Opportunamente regolata, l’economia di mercato può favorire uno sviluppo economico che tenga conto della dignità dell’uomo. È bene imparare dalla storia.
L’economia di mercato annovera tenaci avversari anche in ambienti che si professano cattolici, propugnatori di confuse forme di collettivismo cristiano misto a sinistrismo confessionale. Costoro si dicono preoccupati per un mercato “tiranno” che produce avidità, maggiori squilibri e offende la dignità dell’uomo. In tali ambienti si generano considerazioni moralistiche deleterie, perché, consciamente o no, consentono di salvaguardare forme di collettivismo più o meno camuffato e pertanto di svalorizzare la dignità dell’uomo con una forma di “statalizzazione delle persona”, attraverso eccessi del sistema assistenziale, spesa pubblica conseguente e inflazione, tassazione insostenibile e paralizzante, nonché la tirannia dei controlli delle regole del mercato. Preoccupandoci di economia, ci preoccupiamo anche dell’uomo, perché siamo convinti che l’economia di mercato sia condizione necessaria, anche se non sufficiente, per un ordinamento degno dell’essere umano. Chiariamo subito che non siamo paladini di un economicismo utilitaristico moralmente indifferente, ma crediamo decisamente che se si vuole costruire una società libera, motivante, che renda la persona indipendente e responsabile, sia indispensabile accettare, anzi volere e apprezzare, i meccanismi con cui il mercato opera, cioè il profitto, la concorrenza, la proprietà privata, il ruolo dell’imprenditore. A nostro parere, quanti si definiscono “cattodemocratici” dovrebbero riflettere sul fatto che il comunismo non è un prodotto della povertà e dello sfruttamento, ma ne è l’origine e ancora oggi, nell’ultima reincarnazione, fonda il suo successo più su cervelli e anime vuote che su pance vuote (come sentenziò Wilhelm Röpke, geniale intellettuale tedesco contemporaneo). Le regole economiche del mercato non provocano anarchia. Esse non possono rinunciare a regole opportune e logiche, perché la libertà è impossibile senza norme, senza disciplina e autodisciplina responsabile. Gli abusi vanno puniti senza rivoluzionare le leggi, come vorrebbero i sostenitori dei totalitarismi statalistici, che rappresentano la negazione assoluta del rispetto del concetto di uomo e di società libera. Se il cattolico li difende, permettendo loro di “camuffarsi”, rende un pessimo servizio all’uomo. Le ragioni della difesa della libertà economica sono di carattere morale, così come la libertà economica non è vera libertà se non si fonda su valori morali. Su questo tema c’è confusione, sia perché c’è un moralismo che ignora le leggi economiche e il buon senso e continua a pronunciare giudici morali senza conoscenze adeguate, sia perché c’è un economicismo relativista che prescinde dalle basi morali e le vuole ignorare. Confusione e ignoranza fanno preferire a diversi intellettuali cattolici forme di collettivismo che conducono allo sperpero delle risorse, al disordine economico, al fallimento e alla povertà. Queste forme di collettivismo sono fondate su una visione che privilegia lo Stato anziché la persona, che ha dignità e responsabilità, e giungono a distruggere persino la ricchezza materiale. L’immoralità con cui uno Stato collettivista agisce e i danni che provoca non sono paragonabili a quelli provocati da un individuo “immorale” che opera in economia: uno Stato può distruggere un sistema di libertà e di benessere, il danno di un individuo incide al massimo sulla credibilità del sistema. Ciò che sconforta è che molti, anche tra i cattolici, non imparano dalla storia e dall’esperienza. Il nostro mondo può diventare un inferno se qualche intellettuale di sinistra decide di trasformarlo in un Paradiso, convinto che l’immaginazione sia caratteristica di sinistra. Purtroppo, di sinistra sono solo gli incubi.
TIMONE – N.67 – ANNO IX – Novembre 2007 pag. 55