Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

13.12.2024

/
“Quando muoio voglio l’Ave Maria’¦”
31 Gennaio 2014

“Quando muoio voglio l’Ave Maria’¦”


«Quando muoio, voglio l’Ave Maria…» Tutti abbiamo sentito qualche vecchia zia un po’ sentimentale raccomandarsi in tal senso a futura memoria. Recentemente questa frase mi è tornata in mente assistendo a un funerale, nel mio profondo e “tradizionale” Meridione, ove un tempo tali desideri venivano esauditi dalla banda che accompagnava il feretro al cimitero, mentre oggi proprio le esequie in chiesa sono divenute spesso il luogo elettivo di stravaganti scelte musicali, motivate perlopiù dai gusti del defunto o da ragioni “consolatorie” che poco o nulla hanno a che vedere con la natura della liturgia esequiale. Ugualmente è sorta dalle caligini della memoria una massima che usava pronunziare un mio antico maestro di musica, sacerdote salesiano: «Ogni errore liturgico è un errore teologico».
Nel caso in questione, che offre lo spunto per questa riflessione, pur utilizzandosi un canto “strettamente” liturgico si è consumato un errore forse ancora più marchiano che intonare, dopo la commendatio, una canzone di Franco Califano.
Sì, perché subito dopo il segno di croce iniziale, un giovane ha cantato l’Exultet! In italiano.
Sono rimasto alquanto perplesso: il brano in questione è il preconio pasquale (ovvero l’annunzio della Pasqua), il solenne Lucernarium della notte del Sabato Santo – cantato dal diacono o, in mancanza, da un ministro parato – che accompagna l’offerta solenne del cero pasquale, portando a compimento i riti della benedizione del fuoco nuovo e del Lumen Christi, inserita nella proclamazione e nell’esaltazione dei Misteri propri della Veglia pasquale: la Resurrezione e la Redenzione.
Cerimonia, testo e melodia celebrano la notte nella quale Cristo risorge vittorioso per recare la salvezza all’umanità decaduta in conseguenza del peccato di Adamo, sicché l’Exultet è un solenne ed artistico atto di lode e di ringraziamento.
Connotazioni, queste ultime, assenti dalla natura stessa della Messa esequiale per quanto, dopo il Concilio Vaticano II, adempiendo a una indicazione della Sacrosanctum Concilium, si predispose la revisione delle esequie «in modo che esprimessero più apertamente l’indole pasquale della morte cristiana» (S. Congr. Culto Divino, Decr. 720/69). Certo, ogni battezzato risorgerà a vita nuova con Cristo, ma un conto è esprimere l’indole pasquale dei riti, altro è saltare a piè pari il “venerdì santo” che per noi comuni mortali è il funerale, celebrando direttamente la resurrezione “praesente cadavere”.
Musicalmente parlando, le direttive conciliari furono implementate con il nuovo Graduale Romanum che, lasciando sostanzialmente inalterate le antifone della Messa esequiale, ancora conosciuta come Messa da Requiem (dal titolo dell’antifona d’introito), ne abolì soltanto l’antica e splendida sequenza Dies Irae, considerata troppo “terribile” agli orecchi dei contemporanei per le realtà ultime che metteva in canto.
In nessun adattamento post-conciliare si è però mai pensato di inserire l’Exultet fra i canti suggeriti per i funerali: nemmeno nella recente appendice musicale al nuovo rito delle esequie approvato dalla CEI nel 2012, per quanto vengano proposti canti molto giocondi.
Ci troviamo, come in tante altre occasioni, innanzi al solito “andare oltre” il Concilio stesso: la musica nella liturgia è stata spesso strumentalizzata in tal senso, con l’effetto di incidere anche a fondo sull’ontologia stessa del servizio musicale che è parte integrante e necessaria della lex orandi, la quale non si può modificare – e profondamente – senza modificare la lex credendi in modo vistoso.
Nel caso delle esequie ecclesiastiche, infine, è lo stesso Codice di Diritto canonico a sancire che «devono essere celebrate a norma delle leggi liturgiche» (Can. 1176) e inserire un elemento così estraneo all’ontologia liturgico-musicale della Messa funebre potrebbe portare qualcuno a pensare che, derogando implicitamente alle norme liturgiche, si vogliano rimuovere i Novissimi, manomettendo Dottrina, Tradizione e Magistero.
Forse però è questione di più semplice ignoranza.
Ma se nel diritto positivo “ignorantia legis non excusat”, nel diritto divino tali ignoranze saranno fonte di giustificazione in novissimo die?



IL TIMONE N. 126 – ANNO XV – Settembre/Ottobre 2013 – pag. 47

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista