Un curioso “contrasto” fra “quote rosa” e ideologia di genere in Svezia.
La prima obbliga alla parità fra i sessi. Che per la seconda non esistono.
Il risultato è ridicolo e disumano contemporaneamente
Si sa, l’ideologia è come il delirio: resiste ad ogni evidenza dei fatti e ad ogni tentativo di convincimento.
È accaduto anche quando gli “ideologi del genere” hanno cominciato a sostenere che le differenze non biologiche tra uomini e donne (ad esempio una maggior propensione all’accudimento dei bambini da parte delle donne, oppure una maggiore spinta alla competizione da parte degli uomini) non siano in alcun modo legate al sesso biologico. La ricerca scientifica dimostra che le cose stanno esattamente al contrario. Invece, secondo gli ideologi del genere, le differenze psicologiche, relazionali e sociali tra uomini e donne non sarebbero naturali, bensì il frutto di un complotto ordito nei secoli dagli uomini ai danni delle donne per tenerle in una posizione di inferiorità, legate alla casa e all’accudimento dei figli, lontane dai ruoli economici, politici e sociali più importanti, a tutto vantaggio degli uomini. I lettori del Timone non faticheranno certo a riconoscere in questa ideologia qualche somiglianza con l’ideologia marxista: basta sostituire le classi economiche ai due sessi ed il gioco è fatto. Come Marx auspicava l’avvento di una società senza classi, attraverso la lotta tra le classi, così gli ideologi del genere profetizzano, dopo lo scontro tra uomini e donne, una società senza differenze sessuali.
In effetti, a leggere i quotidiani, sembra che sia in atto uno scontro apocalittico tra uomini e donne, anzi tra maschi e femmine. In una sua recente lettera al Corriere della Sera volta a criticare la riduzione dei limiti della stagione di caccia, l’oncologo (ma forse sarebbe meglio dire tuttologo) Umberto Veronesi scrive: «[…] non si può godere della nostra natura, insegnare ai nostri ragazzi ad amarla e rispettarla come risorsa fondamentale del loro futuro, con lo spettro di uomini con in braccio un fucile, che si aggirano pronti a far scorrere il sangue degli animali che di questa natura sono una bellissima espressione. Non è giusto calpestare il diritto di tutti per il piacere di pochi. Oltre tutto quasi esclusivamente maschi». Oltre tutto. L’antropologa Ida Magli, invece, scrive sul suo blog a proposito della sovranità monetaria degli Stati, e si esprime con queste parole: «[…] la questione principale rimane la mancanza di sovranità monetaria dell’Italia. A dire la verità questa mancanza, naturalmente decisa a suo tempo da “maschi”, appare alle donne addirittura assurda, anzi comica, in quanto nessuno al mondo sa meglio delle donne come la loro minorità sociale, la difficoltà insuperabile a diventare “libere”, quali che fossero i loro meriti e i loro sforzi, ha attraversato pietrificata secoli e secoli solo e soltanto per questo motivo: non avevano denaro proprio e non se lo potevano procurare lavorando (per questo le prostitute si vantavano di essere libere a fronte delle donne “per bene”: guadagnavano dei soldi)».
I “maschi” sono dunque gli autori di un complotto mondiale monetario.
Gli ideologi del genere sono convinti che, se le donne non raggiungono i livelli professionali raggiunti dagli uomini e non guadagnano altrettanto, la colpa è di questo complotto maschilista su scala mondiale. E se qualche donna afferma che il dedicarsi alla famiglia rinunciando alla carriera è stata una sua libera scelta, la sua testimonianza diventa una prova del fatto che questo complotto esiste: si tratta di un progetto talmente raffinato e pervasivo da praticare il “lavaggio del cervello alle donne”, inducendole a credere di aver liberamente scelto una posizione subordinata. Insomma, le differenze professionali tra uomini e donne non dipendono da libera scelta personale, differenze di temperamento, di desideri o semplicemente dal fatto che sono le donne a restare incinte e a partorire, con tutto quel che ne consegue; dipenderebbero dal fatto che nella nostra società non ci sono “pari opportunità” tra uomini e donne; e quindi è necessario porre per legge queste “pari opportunità”.
In Norvegia, ad esempio, le aziende che non hanno almeno il 50% di donne (le cosiddette “quote rosa”) nei posti dirigenziali devono essere chiuse (e nel 2007 un quarto delle aziende norvegesi era a rischio di chiusura per questo motivo). Vi sembra fantascienza? Eppure in Italia, sin dal 1996, esiste presso la Presidenza del Consiglio un “Dipartimento per le pari opportunità” (che durante il secondo governo Prodi è diventato addirittura un Ministero) con obiettivo proprio l’eliminazione delle differenze sociali ed economiche tra uomini e donne.
Ciò significa che da quasi vent’anni è pacificamente accettato che il nostro Paese condivida questa ideologia.
Il curioso “caso svedese”
La storia, tuttavia, insegna che ogni volta in cui qualcuno ha escogitato un piano geniale per rimediare alle ingiustizie della natura è finita in un gran pasticcio. La stessa sorte sembra subire la brillante idea delle “quote rosa”. Il Ministro dell’istruzione superiore svedese, Tobias Krantz, ha infatti annunciato che sarà abolita la legge che riserva alle ragazze il 50% dei posti all’università. Succede infatti che in alcune facoltà sono state escluse ragazze meritevoli per lasciare il posto a ragazzi decisamente meno brillanti: l’iscrizione delle studentesse era eccedente rispetto alla quota del 50% assegnata al loro sesso. Secondo i dati ufficiali, resi noti dallo stesso ministro Krantz, nel 2008 sono stati 5.400 gli studenti non ammessi ai corsi; e il 95% di quei 5.400 erano ragazze. Quarantaquattro di queste ragazze si sono rivolte al tribunale di Stoccolma per denunciare la discriminazione causata dalle quote rosa, e il tribunale ha stabilito un indennizzo di 4.500 euro a testa a loro favore, dando origine al caso politico.
A dimostrazione del fatto che l’ideologi non ha nulla a che vedere con la logica e la razionalità, è opportuno riportare il commento del ministro quando ha annunciato l’abolizione della legge: «Questo sistema finisce in realtà per discriminare le studentesse. Per questo vogliamo abolirlo». La legge non va dunque abolita per la semplice ragione che il sesso non può essere un criterio rilevante per essere ammessi all’università, ma perché discrimina le studentesse. Il mito della discriminazione continua: il complotto questa volta ha utilizzato le “quote rose” per opprimere il sesso femminile.
L’insegnamento della Chiesa
Il Magistero della Chiesa cattolica propone un altro modello di lettura del rapporto tra uomo e donna, quello della complementarietà. Le differenze tra i sessi, lungi dall’essere una ingiustizia, sono una ricchezza, perché permettono il completamento reciproco dell’uomo e della donna nella relazione. Che la persona possa trovare la propria realizzazione nella relazione è una verità presente da sempre nella riflessione filosofica: Aristotele definiva l’uomo come «animale sociale»; il filosofo danese Soren Kierkegaard affermava che «La porta della felicità si apre verso l’esterno».
Poiché la persona si realizza nella relazione, ecco che la differenza tra l’uomo e la donna è qualcosa che permette alla persona di realizzarsi, di compiersi; annullare le differenze sessuali significa condannare l’uomo all’egocentrismo e all’impossibilità di trovare un compimento.
BIBLIOGRAFIA
Dale O’Leary, Maschi o femmine? La guerra del Genere, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2006.
Roberto Marchesini, L’identità di genere, I quaderni del Timone, 2007.
Laura Boccenti, Essere donna: tra femminismo e realismo, in Il Timone, n. 42/2005 e
Idem, Identità femminile e filosofia dell’essere, in Il Timone, n. 44/2005.
Benedetto XVI, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 31 maggio 2004.
IL TIMONE N. 91 – ANNO XII – Marzo 2010 – pag. 16 – 17