È un veleno potentissimo, che nuoce alla donna e uccide il figlio concepito. Si chiama RU486 ed è il simbolo perfetto della modernità individualista e materialista.
Negli USA, sulla sua confezione campeggia una eloquente banda nera.
Sono bastati alcuni mesi, dopo il referendum del 12 giugno, a trasformare il fronte del “sì” alla fecondazione artificiale in una agguerrita pattuglia schierata per il no, categorico, ai concepimenti naturali, non programmati. L’annuncio della sperimentazione della pillola abortiva RU486, utilizzabile entro i 49 giorni dal concepimento, al Sant’Anna di Torino, è stato infatti il segnale che ha nuovamente aggregato nella battaglia contro la vita i grandi giornali laici, dalla Stampa a Repubblica al Corriere della Sera: tutti intenti, ancora una volta, a confondere le acque, in nome della libertà dell’individuo e del progresso.
Intenti, intendo, a descrivere la RU486 come una innocua pillola facilmente digeribile, per il fisico e per lo spirito, un po’ come quella di Mary Poppins. Va giù, non vi è dubbio, “basta un po’ di zucchero”: basta lasciarsi cullare dalle menzogne che veicola la nostra civiltà di morte; basta il coraggio morale di ingerirla, di porre fine, bruscamente, a ciò che si è iniziato, consapevolmente; basta la capacità di saper cancellare dalla mente e dal cuore ciò che si è vissuto, l’esistenza di un fatto e l’esistenza concreta di un’altra presenza.
Effettivamente, raccontano i giornali, tutto avviene nel modo più semplice, “senza intervento chirurgico né anestesia”: l’embrione – di cui nessuno osa pubblicare una sola immagine, chiarificatrice, nella sua scientificità – viene solamente «espulso», come scrivono sul Corriere. Oppure, colmo dell’ipocrisia, «si distacca dalla parete dell’utero», come sostiene Repubblica. Un procedimento indolore, insomma, incolore ed insapore, bianco e immacolato come la pillolina ingerita: poco importa che la donna accolga nel suo corpo un veleno potentissimo, un vero «pesticida umano», nocivo per sé ed occisivo per il figlio, di cui si dice solo che non darà più fastidio, senza mai fare riferimento esplicito e sincero alla sua uccisione. E se alla mamma di quel bambino venisse il dubbio, se avesse paura, anche inconsciamente, del suo gesto? C’è sempre il “foglietto illustrativo per le pazienti” a precisare, rassicurante, che l’embrione in questa fase della gravidanza «non può essere visto dalla donna, perché confuso tra le perdite di sangue» (Repubblica, 10/9/2005).
Eppure, nonostante questi immensi “pregi”, la sperimentazione della RU486, effettuata a spese di centinaia di donne ridotte a cavie, viene bloccata, solo momentaneamente però, il 21 settembre, dal ministro della Salute Francesco Storace, in mezzo alle urla del governatore del Piemonte, Mercedes Bresso, di Umberto Veronesi e di tanti altri. Non si aspetta neppure di leggere le motivazioni scritte addotte dal ministro, in cui si allude al caso di una donna che, ingerita in ospedale la seconda pillola di RU486, ha avuto un aborto parziale in casa propria, rischiando la setticemia, e a quello di un’altra che ha abortito anch’essa in casa, senza dunque alcuna assistenza qualificata. In realtà – se si osserva il mondo con gli occhi della cultura della morte – hanno ragione loro: la Ru486 va assolutamente propagandata e diffusa, va riconosciuta a pieno titolo come un prodotto della modernità. Al pari cioè dell’Lsd e dell’extasy, dell’aborto legale e della fecondazione artificiale, della sterilizzazione volontaria e della selezione eugenetica…
Sono, infatti, tutti “figli” dell’individualismo liberale, che eleva l’individuo a misura tirannica di tutte le cose, e del marxismo comunista, che abbassa l’uomo al livello della materia bruta; figli del pansessualismo freudiano, che ci riduce ad animali, a oscuri conglomerati di indicibili ed inconsce pulsioni bestiali; e figli del femminismo, che perverte il concetto di femminilità, presentandola come una maledizione, o come un amaro “destino” da sfuggire.
È per questi motivi, in nome di “diritti civili” e di “paradisi artificiali” (chimici o tecnologici), che un mondo intero si solleva a difendere un ritrovato pestilenziale come la RU486: lo sente come suo, prodotto della sua cultura e della sua visione della vita. Non vi sono altre motivazione, razionali o comunque realistiche. La verità scientifica, infatti, coincide ancora una volta col buonsenso: non è
lecito, ma neanche possibile, uccidere senza conseguenze, spirituali e fisiche. Né esiste del resto alcun composto chimico, specie se a fini occisivi, privo di gravi effetti collaterali. È per questo che in America, dopo diversi casi di morti settiche, la Food and Drug Administration ha imposto di applicare una eloquente banda nera sulle confezioni di RU486, mentre in Cina, dove la pillola era stata messa in commercio come prodotto da banco, è stata ritirata per le sue conseguenze nefaste sulle donne.
Non dovrebbe essere difficile capire che all’uccisione di un figlio, e alla possibilità riconosciuta che nasca malformato, in caso di fallimento della pillola, si aggiungono una serie immensa di controindicazioni, così descritte da una “femminista” storica come Eugenia Roccella: «la paziente non può sapere quando il feto sarà espulso, se in casa, in ufficio o altrove… La decantata privatezza dell’operazione tende a trasformarsi in sensazione di abbandono e di solitudine» e la donna è costretta ad affrontare da sola una serie di rischi, quali «un’emorragia senza controllo», «nausee, mal di testa, crampi addominali violenti», per non parlare degli effetti sulla
salute nel lungo periodo, assolutamente sconosciuti (il Foglio, 23/9/2005).
Per concludere, sembra opportuno chiedersi chi sia il grande sponsor della RU486 in Italia. È un medico di Torino, il dottor Silvio Viale. Si descrive lui stesso, senza pudori: è un sessantottino che si è battuto per lo spinello libero, il crocifisso vietato, le nozze gay, la fecondazione artificiale e l’eutanasia, ed è stato a suo tempo anche latitante a Londra. A Viale non piace dire “aborto”, e preferisce parlare di “espulsione”. Questo medico racconta di essere stato chiamato in causa dal terrorista pentito Roberto Sandalo per il rogo del bar “Angelo azzurro”, nel quale finì bruciato un giovane di nome Roberto Crescenzio: «Io partecipai solo alla prima fase del corteo», si difende Viale (Corriere della Sera, 23/9/2005).
Esattamente come con la RU486: Viale la prescrive, poi, dopo questa “prima fase”, succeda quel che succeda.
RICORDA
«Nel ricercare le radici più profonde della lotta tra la “cultura della vita” e la “cultura della morte” (…) occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall’uomo contemporaneo: l’eclissi del senso di Dio e dell’uomo, tipica del contesto sociale e culturale dominato dal secolarismo, che coi suoi tentacoli pervasivi non manca talvolta di mettere alla prova le stesse comunità cristiane. Chi si lascia contagiare da questa atmosfera entra facilmente nel vortice di un terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell’uomo, della sua dignità e della sua vita; a sua volta, la sistematica violazione della legge morale, specie nella grave materia del rispetto della vita umana e della sua dignità, produce una sorta di progressivo oscuramento della capacità di percepire la presenza vivificante e salvante di Dio».
(Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 21).
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 12 – 13