Costantino (imperatore dal 312 al 337) annullò l’illegalità del Cristianesimo nell’Impero abrogando il senatoconsulto (la deliberazione) che nel 35 l’aveva istituita.
Prima di lui, vi furono vari tentativi di fare altrettanto, che però, per diversi motivi, non andarono in porto. L’equiparazione costantiniana della religione cristiana ai culti pagani e a quello giudaico significava il riconoscimento giuridico del Cristianesimo come religio licita
(religione lecita) nell’Impero al pari di quelle. Lo scrittore apologeta Lattanzio sostiene (cfr. Mort. 24,9) che tale riconoscimento fu il primo atto di Costantino da imperatore.
Gallieno Lattanzio dice che Costantino «restaurò » la legalità del Cristianesimo, in riferimento al precedente riconoscimento del Cristianesimo come religio licita da parte di Gallieno, avvenuto nel 260/262. La “svolta” giuridica di Gallieno (in carica dal 253 al 268) ebbe una durata breve, mentre quella di Costantino perdurò per tutti i restanti secoli dell’impero, probabilmente perché né Gallieno né i suoi successori erano cristiani, mentre
lo erano Costantino e i suoi. Così, il riconoscimento giuridico del Cristianesimo da parte di Gallieno, il primo nella storia di Roma, fu presto sovvertito dalla persecuzione di Diocleziano (in carica dal 284 al 305), che non poté più rifarsi all’illegalità del Cristianesimo, ma dovette introdurre specifici decreti. Elagabalo, Severo, Adriano Alcuni precedenti tentativi di “riconoscimento giuridico del Cristianesimo”, che però non ebbero successo, furono fatti (in ordine anti-cronologico) da Severo Alessandro, Elagabalo, Adriano e Tiberio.
In età severiana, Elagabalo e Severo Alessandro avrebbero voluto riconoscere il Cristianesimo, secondo la Historia Augusta. Elagabalo (in carica dal 218 al 222) avrebbe inteso integrare il Cristianesimo nelle grandi religioni dell’impero, ma fu assassinato presto.
Secondo la stessa fonte, Alessandro Severo (222-235) nel suo larario (la parte della casa dedicata al culto) venerava insieme, sincretisticamente, Cristo, Abramo, Orfeo e Apollonio di Tiana e avrebbe voluto, come già prima di lui Adriano, accogliere Cristo tra gli dèi di Roma, erigergli un tempio e riconoscere il Cristianesimo come religio licita. Questo riconoscimento fu impedito probabilmente da alcuni aruspici, esperti di Etrusca disciplina:
il riconoscimento legale del Cristianesimo non era nel loro interesse, tanto più che alcuni famosi esponenti del Cristianesimo di quel tempo, quali Origene, criticavano apertamente l’aruspicina (una pratica divinatoria di quel tempo, di origini etrusche). La stima di Alessandro per gli aruspici gli fece accettare il loro consiglio. Alessandro cedette probabilmente anche per le preoccupazioni che – tanto più dopo la tragica fine di Elagabalo – destava in lui il Senato, in cui il tradizionalismo religioso e anche la componente etrusca erano considerevoli. Alessandro si astenne comunque dal perseguitare i Cristiani e il suo regno concluse una lunga epoca di tolleranza di fatto.
Ma è plausibile che egli avesse anche l’intenzione di riconoscere il Cristianesimo di diritto? Penso di sì. Come Eusebio, fedele seguace di Origene, fu l’ispiratore intellettuale di Costantino, che riconobbe il Cristianesimo come religio licita, così Origene potrebbe essere stato l’ispiratore dell’iniziativa di Alessandro (non condotta a termine) di riconoscimento del Cristianesimo, tramite la madre di Alessandro stesso, l’imperatrice Giulia Mamea, con cui Origene ebbe lunghe conversazioni.
Anche alla luce dell’ascendente delle imperatrici Severe sui loro parenti, io sospetto che l’apparentemente strana decisione di Alessandro di riconoscere legalmente il Cristianesimo sia stata influenzata dalla profonda stima di Giulia per Origene, che ella invitò presso di lei a parlare precisamente di teologia. Secondo la stessa Historia Augusta, anche Adriano (in carica dal 117 al 138) avrebbe voluto riconoscere il Cristianesimo e avrebbe avuto pronti templi senza statue da dedicare a Cristo. Questa notizia potrebbe essere nata dall’interpretazione cristiana di un rescritto (una risposta scritta ad un quesito giuridico) di Adriano, ma l’interesse di Adriano per i templi senza statue è comunque attestato.
Tiberio
Probabilmente storico è il più antico tentativo imperiale di riconoscere il Cristianesimo come legittimo: quello di Tiberio (imperatore dal 14 al 37). Secondo Tertulliano (cfr. Apol. 5,2) una qualche notizia di Gesù e dei suoi seguaci sarebbe pervenuta a Tiberio almeno nel 35, quando propose in Senato di riconoscerli legalmente. Il Senato rifiutò; per conseguenza, i seguaci di Gesù, non riconosciuti come membri di una religione legittima, erano passibili di morte; Tiberio, però, pose il veto alle accuse anticristiane, comminando la morte agli accusatori, cosicché il senatoconsulto che aveva deliberato la pena capitale per i cristiani non ebbe conseguenze fino a Nerone.
Tertulliano non aveva interesse ad inventare la condanna del Senato, e i suoi destinatari,
che avevano accesso agli atti di età tiberiana, avrebbero potuto smentirla.
Inoltre, il dato tertullianeo corrisponde alla linea politica di Tiberio, il quale procedeva con
strategica astuzia (cfr. Tacito, Ann. VI 32), non con la forza: a scopo di pacificazione della
Palestina, voleva probabilmente riconoscere la nuova setta giudaica non antiromana. Infatti, dopo il rifiuto del Senato di legalizzare il cristianesimo, Tiberio mandò in Oriente quale plenipotenziario il suo legato Lucio Vitellio, che nel 36-37 depose Caifa e Pilato (responsabili anche della condanna di Gesù), come attesta Giuseppe Flavio.
Inoltre questa notizia corrisponde alla situazione di età giulio-claudia, quando spettava al Senato decidere l’ammissione di nuove divinità.
Che fosse stato in origine un senatoconsulto a mettere fuori legge il Cristianesimo è confermato dagli Acta Apollonii (un testo sul processo al senatore martire Apollonio) e soprattutto da un passo di Porfirio (filosofo pagano del III secolo, polemico contro il cristianesimo). Negli Acta Apollonii il prefetto del pretorio Tigidio Perenne (180-182/5) cita un senatoconsulto che dichiarava i Cristiani in quanto tali fuorilegge. In base a questo, il cristiano Apollonio fu condannato a morte e decapitato «in base a un senatoconsulto» come confermano lo storico Eusebio (cfr. HE, V, 21,4-5) e il suo traduttore Rufino. La storicità di questa notizia tertullianea, ripresa da altri autori cristiani, è soprattutto confermata da un frammento porfiriano da me notato (proviene dall’Apocriticus di Macariodi Magnesia, II 14, riportato da von Harnack come fr. 64 dell’opera di Porfirio contro i cristiani). Il polemista anticristiano, Porfirio stesso o un altro autore che scriveva nel suo spirito, si riferisce all’età tiberiana, poco dopo la Resurrezione (30 ca. d.C.), e afferma che Gesù, se fosse risorto (cosa che lui contesta), non sarebbe dovuto apparire a persone oscure, bensì a personaggi autorevoli e fededegni, contemporanei all’evento, «e soprattutto al Senato e al popolo di Roma, onde essi, stupiti dei suoi prodigi, non potessero, con un senatoconsulto unanime, emettere sentenza di morte, sotto accusa di empietà, contro coloro che erano obbedienti a lui». La decisione unanime del Senato è certamente un senatoconsulto che, secondo Porfirio, accusava di empietà e condannavaa morte i cristiani qualche tempo dopo il 30.
Non può che trattarsi del medesimo senatoconsulto di età tiberiana di cui parla Tertulliano.
Non è un caso che lo stesso Porfirio (nel III libro della sua opera contro i Cristiani) deplorasse l’adesione del grande pensatore Origene al Cristianesimo dicendo che questi viveva «contro la legge» (ap. Eus. HE, VI, 19,4-8): Porfirio sembra riferirsi anche qui al senatoconsulto che aveva reso il Cristianesimo fuorilegge.
Il senatoconsulto del 35 fornì la base giuridica delle persecuzioni, a partire da Nerone che per primo vi diede corso. Solo con la svolta del 62 ebbero inizio, appunto sotto Nerone, le ostilità contro i cristiani. Il loro fondamento giuridico tuttavia era precedente e dovuto al Senato: per questo rimase anche dopo la morte di Nerone (quando tutti gli altri suoi atti furono cancellati con la sua damnatio memoriae) e fino a Gallieno e Costantino. â–
Per saperne di più…
Ilaria Ramelli, Il senatoconsulto del 35 contro i cristiani in un frammento porfiriano, prefazione di Marta Sordi, «Aevum» 78 (2004), pp. 59-67.
Ilaria Ramelli, La legislazione religiosa di Costantino e i suoi antecedenti, in AA. VV., Lex et religio. XL Incontro di Studiosi dell’Antichità Cristiana, Roma, Augustinianum, 10-12 Maggio 2012, «Augustinianum», 2013, pp. 177-190.
Ilaria Ramelli, Constantine and the Legal Recognition of Christianity: What Changed, and Some Historical Forerunners, «Vox Patrum», 34 (2014), 61, pp. 55-72.
IL TIMONE – Marzo 2015
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