L’evangelizzazione dell’odierna Turchia. Con un duplice approccio al messaggio evangelico: agli ebrei, che già conoscevano la storia
e le Profezie, San Paolo ricorda le promesse dei Profeti e del Battista; ai pagani si rivolge con gli argomenti della sola ragione.
Fra l’incontro con Sergio Paolo a Cipro del 47/48 d.C. che, come vedremo, ebbe un’importanza decisiva nella scelta del primo viaggio missionario, e l’arresto a Cesarea, dopo la sosta a Mileto, della primavera del 54 (secondo la cronologia corta che io ritengo l’unica storicamente corretta), San Paolo evangelizzò, secondo gli Atti degli Apostoli, fondamentale fonte contemporanea, l’Asia Minore, la odierna Turchia. Ciò fece nel corso di tre viaggi missionari e un lungo soggiorno ad Efeso, appartenenti, gli uni e l’altro, al periodo di maggior floridezza delle province d’Asia e di Galazia, sotto il regno di Claudio.
Tutto comincia con l’incontro di Paolo (che fino a questo momento gli Atti indicano come Saulo) con Sergio Paolo, proconsole di Cipro, e con la conversione di quest’ultimo: essa segna l’inizio di un rapporto fecondo, che si manifesta innanzitutto col cambiamento del nome di Saulo in Paolo (Atti 13,9, con l’adozione di un signum che poi diventa cognomen), con la scelta dello stesso Paolo di recarsi in Galazia dove, nella zona di Antiochia di Pisidia, i Sergi Pauli avevano grandi possedimenti, con la fondazione a Roma, già ad opera del figlio di Sergio Paolo, continuata poi dalla nipote, Sergia Paolina, di un collegio domestico, che è con ogni probabilità una chiesa cristiana, ed è rivelato dalle iscrizioni.
Le città evangelizzate da Paolo nella sua prima missione, Antiochia di Pisidia, Listri, Iconio, Derbe, sono tutte, salvo Derbe, colonie augustee, collegate dalla via Sebaste, costruita per il controllo militare romano nella regione del Tauro, abitate, oltre che dai coloni romani e dai discendenti dei coloni greci e macedoni insediati dai Seleucidi, da indigeni frigi, pisidi, licaoni (questi ben attestati a Listri dagli Atti 14,11), più o meno integrati nelle nuove comunità coloniali. A questi bisogna aggiungere gli ebrei, che Paolo incontra sempre per primi nelle loro sinagoghe, rivolgendo a loro, per primi, il messaggio cristiano, richiamando le promesse dei Profeti e del Battista sul Messia Salvatore, ricordando la morte di Gesù e la sua risurrezione e concludendo con la giustificazione che può venire solo dalla Fede in Gesù e non dalla Legge.
L’accorrere delle folle pagane, desiderose di ascoltare, provoca «l’invidia» di molti ebrei, che insultano Paolo e Barnaba. Questi dichiarano che si rivolgeranno ai pagani e vengono cacciati, come si verifica ad Antiochia di Pisidia e si ripete puntualmente nelle altre città. A Listri, dove Paolo, risanando uno zoppo, provoca l’entusiasmo delle folle licaoniche (14,15 sgg.), il discorso che Paolo e Barnaba rivolgono ad esse è, in un certo modo, il preannuncio di quello dell’Areopago e riguarda il Dio vivo, creatore del cielo e della terra, ordinatore delle stagioni, che permettono la nascita dei frutti e donano il cibo che allieta il cuore dell’uomo. Si delineano così due modi diversi nell’approccio al messaggio evangelico: quello per gli ebrei, per i proseliti, per i pagani «timorati di Dio», che già conoscevano la storia e le Profezie ebraiche, e quello per i pagani, ai quali Paolo si rivolge con gli argomenti della sola ragione, come a Listri e poi ad Atene.
Dopo il Concilio di Gerusalemme del 49 circa, che sancì la non necessità per i pagani della circoncisione, Paolo, questa volta con Sila, tornò a Derbe e a Listra, dove prese con sé Timoteo, e confermò le chiese della Galazia e della Frigia. La lettera ai Galati, che Paolo scrisse più tardi, da Corinto o da Efeso, mostra come fossero forti sui neoconvertiti la pressione giudaica e la tentazione di cercare la salvezza attraverso la Legge e non attraverso la Fede: «O Galati insensati, questo solo voglio sapere da voi, se avete ricevuto lo Spirito dalle opere della Legge o dall’obbedienza della Fede» (Gal 3,1). È proprio la coscienza del pericolo proveniente da queste pressioni per i Cristiani della Galazia che induce Paolo, dopo il suo soggiorno a Corinto e lo sbarco ad Efeso, a lasciare in questa città i fedelissimi Aquila e Priscilla, dedicandosi per la terza volta a confermare i discepoli della Galazia e della Frigia.
Tornato ad Efeso ed ottenuta l’adesione di un gruppo di discepoli del Battista, Paolo parlò per tre mesi nella Sinagoga, convertendo alcuni e provocando l’irrigidimento di altri. Si trasferì poi nella scuola di un certo Tiranno, dove rimase per due anni «così che tutti gli abitanti della provincia d’Asia, Giudei e Elleni, poterono ascoltare la parola del Signore» (Atti 19,10). Il soggiorno di Paolo ad Efeso, splendida capitale della provincia d’Asia, è caratterizzato da due episodi: la sconfitta degli esorcisti giudei, seguita dal rogo di molti libri di magia, e il tumulto degli argentieri, che, guidati da un certo Demetrio, accusarono i missionari di danneggiare il culto della Artemide degli Efesini di cui vendevano ai pellegrini e ai turisti statuette souvenirs. Dopo l’episodio della Pitonessa di Filippi, questo è il secondo attacco anticristiano proveniente da pagani, senza interferenze, almeno all’inizio, dell’elemento giudaico locale. Ciò che colpisce in questo episodio è l’esplicito favore, nei riguardi di Paolo, dell’autorità locale notoriamente vicina al potere romano (il segretario dell’assemblea e gli Asiarchi), che seda il tumulto minacciando l’intervento del governatore.
Colpisce, nell’analisi complessiva della missione asiatica di Paolo, la precedenza data all’Asia Minore interna, colonizzata dai Romani e abitata in gran parte dagli indigeni, rispetto all’Asia Minore costiera, di antica tradizione greca: per la scelta della provincia di Galazia si è già visto che fu determinante, con ogni probabilità, il suggerimento di Sergio Paolo. Ma a non recarsi fin dall’inizio nella provincia d’Asia e nelle grandi città greche della costa Paolo fu spinto, secondo l’esplicita affermazione degli Atti (16,6-7) da un’ispirazione divina. Ad Efeso però egli rimase poi più a lungo che in tutte le altre città e verso di essa egli rivela un’intensità di sentimenti e una commozione profonda.
Nel suo discorso di addio a Mileto, rivolto ai presbiteri della Chiesa di Efeso, nella primavera del 54, Paolo insiste sulle insidie dei Giudei (Atti 20,19): in effetti è in Asia che Paolo prende piena coscienza della sua missione fra i gentili, del problema dell’inutilità, per la salvezza, della circoncisione (Gal 1,16; 2,7-8; 3,8) e del Mistero non conosciuto nelle epoche precedenti e ora rivelato, che i Gentili sono chiamati alla stessa eredità dei Giudei (Ef 1,9; 3,5-7). Di qui la svolta che rende inutile la circoncisione e turba le comunità giudaiche della diaspora, ponendo come condizione unica per la salvezza la fede in Gesù: una svolta epocale, che già Pietro aveva compiuto in Giudea col battesimo del centurione Cornelio (Atti 10, 1sgg) e – io credo – col suo primo viaggio a Roma nel 42, ma che solo Paolo, con la sua predicazione sistematica nelle province di Galazia, di Macedonia, di Acaia e di Asia, rende definitiva.
Bibliografia
Per la cronologia qui accettata, v. Marta Sordi, Sui primi rapporti dell’au-torità romana col Cristianesimo, in Studi romani, VIII, 1960 p. 393 sgg.
Marta Sordi, Sergia Paullina e il suo collegium, in RIL, 13,1979, p. 14 sgg.
Marta Sordi, Paolo a Filemone o della schiavitù, Milano 1987;
M.F. Baslez, Saint Paul, Paris, 1991.
IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 28-29