Nella mentalità comune dell’uomo di oggi prevale il concetto che, non essendovi nulla di certo a questo mondo, ciascuno sia libero di credere in ciò che vuole: in tal modo però si rischia di confondere la libertà di pensiero col relativismo. Il moltiplicarsi delle informazioni che riceviamo dal mondo esterno e le accresciute possibilità di conoscere tutti i punti di vista degli altri, ci hanno reso senz’altro più tolleranti ma anche più disorientati. «È così accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l’alto per osare di raggiungere la verità dell’essere», diceva Giovanni Paolo II, e aggiungeva: «La filosofia moderna, dimenticando di orientare la sua indagine sull’essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza umana. Invece di far leva sulla capacità che l’uomo ha di conoscere la verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i condizionamenti. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle sabbie mobili di un generale scetticismo» (Fides et Ratio, 5).
Col tempo, il relativismo è diventato un “dogma” in cui tutti siamo costretti a credere per non sentirsi diversi e isolati dagli altri. Anche Benedetto XVI si era accorto di questo fenomeno, e affermava che la ragione possiede gli strumenti per giungere alla verità, ma che la sua capacità viene drasticamente ridotta dalla fede nel relativismo, che va sempre più assumendo i connotati di una nuova religione. Questa «autolimitazione della ragione», come lui la definiva, conduce a un progressivo indebolimento della ragione, che a sua volta va ancora di più a nutrire il relativismo. La conseguenza finale è, come sappiamo, la dittatura del relativismo, che viene diffusamente accettata nonostante la palese contraddizione di porsi come verità assoluta dopo aver negato sia l’esistenza di verità assolute e sia la possibilità di conoscerle.
Secondo tale impostazione, l’unica apertura che dobbiamo avere è quella verso la cosiddetta modernità, piegandoci al falso presupposto ideologico per il quale «la verità è figlia del tempo» (Francesco Bacone), e ciò che è passato perde di valore, mentre ciò che è nuovo diventa verità solo in quanto nuovo, dimenticando però che anche il nuovo è destinato a diventare vecchio. Tutti i programmi di storia e di filosofia nelle scuole sono impostati secondo questo storicismo progressista, che alla fine disorienta i giovani e li conduce verso la resa al soggettivismo edonistico, in cui a determinare la propria ricerca è solo il proprio tornaconto. Alla fine l’uomo smarrisce perfino il suo naturale desiderio di verità, e rimane vittima indifesa delle mode, senza più alcuna capacità di giudizio di bene e di male.
Quando un soggetto ridotto in tali condizioni giunge a contatto con l’annuncio cristiano, lo vede come avvolto in una nebbia, allo stesso modo di chi, nell’oblio dell’alcol, vede tutto sfuocato. Come ha acutamente osservato Benedetto XVI, «avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il la- Relativismo & C. sciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» (Omelia del 18 aprile 2005).
Alla verità viene semmai contrapposto il pluralismo, inteso non come libertà di ricerca mossa dal desiderio del vero e del bene, ma come indifferentismo: «La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull’assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo» (Fides et Ratio, 5). Tale distorsione si è fatta strada perfino nella mente di molti cattolici, che, interrogati sulle religioni, spesso rispondono che in fondo si equivalgono perché tutte dicono di portare a Dio. Ma la Dominus Iesus (“Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa”, firmata Joseph Ratzinger) è molto chiara su questo punto: «La Chiesa esclude radicalmente quella mentalità indifferentista improntata ad un relativismo religioso che porta a ritenere che una religione vale l’altra», e pertanto, «se è vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici» (n. 22).
In conclusione, Benedetto XVI dichiarava possibile sottrarsi alla dittatura del relativismo, sia con i mezzi della filosofia, se questa sa sottrarsi all’autolimitazione della ragione, sia con i mezzi della teologia, se sa riappropriarsi del concetto di Verità, rivelatasi a noi nel Dio fatto uomo («Io sono la Via, la Verità, la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di Me» (Gv 14,6). Solo unendo fede e ragione potremo salvarci e recuperare il mondo.
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 61
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