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11.12.2024

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Relativismo, nichilismo e legge naturale
31 Gennaio 2014

Relativismo, nichilismo e legge naturale

 

 

 

Critiche agli argomenti pro relativismo e pro nichilismo del filosofo cattolico Dario Antiseri.

 
 
La conoscibilità della legge naturale è un punto dell’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI che il mondo laicista attacca sistematicamente e che è stato recepito con fatica nello stesso mondo cattolico.
Il magistero della Chiesa sostiene, anche con solidi argomenti razionali, che si può conoscere la verità su ciò che è bene e che perciò vi è l’obbligo morale di cercare la verità e di aderire ad essa una volta conosciuta.
Dario Antiseri, filosofo cattolico e docente alla LUISS di Roma, dissente da questa posizione. In un intervento su Vita e Pensiero, rivista dell’Università Cattolica di Milano (5/2005), Antiseri sostiene le proprie tesi a favore di relativismo e nichilismo.
A proposito del relativismo afferma che:
• se regge la «legge di Hume», ciò che è bene non può essere conosciuto con la ragione, ma dipende dalle scelte di coscienza di ogni singola persona;
• chi presume di conoscere la verità e il bene è intollerante;
• lo stesso tentativo di conoscere il bene e il male equivarrebbe a cadere di nuovo nella seduzione del serpente che promise ai nostri progenitori di diventare come Dio, conoscendo il bene e il male.
A proposito del nichilismo, dopo aver posto la distinzione tra un nichilismo inaccettabile e disumano e uno sostenibile e umano, sorgente di tolleranza e terreno accogliente per la crescita del sacro, Antiseri afferma che:
• se con nichilismo s'intende «l’impossibilità da parte dell’uomo di costruire un senso assoluto della vita» allora esso equivale alla riconquista dello spazio del sacro, perché se l’uomo fosse costruttore e padrone del senso, Dio sarebbe semplicemente un’illusione inutile.

Esaminiamo questi argomenti.
1. La «legge di Hume» dice che dalla descrizione di un fatto non può derivare alcuna prescrizione morale. Per fondare razionalmente l’etica sarebbe necessario conoscere ciò che è bene; ma ciò implicherebbe conoscere la natura di una cosa (perché il bene di qualcosa è ciò che ne consente l’attuazione). E questo secondo Hume non è possibile perché dalle conoscenze empiriche non si può risalire alla natura di qualcosa. L’esatto opposto della massima latina che recita: da mihi factum, dabo tibi ius, cioè dammi il fatto, ti darò il diritto, ti dirò ciò che è giusto.
Ma Hume, diversamente dagli antichi, parte da un’idea di esperienza limitata ai sensi; per lui le impressioni sensibili rivelano esclusivamente le proprietà fisiche delle cose; la causalità e la sostanza, a cui risaliamo come condizioni dell’esistenza di certi effetti, non sono reali, ma una credenza della mente che si genera a causa della contiguità, della somiglianza e del congiungimento costante con cui determinate impressioni sensibili si presentano: «Così, ricordiamo di aver visto quella specie di oggetto che chiamiamo fiamma, e di aver sentito quella specie di sensazione che chiamiamo calore. Noi ricordiamo parimenti il loro costante congiungimento in tutti i casi passati. Senza tante cerimonie chiamiamo la prima causa e il secondo effetto, e inferiamo l’esistenza di questo dall’esistenza di quella» (Trattato sulla natura umana, Laterza, 1971, p. 100). Verrebbe da chiedersi: quale mente genera la credenza nella causalità e nella sostanza, visto che gli enti (sostanze) non esistono? In ogni caso Hume conclude che il nesso di causalità e il sostrato che chiamiamo sostanza sono solo credenze senza fondamento nella realtà.
In contrario l’esperienza attesta che la conoscenza non va ridotta alle impressioni sensibili. L’uomo, quando conosce, attiva tutte le facoltà che possiede: quelle corporee (conoscenza sensibile), quelle emotive (conoscenza empatica) e quelle razionali. Queste ultime non operano solo attraverso il ragionamento, ma anche attraverso l’intuizione intellettuale che ha la funzione di trarre dalla realtà le conoscenze universali su cui successivamente si esercita il raziocinio. La capacità di conoscere la natura delle cose è costitutiva dell’uomo, essa può essere mostrata e descritta, non dimostrata.
2. L’alternativa al relativismo non è l’intolleranza. La convinzione di Antiseri secondo cui «è intollerante colui che presume di sapere in cosa consiste il vero bene, di essere in possesso di quel bene assoluto che egli si sente legittimato a imporre ai suoi simili, magari con lacrime e sangue», mi sembra giocare sull’equivoco: nessun uomo può possedere la verità assoluta, se non altro perché il suo intelletto è limitato e non può «contenere» l’infinito. La conoscenza è sempre parziale, approssimata e imperfetta, ma ciò nonostante oggettiva nella misura in cui corrisponde alla realtà. Una conoscenza vera è una conoscenza oggettiva, non una conoscenza perfetta.
Il relativismo solo in apparenza riconosce il limite e la relatività del sapere umano, nella sostanza esso afferma come verità assoluta che non si può conoscere la verità. E questa è una contraddizione. Inoltre il rapporto con la verità non può essere pensato in termini di «possesso – imposizione». Questi concetti manifestano un modo di pensare il rapporto con l’essere esercitato come potere, mentre la relazione originaria, e quindi costitutiva, tra l’uomo e la realtà è quella dell’accoglienza: riconosco la verità delle cose solo con l’assenso libero.
3. La terza considerazione (di Antiseri) a favore del relativismo e quella a sostegno del nichilismo sono legate tra loro. Partendo dall’affermazione che tutto ciò che è umano, in questo caso i principi etici fondamentali, non può che essere storico, contestabile e relativo, Antiseri trae come conseguenza che il cristiano non può predicare nessun valore in modo assoluto pena la sua metamorfosi in idolatra.
Su questo punto bisogna osservare che la verità del bene non è prodotta dalla ragione, ma solo riconosciuta da essa. Non spetta alla coscienza dell’uomo decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo, le spetta invece di giudicare cosa sia bene in una certa situazione alla luce della legge naturale.
La legge naturale è il grado di ragione partecipata da Dio all’uomo con cui quest’ultimo conosce il vero/bene. Dio è l’unica e definitiva fonte dell’ordine morale nel mondo. L’uomo diventa idolatra non quando riconosce e afferma la verità del bene, ma quando, sotto l’influenza del padre della menzogna, sradica la propria libertà dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità.

 
 
 
 
RICORDA
 
«È di per sé evidente che esiste la verità; perché chi nega esistere la verità ammette che esiste una verità; infatti se la verità non esiste sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualcosa di vero, bisogna che esista la verità».
(Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I, q. 2, a. 1).

 

 
 
BIBLIOGRAFIA
 

Giovanni Paolo II, Enciclica Dominum et vivificantem, 1986.
Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor, 1993.
Giorgio Maria Carbone, Alle critiche si risponde, in il Timone, n. 47, pp. 39-41.
Giacomo Samek Lodovici, La dittatura del relativismo, in il Timone, n. 46, pp. 32-33.

IL TIMONE – N.50 – ANNO VIII – Febbraio 2006 – pag. 30-31

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