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10.12.2024

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Ricordati di santificare le feste
31 Gennaio 2014

Ricordati di santificare le feste

 

 

 

 

Il terzo comandamento è riportato nel libro dell’Esodo come segue: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo. Sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio. Tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro” (Es 20,8-11, cfr Dt 5,12-15).
Questo comandamento chiede in primo luogo di fare memoria della creazione, e poi di fare memoria della liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto. Inoltre, il Signore chiede al suo popolo che il settimo giorno diventi segno dell’alleanza perenne tra Dio e l’umanità. Da allora, per secoli e millenni, il tempo dell’uomo è stato scandito in sette giorni. Oggi in quasi tutto il mondo esiste la settimana, anche se molti ignorano che essa proviene dalle prescrizioni del Sinai. Nel mondo cristiano il settimo giorno viene liturgicamente celebrato di domenica perché Gesù è risorto “il primo giorno della settimana”, e cioè il giorno dopo il sabato (Mt 28,1; Mc 16,2; Lc 24,1; Gv 20,1). Il Catechismo ricorda che “in quanto primo giorno il giorno della Risurrezione di Cristo richiama la prima creazione” ma “in quanto ottavo giorno, che segue il sabato, esso significa la nuova creazione inaugurata con la Risurrezione di Cristo” (CCC n. 2174). Per questo la domenica è diventata per i cristiani il più importante fra tutti i giorni, il giorno del Signore (dies dominica).
Alcuni movimenti cristiani (per esempio gli Avventisti del Settimo Giorno) si dichiarano favorevoli al ripristino del sabato ebraico, definendo addirittura la domenica “il marchio della bestia”. Ma la tradizione di celebrare la domenica risale fino ai tempi apostolici: già nel libro degli Atti leggiamo: “Il primo giorno della settimana c’eravamo riuniti a spezzare il pane… c’era un buon numero di lampade nella stanza superiore, dove eravamo riuniti… (e Paolo) spezzò il pane e ne mangiò” (At 20,7-11). Anche la Didachè, di poco successiva, chiama il primo giorno della settimana “la domenica del Signore”.
Del resto già nel primo secolo la Chiesa primitiva, a seguito di alcuni attriti con l’autorità giudaica, manifestò subito la propria autonomia da essa, tanto che nel concilio di Gerusalemme del 49 fu dichiarata ufficialmente l’indipendenza del culto cristiano da quello ebraico. Anche San Giustino, agli inizi del secondo secolo, scriveva: “Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti” (Apologie 1,67).
La domenica è dunque a pieno titolo giorno della Risurrezione, della nuova creazione. Ma è anche giorno della comunità perché il Signore vuole che la gioia di questa festa sia condivisa con tutti i fratelli (si legga la bella Lettera Apostolica Dies Domini). L’agape fraterna è sigillata dalla liturgia sacrificale per cui la domenica diventa anche giorno dell’Eucarestia, e prefigurazione del banchetto celeste. Il valore escatologico del settimo giorno illumina tutta quanta la settimana terrena: attraverso la domenica anche tutti gli altri giorni possono diventare tempo sacro da vivere con Dio. Già la semplice astensione dal lavoro ci ricorda che non dobbiamo restare sottomessi alla schiavitù del lavoro e al culto del denaro, ma anzi dobbiamo evitare il pericolo che tutta la nostra esistenza perda la sua vera direzione. La mancata osservanza del terzo comandamento porta gradualmente alla perdita di significato dell’intera esistenza. I cristiani guardano con sospetto i tentativi per rendere lavorativi i giorni domenicali, perché in essi si cela l’insidia di una visione del tempo non più scandita dal sacro, non più storia di salvezza, ma piatto e ripetitivo scorrere delle ore prive di dignità e di senso.

IL TIMONE – N. 30 – ANNO VI – Febbraio 2004 – pag. 61

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