempo il significato della parola figlio – che è un valore in sé a prescindere dalle sue condizioni di salute – e il senso della medicina, perché sottende l’intenzione di uccidere un innocente se esso non risponderà alle caratteristiche attese dalla coppia.
Conclusioni
Sappiamo bene che oggi l’atmosfera è satura di una soffocante cultura di morte. In questo clima, anche le scelte di tutti i giorni possono risultare estremamente difficili, e ci obbligano a pagare un prezzo. Una madre che si rifiuta di intraprendere la dannosa trafila dei test di gravidanza, riducendoli a quelli ragionevolmente necessari e inoffensivi per il figlio, rischia l’incomprensione delle amiche, i rimbrotti del medico, il rimprovero della società nel caso di un figlio disabile. Ma questa rimane l’unica strada per impedire all’eugenetica di fare il proprio ingresso nella nostra vita, tentandoci con le sue false e suadenti promesse di perfezione e di felicità. D’altra parte, si tratta di una testimonianza che può toccare il cuore di tante persone, ignare dell’insegnamento della Chiesa e vittime del conformismo imperante.
Dossier: Il ritorno di Erode
IL TIMONE N. 38 – ANNO VI – Dicembre 2004 – pag. 44 – 45
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