Il cardinale Biffi ha raccolto, in un libro da poco uscito, intitolato “Un Natale vero?” (ESD), alcune omelie sul Natale. Ne offriamo una ai lettori del Timone.
Chi è questo bambino?
Questo bambino è il «Verbo», cioè la «parola» eterna di Dio, il suo pensiero sostanziale. È il Verbo che in principio era presso Dio (Gv 1,2).
Noi vediamo un piccolo essere fragile e indifeso, come sono tutti i neonati figli d’uomo; ma sappiamo che la sua prima origine è nel segreto della divinità e precede la corsa dei secoli. Perciò la sua nascita terrena è straordinaria e unica, perciò da duemila anni suscita una gioia unica e straordinaria in ogni popolo, a tutte le latitudini, quella gioia che noi esprimiamo nell’esultanza, talvolta superficiale e scomposta, di questi giorni.
Dai procedimenti vitali della generazione umana il linguaggio della Sacra Scrittura desume, a delucidare questa ineffabile origine, una immagine che ci commuove: l’immagine del Figlio unico che nasce dal Padre, «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero».
Questo Figlio eterno, questo Verbo di Dio – ci è stato detto – si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Ecco il motivo reale della nostra allegrezza. Appunto per questo noi possiamo sperare che il Figlio di Maria, nato a Betlemme, sia il nostro Salvatore, come è stato annunziato dall’angelo ai pastori: proprio perché è infinitamente più grande di noi. Se tutto si riducesse alla sua umanità, cioè alla sua pur reale appartenenza alla famiglia di Adamo, sarebbe anche lui come noi bisognoso di salvezza.
Ed è un salvatore unico, perché in lui soltanto la divinità si salda irrevocabilmente alla nostra natura creata, immettendo così nella nostra stirpe una potenza liberatrice e rinnovatrice, inesauribile e vincente.
Che cosa è venuto a dirci?
È venuto a rivelarci la verità: la verità che conta, la verità su di noi, sulla nostra provenienza, sul nostro destino. Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio (cf. Eb 1,1-12). Avendoci visto assetati di conoscenza e smarriti, ricchi di interrogativi e poveri di risposte plausibili, il Figlio di Dio viene a comunicarci ciò che è assolutamente necessario sapere, se vogliamo trascorrere razionalmente e consapevolmente i nostri anni.
Il prologo di san Giovanni ci ha espresso tutto questo ricorrendo all’immagine della luce: Gesù, il Verbo che si è fatto carne, è la luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1,9). In virtù di questa luce, noi sappiamo di non essere capitati per caso nell’avventura enigmatica dell’esistenza, ma di essere il frutto di un amoroso progetto di Dio, che appunto per questo possiamo chiamare «Padre». In virtù di questa luce, noi sappiamo che il nostro vagare sulla terra ha una mèta: una mèta desiderabile cui ci avviciniamo sempre più a mano a mano che passano i nostri giorni; una mèta di felicità, che ci ripagherà di ogni disagio e di ogni sofferenza. In virtù di questa luce, noi sappiamo quale sia la nostra missione nel mondo: quella di ricambiare la divina benevolenza con l’amore per Dio e per i nostri fratelli; il nostro compito è di amare, come siamo stati incredibilmente amati.
Il profeta Isaia ha preannunciato questa comunicazione di verità, questa esperienza mirabile che stiamo vivendo, quando ha scritto: Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce (Is 9,1).
Che cosa è venuto a darci? Dal momento che da sempre in lui era la vita (Gv 1,4), è venuto a farci partecipi di questa sua vita che è la stessa vita di Dio.
È venuto ad assumere la nostra condizione di creature assoggettate alla pena e alla morte, perché noi potessimo condividere la sua stessa condizione di figlio, erede dell’immortalità e della gioia di Dio. Purché, naturalmente, accogliamo con animo aperto, nella fede e nella coerenza del nostro agire, la sua venuta tra noi.
È la splendente notizia, che è risuonata poco fa ancora una volta nelle parole dell’evangelista Giovanni: A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati (Gv 1,12-13).
Questa è la «sostanza» del Natale, questa è la vera ragione della nostra festa. Che tutti possiamo capirla e viverne è l’augurio non convenzionale che oggi dobbiamo vicendevolmente rivolgerci.
IL TIMONE – N. 58 – ANNO VIII – Dicembre 2006 – pag. 16