Con l’editto di Milano, nel 313 la società trova la libertà religiosa e la Chiesa può liberamente predicare il Vangelo. L’Impero invece scopre il fondamento non confessionale, ma religioso, della propria autorità.
Si dice spesso che la caratteristica fondamentale della vita religiosa romana è il carattere politico di questa religione: questa affermazione, a mio avviso, è vera se ci si intende sul significato di "politica verso la divinità" e non di "politica come instrumentum regni". La religione romana è fondata sul concetto di pax deorum, di alleanza con la divinità: l'idea stessa di pace ha per i Romani il fondamento in questa pace con la divinità, che si realizza con l'antichissimo rito di conficcare un chiodo nella cella di Minerva del tempio capitolino (pangere clavum), per contare gli anni e come rito espiatorio per ottenere la pace con gli dei.
Livio (VII, 3,5) scrive che in base a un'antica legge, scritta con antiche lettere, e in seguito a una pestilenza, nella prima metà del IV secolo a.C., si decise di compiere il rito del chiodo praticato a Volsini, nel tempio di Noria, per chiedere la pace con gli dei ("pacis deorum exposcendae causa»), alle idi di settembre. Macrobio (Saturnaria, I, 15, 15/6) spiega che per gli Etruschi le Idi significavano la fede in Giove e che quello era il giorno della luce continuata, perché dopo il tramonto del sole splendeva il plenilunio. Tutto ciò per significare – si direbbe – una specie di patto fra la divinità e gli uomini per la conservazione del mondo.
Cicerone, nel Pro Rabirio perduellonis reo, (2,5) ci conserva una solenne preghiera per ottenere la pax deorum: «A Giove Ottimo Massimo e a tutti gli dei e dee, grazie al cui aiuto, più che per i ragionamenti e i disegni degli uomini, questa res publica è governata, chiedo pace e perdono affinché permettano che questo giorno riluca per la salvezza e la stabilità della res publica». È importante l'invocazione, oltre che a Giove, a tutti gli dei e le dee senza nome, che corrisponde al timore dei Romani di offendere senza volerlo divinità sconosciute; interessante è pure l'accenno alla luce, che richiama la concezione etrusca a cui fa riferimento Macrobio.
L'origine della libertà religiosa
Così concepita, la pax deorum può essere fonte di intolleranza, perchè chi nega deliberatamente il culto agli dei riconosciuti può provocare l'ira di essi contro la res publica, e deve essere punito; ma può divenire anche la base per il riconoscimento della libertà religiosa di chi vuole prestare il suo culto a una divinità che lo Stato non riconosce, ma che non vuole offendere.
Una situazione di questo genere si presenta nel 186 a.C. con il famoso caso dei Baccanali: le accuse rivolte ai seguaci del culto bacchico, di orge, di stupri, di delitti, indussero i consoli e il Senato a una repressione violenta, per motivi di ordine pubblico e non religiosi; tuttavia, il timore di turbare la pax deorum offendendo Bacco li indusse a fare un'eccezione: «Se qualcuno considera questo culto così necessario da non poterlo omettere senza offesa alla religione e sacrilegio» («sine religione et piaculo») chieda il permesso al pretore urbano e lo otterrà purché la riunione non sia di più di cinque persone (Livio XXXIX, 18,8).
Si tratta del riconoscimento della libertà di coscienza della persona in materia religiosa che nasce dal diritto della divinità di essere adorata come vuole, anche se il culto del Dionisio greco dei Baccanali era ben diverso da quello del Liber Pater romano, e restava inviso alla austera mentalità vetero romana.
La libertà del fatto religioso è sentita fortemente dai Romani, come rilevano anche gli autori cristiani del II e III secolo d.C. Atenagora (Presbeia, 1,2) osserva: «voi ritenete empio che non si creda alla divinità e, nello stesso tempo, giudicate necessario che ciascuno onori gli dei che vuole»; Tertulliano (Apologeticum, 24,6) osserva che «nessuno vuole essere adorato da chi non vuole», «nemo se ab invito coli volet». Le iscrizioni confermano questo principio con la diffusissima formula votum solvit libens merito (v.s.I.m.): «scioglie il voto giustamente e volentieri».
Nell'editto di Serica del 311, Galerio constata pateticamente di aver violato la pax deorum con la persecuzione contro i cristiani, i quali, perseguitati, «non dettero agli dei il culto debito e non resero nemmeno il culto alloro dio», e conclude permettendo che «essi siano di nuovo cristiani» e chiedendo che essi preghino il loro Dio per la sua salute e per quella della res publica (cfr. Lattanzio, De mortibus persecutorum, 34,4/5).
Come nasce l'editto di Milano
Lo stesso atteggiamento, in modo ancora più chiaro e con una diversa consapevolezza, è alla base del cosiddetto editto di Milano, risultato del compromesso raggiunto a Milano nel 313 fra Costantino, che aveva accettato come sua insegna il nome e la croce di Cristo, e il pagano Licinio, che ne fece poi esporre il testo in Oriente.
In un incontro dedicato ad affrontare le cose più importanti «per il bene e la sicurezza pubblica» («ad comoda et securitatem publicam»), essi ritennero – dice il testo riportato da Lattanzio (De mortibus, 48) – di doversi occupare, prima di tutto, di ciò che riguardava la «pietà verso la divinità» («divinitatis reverentiam»), decidendo di concedere «ai cristiani e a tutti la libertà di seguire la religione che ciascuno voleva affinché qualsiasi divinità ci sia in cielo sia placata e propizia a noi e a tutti coloro che sono sotto il nostro potere» («liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisse»).
«Qualsiasi sia la divinità nei cieli» («Quidquid est divinitatis in sede celesti») corrisponde all'intenzione della preghiera di Cicerone «a tutti gli dei e le dee» («omnibus deis deabusque») e manifesta una fondamentale neutralità dello Stato, in quanto Stato, di fronte alle diverse confessioni religiose, pur nell'altrettanto fondamentale riconoscimento dell'importanza della religione per lo Stato; «placato e propizio» («placatum ac propitium») è l'esplicito richiamo all'idea di pax deorum, che è, insieme, richiesta di perdono e di aiuto. L'editto si rivolge ai cristiani e a tutti (christianis et omnibus) e rivela in modo molto esplicito le priorità di Costantino, che fece seguire all'accordo alcuni doni alla Chiesa di Roma e ad altre comunità cristiane dell'Occidente, preannunciando l'intenzione di fare del cristianesimo la sola confessione esplicitamente nominata, la nuova religione dell'Impero. Tuttavia, la formulazione ufficiale resta fedele alla realtà di uno Stato non confessionale, perché naturalmente e ovviamente privo di competenze teologiche, ma religioso e convinto che il riconoscimento della divinità sia fondamentale per la sua stessa esistenza.
La libertà religiosa dell'editto di Milano non è il risultato di un concordato fra lo Stato e una comunità religiosa, ma l'alleanza che lo Stato stipula con la stessa divinità, a cui presenta la propria sottomissione senza impedimenti verso ogni culto e a cui chiede la pax.
L'attualità di una simile concezione è rivelata dal dibattito oggi molto vivo fra chi, partendo da un laicismo esasperato, vuole confinare il fatto religioso nel privato e chi invece coglie il senso vero della laicità nella distinzione fra il pubblico, dal quale la religione non può essere in alcun modo separata, e il politico, che trovandosi di fronte a diverse opzioni religiose e non potendo risolverle con argomenti teologici, per i quali è incompetente, deve limitarsi a manifestare rispetto e a non porre impedimenti, salvo quelli che possono riguardare pratiche che turbano l'ordine pubblico e che sono estranee alla pietà religiosa.
BIBLIOGRAFIA
Marta Sordi, Pax deorum e libertà religiosa, in Contributi dell'Istituto di Storia Antica dell'Università Cattolica, Vita e Pensiero, XI, 1985, pp. 146 ss.
M. Sordi, Alle radici dell'Occidente, Marietti 1820,2002, pp. 66 ss.
M. Sordi, I Cristiani e l'impero romano, nuova ed. riveduta e aggiornata, Jaca Book, 2004, pp. 171-183.
M. Sordi, Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti, Institutum Patristicum Agostinianum, 2006.
IL TIMONE N. 73 – ANNO X – Maggio 2008 – pag. 28-29