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15.12.2024

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Riparazione & purificazione
31 Gennaio 2014

Riparazione & purificazione


Nel lungo e faticoso cammino della vita, il “tempo della prova”, ogni uomo si “impolvera”. Così necessita di ripristinare l’antico candore acquisito con il Battesimo. La Chiesa ha i mezzi per realizzare questa possibilità. Vediamoli


La sapienza misericordiosa del Signore non si è preoccupata soltanto della formazione dell’uomo “nuovo”: ha voluto che ci fosse anche una strada atta a porre rimedio ai prevedibili deterioramenti post-battesimali. Come un progettista avveduto, oltre all’approntamento del suo capolavoro egli ha pensato alla “riparazione” e alla “manutenzione”.
Il discepolo di Gesù esce dal sacro fonte in uno stato di perfetta innocenza, che rende il neobattezzato degno e pronto a entrare nella gloria della vita eterna. Ma tra il battesimo e l’ingresso aperto e definitivo nel Regno c’è di mezzo il “tempo della prova”, da trascorrere a contatto con il “mondo” e con le sue occasioni di male; si rende allora necessario un percorso sacramentale di purificazione che alla fine ripristini l’assoluto candore della “nuova nascita”, in modo che si ritrovi la perfetta idoneità a essere accolti nella dimora di colui che è il “Santo”. Sono questi i momenti di tale percorso:
– il sacramento della penitenza o della riconciliazione;
– il sacramento dell’olio degli infermi; – il sacramento dell’eucaristia (e segnatamente come “viatico”);
– la purificazione ultraterrena.

Il sacramento della penitenza

Nel sacramento della penitenza o della riconciliazione il battezzato, pentito e deciso a non peccare più, si accusa al sacerdote delle colpe commesse, riceve e accetta da lui l’imposizione di un’opera di espiazione e ne ottiene l’assoluzione. Come ci insegna il Catechismo, gli effetti di questo sacramento sono: «la riconciliazione con Dio e quindi il perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il recupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenza del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano» (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 310).
È una felice ricchezza della fede cattolica (e una fonte inesauribile di speranza e di rianimazione per tutti) la verità che ogni figlio di Dio – quale che sia la gravità e la quantità delle passate trasgressioni – può sempre ricominciare da capo a ripercorrere la strada della salvezza, sicuro che il Padre del Signore nostro Gesù Cristo (e Padre nostro) in ogni istante è pronto a riabbracciarlo e a riammetterlo nella sua amicizia.
In questo sacramento si esprime nel modo più alto ed efficace la “virtù della penitenza”, che va esercitata in ogni ora dell’esistenza cristiana. La virtù della penitenza è la permanente attitudine al pentimento interiore e il desiderio sempre vivo di una totale giustizia interiore.

L’olio degli infermi
Per chi è seriamente malato o ha le forze indebolite per la vecchiaia il Signore dispone di un altro mezzo di conforto e di purificazione: il sacramento dell’olio degli infermi.
«Esso conferisce una grazia particolare, che unisce più intimamente il malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa, donandogli conforto, pace, coraggio, e anche il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto confessarsi. Questo sacramento consente talvolta, se Dio lo vuole, anche il recupero della salute fisica. In ogni caso, questa unzione prepara il malato al passaggio alla casa del

L’eucaristia
Nella piena riammissione al banchetto eucaristico (anche con la comunione sacramentale) si può ravvisare l’atto ultimo e conclusivo del percorso di restaurazione del battezzato. È fortissima la connessione tra i due sacramenti: non è possibile la piena partecipazione all’eucaristia se non dopo che si è ottenuta l’assoluzione di tutti i peccati gravi nel sacramento della riconciliazione; e d’altra parte la piena partecipazione al banchetto eucaristico è l’esperienza soprannaturale più alta del perdono di Dio.
L’eucaristia ricevuta quando si sta per lasciare la scena terrena assume il nome di “viatico”: «Ricevuta nel momento del passaggio da questo mondo al Padre, la comunione al Corpo e Sangue di Cristo morto e risorto è seme di vita eterna e potenza di risurrezione» (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 320).
Come si vede, contrariamente a una persuasione e a una pratica purtroppo ancora diffuse non è l’olio degli infermi bensì il viatico il «sacramento dei morenti».

Il termine “viatico”
“Viaticum” è parola latina che indica le provviste da procurarsi prima di mettersi in cammino. Nel linguaggio ecclesiale, fin dai tempi antichi, significa il cibo soprannaturale che si assume per meglio affrontare l’ultimo e decisivo viaggio che ci attende dopo la conclusione del nostro soggiorno terreno.
Suggestivo, a questo proposito, è il racconto della morte di sant’Ambrogio – avvenuta all’alba del sabato santo 4 aprile 397 – steso dal segretario Paolino (che era testimone oculare): «Onorato, vescovo della Chiesa di Vercelli, essendosi adagiato per riposare al piano superiore della casa, udì per tre volte la voce di uno che lo chiamava e gli diceva: Alzati in fretta perché sta per morire. Egli, disceso, recò al morente il santo corpo del Signore; non appena ricevutolo e deglutitolo, spirò recando con sé un buon cibo per il viaggio, così che la sua anima, ancor più ristorata dalla virtù di quel cibo, ora si allieta del consorzio degli angeli, di cui condivise in terra la vita, e della compagnia di Elia; perché, come Elia, anch’egli, spinto dall’amor di Dio, non ebbe mai paura di parlare ai re e a tutti i potenti».

La purificazione ultra terrena

Sia attraverso i sacramenti e gli altri atti ecclesiali sia nelle varie forme ascetiche scelte liberamente dai singoli, l’esistenza cristiana è interamente caratterizzata dall’impegno non solo a custodire ma anche ad accrescere e portare a compimento la “novità battesimale”. Questo impegno comporta la volontà di tener vivo l’atteggiamento di distacco dal male e quindi di pentimento, di sciogliere ogni debito con la giustizia di Dio attraverso la mortificazione e le opere penitenziali, di attendere senza stanchezza alla purificazione del proprio mondo interiore. Tutto ciò per arrivare allo stato di “splendore soprannaturale” necessario per la partecipazione piena e disvelata alla santità e alla gloria della Trinità beata. Poiché è fatale che l’uomo – anche se vive in grazia – sulle strade del mondo sempre raccolga un po’ di polvere inquinante, il tempo della purificazione quaggiù non finisce mai: la sollecitudine ascetica e la penitenza terrena costituiscono il nostro primo “purgatorio”.
Ma a raggiungere la perfezione dovuta – dal momento che quaggiù cadiamo in qualche incoerenza anche mentre attendiamo alla penitenza e all’ascesi – è indispensabile che ci sia riservata una condizione in cui sia ancora possibile continuare a purificarsi e non sia più possibile nessuna sopravveniente contaminazione. Per questo il Signore ci dà l’opportunità anche di una “purificazione ultraterrena”, nella quale il fuoco d’amore possa definitivamente bruciare ogni scoria: è il “mistero del purgatorio”, previsto appunto dalla misericordia divina perché l’uomo, che conclude in grazia di Dio la sua avventura nel mondo, sia posto nella giusta condizione di accedere alla luce intemerata della vita eterna. Nel purgatorio, l’uomo riordina le sue persuasioni, i suoi desideri, le passioni dell’anima; riconosce i suoi errori, rettifica le sue speranze, lascia che il suo essere interiore sia permeato dal fuoco della carità divina. È una sofferenza pungente, perché nessun vero risanamento dello spirito si compie senza fatica e senza pena. E così si adempie anche ogni giustizia: la giustizia infatti esige l’espiazione per ogni deformità morale pur se lieve. Ma in questo lavorìo di purificazione ultra terrena il fedele può essere efficacemente aiutato dalle nostre preghiere di suffragio e specialmente dalla celebrazione della messa: qui sta il fondamento dell’antichissimo e umanissimo culto cristiano per i defunti.

L’insegnamento del Concilio di Trento

L’intervento più autorevole del magistero ecclesiale sul purgatorio è il decreto del Concilio Tridentino promulgato nella sessione XXV del 3 dicembre 1563. Di fronte al lussureggiare di considerazioni, di ipotesi, di descrizioni gratuite su questo tema, il santo Sinodo si limita con la massima concisione a precisare tre soli punti:
– l’esistenza di un «purgatorio», cioè di una purificazione ultra terrena;
– l’utilità e il valore dei suffragi, in particolare del «sacrificio dell’altare»;
– la raccomandazione alla sobrietà, alla prudenza e alla serietà nel trattare l’argomento, evitando le questioni troppo sottili e difficili, le opinioni incerte e infondate, le fantasie arbitrarie, tutto ciò che possa favorire la superstizione e gli abusi.
Sarà bene che ci atteniamo tutti a questa saggezza e a questa moderazione.



IL TIMONE  N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 48 – 49

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