Aborto procurato, fecondazione artificiale, “fabbriche” di cellule staminali: si moltiplicano gli attentati alla vita dell’uomo concepito. Intervista a Padre Angelo Serra, uno dei padri della genetica italiana conosciuto in tutto il mondo per i suoi studi sull’embrione.
Il Dna, le provette, la clonazione, le staminali… Un gergo sempre più tecnologico sembra impadronirsi del gesto che dovrebbe restare il più naturale del mondo: la nascita. Ma ormai chi ci capisce più tra cosa è bene e cosa no? Chiediamo lumi al biologo e gesuita padre Angelo Serra, già professore di Genetica umana al Policlinico Gemelli di Roma, che è stato un precursore nella materia, avendo cominciato le sue ricerche giusto 50 anni fa nel primo centro studi italiano sulla genetica, all’università di Milano.
Padre Serra, chi è l’embrione umano?
«È un ben determinato soggetto, uomo o donna, nelle primissime fasi del suo sviluppo, iniziato dal momento in cui avviene la fusione dei due gameti, l’ovocita femminile e lo spermatozoo maschile. Tutti i dati offerti dalle ricerche embriologiche dimostrano al di fuori di ogni dubbio che il cammino della vita incomincia in quel momento e prosegue ininterrotto, attraverso un’attività coordinata, continua e graduale delle cellule in continuo aumento, autonomamente controllata dall’informazione genetica che ne porta il piano-programma».
Vuol dire che ?n dal concepimento si può sapere che uomini saremo?
«Sì. “Il tuo destino dal giorno uno” è il titolo sotto cui la nota rivista scientifica inglese Nature, nel luglio 2002, riportava la sintesi di recentissimi lavori che dimostrano come il piano corporeo dei mammiferi è posto fin dal momento del concepimento. E, dopo aver sottolineato che proprio questo piano può essere fortemente disturbato nelle tecniche di riproduzione assistita, concludeva: “Ciò che è chiaro è che i biologi dello sviluppo non ammettono più che gli embrioni precoci di mammifero siano cumuli di cellule”. In realtà la nuova cellula, totalmente diversa da quella della madre e del padre dalle quali deriva, rappresenta il punto esatto nel tempo e nello spazio dove ogni individuo umano inizia il suo ciclo vitale».
Quindi un individuo unico e irripetibile…
«Senza dubbio. Già nei primi 5 giorni dal concepimento, durante i quali si forma un complesso organizzato di circa 120 cellule detto “blastociste”, operano – per quanto si è potuto stabilire fino ad oggi – oltre un centinaio di geni propri del nuovo genoma costituitosi al momento della fecondazione. Attività condotta in un dialogo continuo tra i geni di madre e ?glio, e che prosegue ininterrotta e sempre più complessa fino al 15° giorno, quando incomincia la formazione di organi e tessuti che porta, al termine dell’ottava settimana, all’embrione ormai completo di circa 22 mm di lunghezza. Inizia, allora, il periodo fetale».
Fin qui la scienza. Ma, dal punto di vista del diritto, a che punto comincia l’individuo? Il diritto romano, famoso per la sua equità, per esempio non riconosceva diritti al concepito.
«È proprio l’opposto. Il ben noto studioso del diritto romano Giorgio La Pira, in un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano del 19 marzo 1976, riportando il principio del diritto romano classico (“Qui in utero sunt intelliguntur in rerum natura esse”, e cioè “I concepiti sono da considerare come già esistenti”), commentava: “Questo principio – che la giurisprudenza romana creativa del tempo augusteo introdusse solo nel sistema dello jus civile, operando davvero un mutamento qualitativo nelle strutture del pensiero sociale e giuridico non solo romano, ma altresì della intera civiltà umana – diviene, col cristianesimo, una delle basi universali costitutive dell’edi?cio dei diritti inviolabili dell’uomo: il diritto alla vita!”».
Si può allora pensare a una «carta dei diritti» dell’embrione, così come esiste la carta dei diritti dell’uomo o quella per i diritti del fanciullo?
«Non è necessario. Posto il “diritto alla vita” dell’embrione seguono per forza tutti gli altri diritti riconosciuti ad ogni persona umana nelle diverse fasi della sua vita».
Ma come comportarsi quando i diritti dell’embrione sembrano entrare in contrasto con quelli – pure fondamentali – della madre?
«Il diritto fondamentale, tanto per il concepito quanto per la madre, è quello alla vita. Il contrasto si può verificare quando la mamma, durante la gravidanza, viene a trovarsi in grave pericolo di vita. In questo caso la sua generosità potrà giungere fino all’eroismo di sacrificarsi pur di salvare la creatura che porta in grembo; ma potrebbe verificarsi anche la situazione di una necessaria asportazione dell’utero, alla quale seguirebbe purtroppo anche quella – non voluta – dell’embrione o del feto».
Fecondazione artificiale, clonazione, modifica del Dna… Quali sono secondo lei le più subdole minacce moderne contro l’embrione umano?
«Oggi non si tratta più solo di minacce contro l’embrione umano. Si devono denunciare con forza i gravissimi abusi che si compiono scientemente, purtroppo anche avallati dalla legge, contro milioni di embrioni. Due in modo particolare sono i campi in cui emergono questi abusi: quello della cosiddetta “fecondazione in vitro” e quello delle “cellule staminali embrionali”.
Riguardo al primo campo, nel solo 1999 in Europa risultavano trasferiti in utero ben 638.508 embrioni; di questi soltanto 87.347 (13.7%) erano giunti alla nascita; oltre mezzo milione erano dunque stati, con consapevole coscienza da parte degli operatori, votati alla morte, e solo il 25% delle coppie aveva potuto avere il bambino desiderato. Sono dati che fanno pensare».
Le cellule staminali, invece, ci vengono presentate come la soluzione per la terapia di moltissime malattie.
«Quanto a questo, ricordo soltanto lo scempio di milioni di embrioni umani, “figli” anch’essi, prelevati dai congelatori o appositamente costruiti, uccisi allo stadio di circa 120-240 cellule per prelevarne le 50-100 che si trasformano in cellule dette appunto “staminali” perché capaci di moltiplicarsi indefinitamente e anche – si sperava almeno – di essere trasformate in cellule di tutti i tipi presenti nell’organismo umano, adatte quindi per interventi di medicina rigenerativa. Situazione aggravata dai tentativi ripresi recentissimamente di “clonazione terapeutica”. L’embrione umano è ridotto a mero “strumento tecnologico”! Sottolineo poi che il fine sperato finora non è stato raggiunto. Anzi le tre maggiori compagnie private, le quali dal 2000 si erano impegnate con elevati fondi in questo settore, hanno reso noto il loro fallimento dopo tre anni di intenso impegno, rinunciando a proseguire il lavoro in questo campo. Ogni ricercatore e scienziato, è vero, può sentirsi spinto su vie sempre nuove; ma non può, se riflette con senso di responsabilità, non vedere l’errore che commette e l’orrore che genera».
Dossier: L’embrione umano segno di contraddizione
IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 42 – 43