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11.12.2024

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Sacerdoti del DIO vivente

Sacerdoti del DIO vivente

 

 

 

 

 

I cristiani vedono il dilagare del peccato. Ma non devono temere. Piuttosto, confidano in Dio perché purifichi e trasfiguri il mondo. Una posizione di mediazione, di ponte tra Cielo e terra, al seguito del grande Mediatore Gesù Cristo.

Credo che ci siano reali motivi per essere preoccupati, anche senza voler fare gli uccelli del malaugurio. Ogni giorno i media ci portano in casa ciò che avviene nel mondo: tensioni continue tra Stati quando non vere e proprie guerre, forti squilibri economici con schiere di poveri e di affamati che chiedono aiuto, minacce di crisi economica in Paesi di antica industrializzazione che faticano a tener dietro ad altri popoli, interessati da uno sviluppo molto accelerato e disordinato. E poi, ancora: forti pressioni sull’equilibrio ecologico del nostro pianeta, il fantasma aleggiante di un esaurimento delle fonti energetiche, migrazioni di popoli che si spostano verso le zone di maggiore benessere, creano do numerosi e difficili problemi di confronto e di integrazione.
Ma poi, scendendo più precisamente ad occuparci dei problemi del mondo occidentale: uno stravolgimento sempre più evidente sul piano morale, un diffuso disagio che porta alla crisi della famiglia, ad un uso sempre maggiore della droga soprattutto tra i giovani, ad un disamore alla vita che si esprime anche nella legalizzazione dell’aborto e nella richiesta insistente della eutanasia. Ma pure un aumento della omosessualità sia maschile che femminile che, volutamente portata alle sue estreme conseguenze – richiesta di matrimonio, di procreazione assistita, di adozione -, mette spietatamente in luce una grave e sempre più diffusa difficoltà di identificazione con il proprio sesso. Cosa che non può non portare a una pericolosa confusione di ruoli, a uno scardinamento dei processi naturali che danno origine alla vita e a un attentato a quella famiglia tradizionale – un uomo, una donna, dei figli – che è, pur con tutti i suoi limiti, il luogo deputato più di ogni altro a far crescere persone psicologicamente equilibrate. Un Occidente, dunque, con un’anima sempre più debole, molle, malata, di fronte a un mondo che preme perché troppo povero oppure, al contrario, perché desideroso di salire alla ribalta della storia.
Se poi a questo quadro non certo facile e consolante, ciascuno di noi aggiunge le sue pene e difficoltà personali e familiari, non è difficile capire ciò che le statistiche rivelano: consumo in aumento non solo di droghe, come prima si diceva, ma anche di psicofarmaci per cercare di controllare i disturbi della sfera psichica, tra depressioni, angosce, nevrosi, fobie di ogni tipo.
Non ci sono, dunque, molti presupposti per stare allegri. Eppure…
Eppure, come anche di recente il Papa ci ha ricordato, il cristiano è uomo di speranza. Egli, infatti, «è nel mondo, ma non è del mondo». Sa di doversi impegnare seriamente nelle cose di quaggiù, ma sa anche di potersi mantenere sereno, poiché esse non sono le ultime ma soltanto le penultime. Il cristiano sa che il mondo è intriso di peccato ma ha incontrato quel Gesù ché ha spezzato le catene della morte e ha attuato la redenzione. Cosi come sa che, al suo seguito, egli può e deve rendere quella redenzione progressivamente attuale, facendola penetrare nella realtà, che ne verrà così sacralizzata. Ma, mentre opera con impegno in questo suo compito, non si demoralizza delle difficoltà che incontra lungo il cammino, perché ha coscienza di ciò che sta al di là della realtà stessa, di quel mondo misterioso eppure concreto che lo attende alla fine dei giorni.
Il compito del cristiano, dunque, è quello di operare nel mondo, senza però appiattirsi su di esso. Di vederlo, sì, con lucidità nel suo peccato, nei suoi aspetti angoscianti e pericolosi. Ma anche di non lasciarsi intimorire bensì, al contrario, di ascoltarlo, di cercare di capirlo e, con la speranza che gli viene da Dio, di amarlo come il Creatore lo ama e di offrirlo continuamente a Lui perché lo purifichi e lo trasfiguri. Una posizione di mediazione, di ponte tra Cielo e terra, al seguito del grande Mediatore Gesù Cristo.
Si tratta di un compito molto importante del quale dobbiamo essere ben coscienti, perché è un compito sacro. È l’esercizio di quel sacerdozio comune che è proprio di ogni battezzato nel nome di Gesù.
Sappiamo bene, infatti, che non esiste soltanto un sacerdozio ministeriale. Quest’ultimo ha il compito specifico di celebrare la liturgia ufficiale della Chiesa e, all’interno di essa, dei sacramenti, segni efficaci della grazia. Ma ogni credente in Cristo è anch’egli un sacerdote (ce lo ricorda anche san Paolo), cioè una creatura che, unita a Lui nel battesimo, rinnovata nella confessione e nutrita dalla eucaristia, celebra anch’essa con la propria vita una continua liturgia di lode, di offerta, di impetrazione.
Ci sono molti modi per compiere questo lavoro di sacralizzazione del mondo. Uno di questi è certamente l’esercitare una professione, qualunque essa sia, purché moralmente lecita, con serietà, con impegno, con amore.
Un altro, è quello di impegnarsi nella dimensione affettiva, cercando di creare amore attorno a sé e, attraverso di esso, dare vita ad altri esseri, essi pure potenziali figli di Dio. Non sono dunque richiesti gesti vistosi, a meno che il Signore non ce lo chieda in modo preciso, per esercitare il sacerdozio comune che ci appartiene. Non occorre fare cose straordinarie, per santificarci e per santificare il mondo attorno a noi. Lo ripeteva San Josemaria Escrivà de Balaguer, che ne ha fatto il cardine del suo insegnamento. Basta compiere con amore gli impegni ordinari ai quali siamo chiamati. È il cuore che conta e che fa la differenza.
Non, dunque, angoscia e paura di fronte ai problemi e alle difficoltà in cui si dibattono gli uomini del nostro tempo, e nei quali anche noi siamo necessariamente (e spesso doverosamente) coinvolti.
AI contrario: un esercizio continuo di speranza, di amore, di impegno, di offerta.
Un cercare soluzioni con serietà, senza risparmiare fatiche, ma anche la convinzione che Dio ci assiste in questi nostri compiti, è vicino a noi, suoi credenti espliciti, ma anche a tutti gli uomini, suoi figli: a quelli di buona volontà e agli altri che ama di un amore forse ancora più grande, quei tanti fratelli minori di cui attende continuamente il ritorno. E, in tutto, vigilando sempre che l’impegno concreto, sociale, non ci risucchi perché, pur importantissimo, esso non esaurisce affatto i nostri compiti e le nostre possibilità. Questo perché lo scopo finale di tutto il nostro darci da fare è uno solo: imparare ad amare. Ad amare anzitutto Dio e poi noi stessi in modo giusto, ad amare gli altri, ad amare il mondo. Se ne fossimo capaci davvero, tanti problemi troverebbero assai più facilmente soluzione. Gesù, in apparenza, non ha cambiato materialmente il mondo ma, amandolo fino alla morte di croce, ha creato i presupposti perché venisse trasfigurato.
Poiché è l’amore il vero motore segreto, nessuno è escluso da questo sacerdozio comune, da questo processo di sacralizzazione costantemente in atto là dove c’è qualcuno che si sforza di amare. Così può operare con fecondità nel mondo anche chi non può più lavorare perché è malato o anziano.
Chi ha fallito nella vita affettiva oppure, per altre cause, si ritrova solo. Chi ha poca o nulla istruzione, chi è povero e senza potere alcuno. Agli occhi di Dio tutto ciò non ha alcuna importanza.
Così, anche chi crederà di non avere nulla da offrire a questo mondo travagliato che sembra muoversi sull’orlo di un precipizio, potrà essere in realtà un sacerdote con un ricco tesoro da donare: il proprio amore, la propria preghiera, l’offerta della propria sofferenza, qualche volta della propria sconfitta, perché Dio trasformi tutto in grazia. E perché trasformi pure la sofferenza di tanti altri, di quelli che ignorano di poterlo fare perché non credono, oppure non conoscono questo Dio che a noi è stato rivelato. Così, ogni giorno, ogni istante anche – forse soprattutto – da coloro che il mondo considera dei perdenti, potrà partire un abbraccio amoroso che si espande in ogni direzione, che tutti raccoglie in unità e che offre al Padre di ogni uomo.
Noi, dunque, che sappiamo come la storia umana possa essere modificata anche radicalmente dalla preghiera, noi, in mezzo a tante difficoltà, confidiamo in questo fermento sotterraneo, in questo lievito che anima la pasta e la sommuove dall’interno, in questo amore discreto e nascosto che sale da ogni dove e che costituisce la vera anima del mondo.


IL TIMONE N. 71 – ANNO X – Marzo 2008 – pag. 56-57

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