L’uomo contemporaneo va cercando modi per essere felice. Per guarire e vivere meglio. Per amare ed essere amato. Ma ignora quasi del tutto l’Amore che è venuto incontro ad ogni uomo fino a farsi crocifiggere. E che continua questa sua missione di salvezza facendosi docilmente cibo per chiunque lo voglia.
L’ho avvertito come una sorta di violenza, una dolorosa fitta al cuore, quel passaggio così brusco e inaspettato. Là, fuori, la piazza piena di animazione e i tavolini dei bar gremiti di gente in una giornata autunnale ancora tiepida e invitante. E solo pochi passi più in là, il Duomo, parato per le Sante Quarantore, pressoché deserto. Solo un sacerdote e un signore avanti con gli anni in adorazione davanti all’Ostensorio con la Sacra Particola. Un contrasto evidente, quasi feroce nella sua brutalità. Una delle tante, innumerevoli prove di quanto profonda sia diventata oggi l’incomunicabilità tra sacro e profano, tra Chiesa e mondo, tra fede e indifferenza religiosa. Occorre, certo, fare attenzione a tranciare giudizi netti. Siamo d’accordo: la realtà è sempre più complessa di quel che appare a prima vista. Questi uomini di oggi, tanto intenti ad occuparsi di se stessi e di quanto li può arricchire e divertire, sembrano così diversi da quelli di anche solo qualche decennio fa. All’apparenza è vero. Ma, in realtà, nel profondo, i bisogni del cuore sono rimasti gli stessi: dare un senso alla propria vita e alla propria morte, esprimere quell’insieme di desideri e di emozioni da cui si sentono pervasi. E tra questi, in primo luogo, l’esigenza insopprimibile di amare e di essere amati. Quel che è vero, però, è che il loro sguardo si è fatto orizzontale: esso scruta con grande curiosità, se non avidità, il vasto mondo, che si è fatto sempre più piccolo e a portata di mano. Con ben maggiore difficoltà, invece, sa alzarsi oltre l’orizzonte terreno per penetrare nel grande Mistero.
Eppure, questo non ha perso nulla del suo fascino. Molti, troppi, non sanno più quale sia il segreto racchiuso in quell’Ostia consacrata. In questo segno tangibile, e che si rinnova di continuo là dove si celebra una eucaristia, di quell’evento straordinario che è stata l’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazareth. Egli, alla fine, dopo morte e risurrezione, è asceso al Cielo, ma rimane fino alla fine del tempo tra noi, in questa forma umile e misteriosa, in questo pane che si fa cibo di Vita terrena ed eterna per chi, guidato dallo Spirito creda e intuisca.
Sappiamo bene che tutto ciò potrebbe sembrare una pia leggenda, un raccontino affascinante ma favoloso, buono per gente poco avvezza a confrontarsi con i fatti e con i metodi scientifici. So anche che, purtroppo, i dubbi talvolta non sono estranei neanche tra gli stessi credenti, forse anche tra qualche sacerdote. Quella “presenza reale”, quel pane e quel vino che diventano “vera carne e vero sangue” di Cristo, sembrano intimorire qualcuno, come se si trattasse di un miracolo troppo grande. Pare allora più semplice e meno impegnativo, più “presentabile” agli occhi del mondo, accettare il tutto come un memoriale, un ricordo degli eventi di duemila anni fa. Un rito che rammenta i fatti, che riconforta i cuori e sorregge la pietà. Non è a questo che lo ha ridotto la Riforma?
Ma, grazie alla bontà di Dio e alla Sua infinita misericordia, non è così. Non è affatto così, come ci mostra non solo la Tradizione della Chiesa ma anche la testimonianza fervida di tutti i santi: l’Eucaristia è il mistero di salvezza che si rinnova, che si fa presente non solo nel ricordo ma anche nella realtà. Sono la grazia e l’energia divina che, racchiusi sotto le specie del pane e del vino, si offrono a noi nella forma più semplice e naturale, quella del cibo, per nutrirci e santificarci. E poiché il Signore sa quanto siamo fragili, quanto i nostri occhi possano facilmente distrarsi e il nostro cuore essere assalito dai dubbi, ogni tanto ci riconforta con uno di quei miracoli eucaristici di cui è piena la storia della Chiesa. E credo che tutti ne conosciamo almeno uno dei più importanti: quello di Lanciano, in cui l’Ostia si è trasformata in carne nelle mani di un religioso che celebrava la Messa. Un miracolo di fronte al quale la stessa scienza si è dovuta arrendere: quella carne, in realtà è un pezzo di cuore e quel sangue ha lo stesso gruppo sanguigno di quello della Sindone.
Tutto questo pensavo nel Duomo deserto, davanti a quell’ostensorio esposto per il rito delle Quarantore, una devozione nata nel corso del tempo mano a mano che alla consacrazione e alla consumazione dell’Ostia nel corso della Messa, si sono aggiunti la sua conservazione e adorazione nel tabernacolo e in alcune altre particolari circostanze.
Se sapessero, mi dicevo e dicevo a quel Gesù che credevo fermamente essere lì presente, velato ma vero! Se appena ti conoscessero sono certa che correrebbero qui a frotte! Vanno cercando dovunque modi per essere felici, toccasana per guarire e vivere meglio, ricette per amare ed essere amati. Ma molti di loro ignorano quasi del tutto questa medicina potente, questo Amore che è venuto incontro ad ogni uomo fino a farsi crocifiggere e che ora continua questa sua missione di salvezza facendosi docilmente cibo per chiunque lo voglia.
Nessuno di noi, neanche il migliore, sarà mai pienamente degno di riceverlo. Per questo dobbiamo essere consapevoli che questo cibo è e resterà sempre anzitutto un gesto di Dio, un dono dettato dall’amore e dalla misericordia cui dovranno corrispondere da parte nostra una grande umiltà per la coscienza dei nostri limiti e un grande desiderio di affidare tutto il nostro essere fisico e spirituale a Lui. Al nostro Salvatore e Signore.
Ma come fare, mi chiedevo anche, per vincere la sofferenza della solitudine in cui spesso la fede cristiana, ridotta sempre più nel numero dei praticanti, sembra metterci? Come non perdere fiducia, quando pure in certi luoghi di antica cristianità per trovare una messa festiva devi fare in auto molti chilometri? E quando, come in questo caso delle Quarantore, nell’arco di una vita – la mia – si sono viste le chiese un tempo affollatissime per un evento che riguardava tutta la comunità, ridursi a un fatto ignorato dai più e che richiama un numero ben esiguo di persone?
Nel silenzio e nel raccoglimento di quei momenti, davanti a quell’Ostia sacra, mi è parso di capire che si aprisse un tempo per certi aspetti nuovo per me, ma anche, penso, per ciascuno di noi: quello di una fede e di una speranza più vere e profonde, perché passate al vaglio di una sofferenza che non è più solo personale ma che raggiunge l’intera comunità dei credenti. Sono finiti i tempi delle illusioni. Non possiamo più barare, nasconderci dietro un dito, ignorare le spinte disgregative esterne alla Chiesa, ma anche quelle interne. Per fare qualche esempio, il razionalismo che convince l’uomo occidentale di totale autonomia e il conseguente relativismo, che lo blocca in una contrapposizione di opinioni incapaci di salire verso la Verità e cioè verso Dio. Un’etica cieca ed edonistica, che gli impedisce di cogliere la bellezza del disegno soprannaturale cui ogni creatura è chiamata. Ma anche l’impurità presente nella stessa Chiesa, lo scandalo gravissimo di molti, compresi sacerdoti o consacrati, che invece di testimoniare in se stessi la liberazione operata dal Vangelo mostrano una umanità immatura, ripiegata su se stessa e piena di peccato. Esegeti che si dicono cattolici e che sembrano presi dalla frenesia di portare il razionalismo imperante pur qui, fino al punto di giungere a sgretolare la stessa Scrittura dove, com’è stato detto, la sola cosa da prendere alla lettera sono le loro note erudite.
Che cosa opporre a tutto questo? Credo anzitutto fede, fede e ancora fede; speranza, speranza e ancora speranza. Molti dubitano e se ne vanno? Dobbiamo cercare di credere anche per loro, o con semplicità e pienezza, fino alle estreme conseguenze. Certi che Dio c’è e che, soprattutto nella Eucaristia, ci è vicino, perché le sue promesse non vengono mai meno anche in tempi che appaiono bui. Molti non sperano più nella Buona Novella? Proprio per questo dobbiamo continuare sperare con pazienza e tenacia sempre più grandi, chiedendo al Dio nascosto nel pane di vita di accordarci la forza per accettare quest’epoca difficile come un prezioso tempo di purificazione.
RICORDA
«Come Gesù è presente nell’Eucaristia? Gesù Cristo è presente nell’Eucaristia in modo unico e incomparabile. E’ presente infatti in modo vero, reale, sostanziale: con il suo Corpo e il suo sangue, con la sua Anima e la sua Divinità. In essa è quindi presente in modo sacramentale, e cioè sotto le specie eucaristiche del pane e del vino, Cristo tutto intero: Dio e uomo».
(Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, n. 282).
IL TIMONE – N. 58 – ANNO VIII – Dicembre 2006 – pag. 56 – 57