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11.12.2024

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Ricordando i nostri defunti
31 Gennaio 2014

Ricordando i nostri defunti



 

 

Una riflessione sulla morte, tanto presente spesso a sproposito sui nostri media, eppure tanto relegata fra le cose da dimenticare. invece, l’unione con le anime dei defunti è consolidata in una stupenda comunione di beni spirituali.

 

«Pregarono anch’essi per quelli che giacciono sotto i cipressi». Ritornano sempre in mente questi versi di Antonio Fogazzaro, ogni qualvolta si ha modo di passare davanti a un cimitero oppure nella giornata del due novembre dedicata ai nostri cari defunti.
Immancabilmente quel giorno quasi tutti si recano a far visita alla tomba di qualcuno che non si riesce a cancellare facilmente dalla memoria: o per portare un fiore, o per versare ancora una lacrima; ma c’è anche chi va a riflettere sul senso della vita che scorre inarrestabilmente come un fiume e a mettersi più ancora a contatto con chi non c’è più sulla terra, ma vive per sempre, attraverso un’intensa preghiera di suffragio. Si è, comunque, di fronte ad un tema di grande attualità: quello della morte, che, purtroppo, si riaffaccia di continuo, anche se negli ultimi decenni si è fatto di tutto per eliminarlo o almeno per cercare di non parlarne. Sta di fatto, però, che mai come oggi il problema della morte è divenuto tanto grave. C’è di mezzo la questione dell’eutanasia, perché si tende ad eliminare dalla nostra visuale dolore e sofferenza, mentre i dati statistici dei suicidi per depressione o per altri motivi si moltiplicano a dismisura; e così pure quanti lasciano la vita nei numerosi incidenti stradali e nei numerosissimi disastri naturali e terroristici.
Si fa di tutto perché non se ne parli. Non si muore più in casa come un tempo, ma stranamente giornali, riviste e telegiornali riempiono la nostra fantasia di questo pensiero penoso: si muore dappertutto. La morte, è vero, non piace a nessuno; eppure la nostra vita si sconta morendo. Perché mai c’è da chiedersi? C’è paura della morte, eppure pare che nessun popolo, anche nei tempi arcaici, abbia mai pensato, in qualche modo, che la morte fosse la fine di tutto. I Greci fecero del sonno e della morte due fratelli gemelli, mentre altre antichissime civiltà come quella etrusca e precedentemente quella faraonica ed altre ancora hanno dato ampio spazio alla sacralità della vita, lasciando alla storia migliaia e migliaia di tombe funerarie straordinariamente affrescate dai più grandi artisti dell’epoca.
L’uomo con l’istinto del cuore, come ci ricorda il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes (n. 18), giudica rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità che porta con sé, irriducibile come è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo: il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che sta nel suo cuore. Ecco perché le religioni storiche ci offrono una chiara documentazione della fede in un mondo ultraterreno, di pace per coloro che hanno manifestato in vita rettitudine di condotta e di tormento per quanti hanno fatto del male. Non per nulla anche i testi antichissimi sostengono che perfino il comportamento del faraone un giorno sarà passato al vaglio del giudizio definitivo.

Il culto dei defunti nel mondo ebraico
Come è risaputo, secondo il racconto biblico, la morte è subentrata nella vita dell’uomo in seguito al peccato. Dio non ha creato la morte, né la vuole; essa è opera di Satana (Sapienza 1,13).
Si ritiene utile ricordare, inoltre, che successivamente nel mondo biblico sarà molto diffusa la pratica negromantica, cioè il mettersi a contatto con i defunti, mediante la loro evocazione. Così si ha modo di leggere che il re Saul evoca lo spirito di Samuele per conoscere in anticipo quale sarà l’esito della guerra da lui condotta contro i filistei (Samuele 28,7). Tutto questo, per la stessa Bibbia è una cosa illecita, assurda e arrogante: ecco perché i negromanti dovranno addirittura essere messi a morte (Levitico 20,27).
È doveroso riconoscere, comunque, che, nella Bibbia, si è sempre mantenuto il contatto con l’aldilà, anche se non sempre in maniera consentita. La ferma condanna della negromanzia non voleva indicare la necessità di dimenticare i propri defunti. Basti ricordare che nel secondo Libro dei Maccabei, testo riconosciuto canonico dagli Ebrei ed accolto nel Canone della Chiesa Cattolica, vengono raccomandati vivamente i sacrifici espiatori e le preghiere al Signore per le anime dei defunti e per la remissione dei loro peccati (cfr. 2 Maccabei 12,38-45).

La memoria dei defunti nel pensiero cristiano
Sinteticamente se ne parla in uno dei documenti più importanti del Concilio Vaticano II, la Costituzione dogmatica Lumen gentium (n. 50): «La Chiesa dei “viatori”, dai primi tempi della religione cristiana, coltivò con grande pietà la memoria dei Defunti, e, poiché santo e salutare è il suo pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati, ha offerto per loro anche dei suffragi».
La Chiesa, cioè, ha tradotto in pratica la raccomandazione contenuta nel secondo Libro dei Maccabei, nella piena convinzione che i sacrifici offerti a Dio per la remissione dei peccati di coloro che, morendo, avrebbero avuto ancora bisogno di purificazione, sarebbero stati efficaci e doverosi.
Si tratta della ben nota dottrina circa l’esistenza del Purgatorio, sintetizzata successivamente nei numeri 1030-1031-1054 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
I fedeli cattolici, infatti, sono tenuti a credere nell’esistenza del Purgatorio, cioè nello stato di quanti muoiono nell’amicizia di Dio, ma benché sicuri della loro salvezza eterna hanno ancora bisogno di purificazione per entrare nella beatitudine celeste. Si entra, così, nel circuito della Comunione dei Santi, che è una delle verità contenute nel Credo e cioè la partecipazione di tutti i membri della Chiesa, cioè di quanti per la grazia so-no uniti al Cristo morto e risorto (Chiesa pellegrinante, Chiesa purgante e Chiesa dei Beati), ai carismi e ai doni spirituali derivanti dalla reciproca carità.
«Così in virtù della comunione dei santi, i fedeli ancora pellegrini sulla terra possono aiutare le anime del purgatorio offrendo per loro preghiere di suffragio, in particolare il Sacrificio eucaristico, ma anche elemosine, indulgenze e opere di penitenza».
Ecco perché la giornata in cui si fa particolare memoria dei nostri cari defunti è molto importante: proprio perché ci ricorda questo aspetto della nostra fede, di non lieve entità teologica e antropologica. Si è convinti, infatti, che il vincolo che ci unisce con i defunti è profondamente radicato nella comunanza della partecipazione alla vita di grazia che scaturisce da Gesù Cristo. Solo le anime dell’inferno, a motivo della loro piena consapevolezza di avversione volontaria di Dio, non rientrano in questa comunione. Ma, poiché il Signore dà a tutti la possibilità di pentirsi fino all’ultimo istante della vita (cfr. Pietro 3,9), noi dobbiamo pregare per tutti i defunti, anche per quanti di loro, durante la propria esistenza sulla terra, si fossero resi colpevoli di orrendi delitti.
Quando un giorno conosceremo il mistero adorabile della vita divina, ci renderemo conto anche del valore sconfinato di questa nostra comunione d’amore. Saremo una sola cosa tutti insieme e avremo la felicità di cantare gloria a Dio con tutte le voci alle quali la nostra sarà unita: «Canterò in eterno le misericordie del Signore». Ricordiamoci, quindi, frequentemente, che la nostra unione con le anime dei defunti non è affatto spezzata, ma è fortemente consolidata in una stupenda comunione di beni spirituali.

 
 
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
E. Krebs, Occhio mai vide, Roma 1950. Si tratta di una sintesi della dottrina cattolica circa l’aldilà.
Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, del 7 dicembre 1965.
Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, del 21 novembre 1964.
Catechismo della Chiesa Cattolica, 1992.
 
 
 
 
 
 
 
N. 57 – ANNO VIII – Novembre 2006 – pag. 50 – 51

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