Fine teologo e grande polemista, si occupò delle più scottanti questioni dottrinali del proprio tempo. Fu tomista, ma risentì anche dell’influsso di Sant’Agostino e scrisse un diffusissimo catechismo. Interessante è il suo pensiero politico, fondato sulla dottrina del diritto naturale.
«Nulla ha riferito delle sue «virtù perché non sa se , veramente ne abbia. Ha taciuto i vizi perchè non sono degni che se ne scriva e volesse il cielo che nel giorno del giudizio risultino cancellati dal libro di Dio. Amen»: così Roberto Bellarmino conclude la sua Autobiografia scritta in terza persona, «dietro insistente richiesta di un amico e confratello nel mese di giugno del 1613».
Nato nel 1542 a Montepulciano, oggi in provincia di Siena, entrato nella Compagnia di Gesù nel 1560, ordinato prete nel 1570, creato cardinale nel 1599, nominato arcivescovo di Capua tre anni più tardi, fine teologo e grande polemista, Bellarmino fu beatificato nel 1923, canonizzato nel 1930 e dichiarato Dottore della Chiesa l'anno seguente: per quanto brevi, questi cenni biografici sembrano già ampiamente sufficienti al fine di valutare correttamente l'importanza della figura di questo autentico protagonista della Riforma cattolica all'indomani del Concilio di Trento.
Ma c'è un altro elemento particolarmente significativo da tener presente per comprendere più a fondo la personalità e l'opera di questo grande uomo di Chiesa, figlio di una sorella di papa Marcello Il, che, fin dalla prima infanzia, lo educò a una religiosità devota e rigorosa: Bellarmino, a motivo delle sue notevoli capacità intellettuali e della sicura competenza teologica, fu chiamato a interessarsi delle più scottanti questioni dottrinali del proprio tempo, tanto che lo troviamo impegnato, nell'ordine, contro l'eresia baianista, nella controversia sulla predestinazione scoppiata fra Molina e Banez, nell'aspro scontro fra la Santa Sede e la città di Venezia difesa dal servita Paolo Sarpi, nella polemica contro l'assolutismo religioso del re d'Inghilterra Giacomo I Stuart, nella controversia gallicana esplosa dopo la pubblicazione di un'opera di Barclay sul potere del Papa, nel primo drammatico processo a Galileo, che segnò duramente gli ultimi dieci anni della sua intensa esistenza.
Non è difficile comprendere come tutta questa delicata e complessa attività gli abbia procurato critiche e attirato antipatie, al punto che il processo per la sua canonizzazione, più volte interrotto, si è protratto per trecento anni. Studioso di vaglia, abile divulgatore delle verità cristiane, docente assai stimato (insegnò nei collegi dei Gesuiti di Firenze, Mondovì, Lovanio e Roma, contribuendo, fra l'altro, alla redazione della celebre «Ratio Studiorum» – cioè il percorso educativo-culturale – della Compagnia di Gesù), Bellarmino dette prova anche di sincero zelo apostolico e nei tre anni del suo episcopato captano rianimò sin dalle fondamenta la vita della diocesi, distinguendosi nella predicazione e nella carità.
Alla morte, che lo colse a Roma il 17 settembre del 1621, il Santo Dottore lasciò una cospicua mole di scritti, tra cui spiccano alcune opere di divulgazione della fede, quali la Dottrina cristiana breve, la Breve istruzione sui Sacramenti e la Dichiarazione più copiosa della dottrina cristiana che vanno a comporre il suo celebre Catechismo.
A proposito di questo testo davvero fondamentale, è opportuno notare che Bellarmino, uomo di cultura molto elevata, teologo di rara finezza e abilissimo polemista, non disdegnò affatto di comporre un testo di facile lettura e di immediata comprensione: «Nell'insegnamento della Dottrina Cristiana – egli annota nell'Introduzione – conviene aver riguardo a due cose, alla necessità e alla capacità», ovvero bisogna saper distinguere, all'interno delle verità di fede, ciò che è essenziale da ciò che non lo è, e bisogna altresì tenere in debito conto il livello intellettuale e culturale dei destinatari dell'insegnamento catechistico. «Mettiamo in carta – scrive ancora il celebre porporato – prima di tutto quello che si deve far imparare a mente con una brevissima dichiarazione; dipoi un'altra dichiarazione più copiosa per quelli che insegnano la Dottrina Cristiana, la quale però sia accomodata alla capacità delle persone semplici»: Bellarmino manifesta dunque con grande chiarezza il suo intento di divulgatore. Peraltro, era stato lo stesso Papa Clemente VIII a indicargli la strada, preoccupato per la diffusione di testi non sempre adatti allo scopo, secondo quanto egli stesso scrive nel Breve con cui approva il Catechismo bellarminiano. Il pontefice riteneva opportuno che la Chiesa potesse disporre di un Catechismo ufficiale e affidò il compito di redigerlo al più sapiente dei suoi collaboratori: ne scaturì il libro più diffuso della cattolicità dopo il Vangelo e l'Imitazione di Cristo, tradotto in sessanta lingue e adottato da tutta la Chiesa per oltre tre secoli.
In campo filosofico, Bellarmino fu un tomista, ma risentì anche dell'influsso di Sant'Agostino. Assai interessante è il suo pensiero politico, fondato su una solida dottrina del diritto naturale, all'interno del quale spicca la concezione secondo cui la potestà del governo civile ha la sua prima origine in Dio, ma viene conferita al sovrano per mezzo del popolo, che rimane, in un certo senso, depositario della radice di quella potestà. Egli elaborò inoltre un'importante dottrina in base alla quale distinse la sfera del potere civile da quello ecclesiastico.
Tutte le sue posizioni, compresa quella assunta in occasione del processo a Galileo, furono caratterizzate da intelligenza ed equilibrio, e sebbene alcune di esse non vennero immediatamente accolte dalla curia e dai pontefici, si rivelarono sempre particolarmente lungimiranti.
Bibliografia
Roberto Bellarmino, Autobiografia, Morcelliana, 1999.
Roberto Bellarmino, Il catechismo, Cantagalli, 1951.
IL TIMONE – N. 67 – ANNO IX – Novembre 2007 pag. 30-31