Il venir meno dei regimi comunisti dopo il 1989 non ha innestato una riflessione adeguata sul processo rivoluzionario che li aveva generati. Come il Papa e i vescovi europei avevano auspicato. E così il mondo occidentale rimane ammalato, senza cure adeguate.
Quindici anni or sono, nel 1989, precisamente il 9 novembre, crollava su se stesso il focus occidentale del sistema imperiale socialcomunista, e ne costituiva segnale e segno indi-menticabile ed emblematico l’apertura del Muro di Berlino.
Tale accadimento ha dato inizio a una serie di enormi conseguenze, tutt’altro che esaurite: benché sostanzialmente godute, non sono state e non sono altrettanto sostanzialmente apprezzate. Con esso, e a partire da esso, popoli interi hanno riconquistato la libertà perduta nell’arco del «secolo breve», cominciato a partire dalla fine della prima guerra mondiale e concluso appunto nel 1989, ma la percezione dell’accaduto, pur evidentemente epocale, sembra non essere andata, e a tutt’oggi non andare, oltre l’orizzonte politico, quando non – addirittura – partitico: semplicemente, qualcuno, in genere in Occidente e in specie in Italia, non ha più lo «zio di Russia», cioè non si può più cullare al suono gradito e gratuito delle note de «L’Oro di Mosca», versione finanziaria «orientale» del wagneriano L’oro del Reno.
La prova di quanto affermo? Il 14 marzo del 2004, nel focus orientale dello stesso sistema imperiale, l’Assemblea Nazionale del Popolo, il Parlamento della Repubblica Popolare Cinese, ha emendato la Costituzione introducendovi la protezione legale della proprietà privata, ma l’eco dell’avvenimento non è stato certo proporzionato alla sua portata e al suo significato.
Sia ben chiaro, non intendo segnalare solamente disattenzione al momento economico del «dopo 1989», da affiancare almeno a quello politico – costituito dall’avvento della democrazia «non popolare» -, ma, soprattutto, non attenzione alla portata globale del fenomeno, documentata dalla disattenzione persino ai suoi aspetti economici, quindi non comprensione di tale portata globale.
Quanto a quest’ultima, essa è stata puntualmente identificata e indicata nel 1991, quando è stata celebrata la prima Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo del Vescovi; la seconda verrà celebrata nel 1999, e sarà all’origine dell’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa, pubblicata da Papa Giovanni Paolo Il il 28 giugno 2003.
Nell’occasione, il 13 dicembre 1991 venne pubblicata la Dichiarazione «Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato», nella quale i vescovi del Vecchio Continente sentenziavano: «Senza dubbio il crollo dei regimi totalitari dell’Europa centro-orientale ha avuto delle ragioni di carattere economico e socio-politico. Ma, più in profondità, ha avuto una motivazione etico-antropologica e, in definitiva, spirituale. Alla radice del marxismo vi è “un errore di carattere antropologico” (Giovanni Paolo Il, enciclica Centesimus annus 13), nel senso che in esso la persona umana è ridotta alla sua sola dimensione materiale ed economica.
Da un’antropologia distorta e riduttiva come questa non potevano non conseguire un’economia e una politica profondamente ingiuste e contro la persona umana, e per questo destinate inevitabilmente al fallimento. Elemento caratteristico, e anzi intrinseco di tale ideologia e, di conseguenza, anche del sistema comunista sul piano pratico era l’ateismo programmatico e coercitivo.
«Oggi in Europa il comunismo come sistema è crollato, ma restano le sue ferite e la sua eredità nel cuore delle persone e nelle nuove società che stanno sorgendo. Le persone hanno difficoltà nel retto uso della libertà e del regime democratico; i valori morali radicalmente sovvertiti debbono essere rivivificati. [.. .].
«Il crollo del comunismo mette in questione l’intero itinerario culturale e socio-politico dell’umanesimo europeo, segnato dall’ateismo non solo nel suo esito marxista, e mostra coi fatti, oltre che in linea di principio, che non è possibile disgiungere la causa di Dio dalla causa dell’uomo».
Oggi è forse di qualche utilità affiancare il passaggio del documento vaticano a un passaggio tratto dai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci (1891-1937): «La filosofia della praxis – questo il nome con cui il pensatore sardo indica il materialismo dialettico e storico – presuppone tutto questo passato culturale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la rivoluzione francese, il calvinismo e la economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della praxis èil coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale […]. Corrisponde al nesso Riforma protestante + Rivoluzione francese».
Ascoltata ad abundantiam e a conferma et altera pars, «anche l’altra parte», torno ai miei – ai nostri – consueti riferimenti. Il 12 ottobre 1992, nel cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America, tenendo a Santo Domingo il discorso Nueva Evangelizaci6n, Promoci6n humana, Cultura cristiana. «Jesucristo ayer, hoy y siempre», Papa Giovanni Paolo Il ha detto: «[…] non possiamo dimenticare che la storia recente ha mostrato che quando, sotto la copertura di certe ideologie, vengono negate la verità su Dio e la verità sull’uomo, si rende impossibile costruire una società dal volto umano. Con la caduta dei regimi del cosiddetto “socialismo reale” nell’Europa orientale si deve sperare che […] si traggano le deduzioni pertinenti sul valore effimero di tali ideologie».
«Purtroppo – la notazione è del regnante Pontefice nel discorso ai partecipanti al 111 Forum Internazionale della Fondazione Alcide De Gasperi, del 23 febbraio 2002 -, alla metà dello scorso millennio ha avuto inizio, e dal Settecento in poi si è particolarmente sviluppato, un processo di secolarizzazione che ha preteso di escludere Dio e il cristianesimo da tutte le espressioni della vita umana.
«Il punto d’arrivo di tale processo è stato spesso il laicismo e il secolarismo agnostico e ateo, cioè l’esclusione assoluta e totale di Dio e della legge morale naturale da tutti gli ambiti della vita umana. Si è relegata così la religione cristiana entro i confini della vita privata di ciascuno. Non è significativo, da questo punto di vista, che dalla Carta d’Europa sia stato tolto ogni accenno esplicito alle religioni e, quindi, anche al cristianesimo?».
Dunque, tali «deduzioni pertinenti» non potranno per certo essere tratte finché non si procederà all’esame critico dell’intero itinerario dell’umanesimo europeo. Il che pare ben lungi dall’essere imminente, come testimonia quanto è accaduto a proposito del Trattato Costituzionale europeo e del mancato riferimento alle radici ebraico-cristiane della civiltà occidentale. Così, la mancata diagnosi e la falsificazione della cartella clinica lasciano il malato, appunto l’Occidente, in uno stato d’abbandono, febbricitante e infastidito – per dire il meno – da piaghe da decubito. E, quando e mentre le cure umane ritardano, cresce oggettivamente la necessità del miracolo.
BIBLIOGRAFIA
Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per l’Europa svoltasi dal 28 novembre al 14 dicembre 1991, Dichiarazione «Siamo testimoni di Cristo che ci ha liberato», s. d. ma resa pubblica il 13-12-1991.
Dossier: Considerazioni sul Comunismo
IL TIMONE – N. 36 – ANNO VI – Settembre/Ottobre 2004 – pag. 44 – 45