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13.12.2024

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Sacrifici umani & civiltà non cristiane
31 Gennaio 2014

Sacrifici umani & civiltà non cristiane

 

 

 

Quasi impossibile trovare un popolo – prima di Cristo – che non abbia conosciuto questa pratica orribile. Dai pagani alle cosiddette civiltà precolombiane – passando per i barbari dell’Europa – la storia è una lunga sequela di uccisioni di innocenti per motivi rituali. Fino all’avvento della cultura cristiana.

 
 
 

Lo storico che affronti lo studio del mondo antico ri-mane sbalordito di fronte all’esistenza, dovunque, perfino nei paesi più civilizzati, di alcune consuetudini disumane: in particolare l’infanticidio, la schiavitù e il sacrificio umano rituale.
Penso che sia impossibile trovare un popolo, prima di Cristo, che non abbia conosciuto questi tre istituti, che in realtà, sotto nuova veste, ritornano appena Cristo viene dimenticato o accantonato (aborto e clonazione sono due forme secolarizzate di infanticidio-sacrificio rituale, dove la divinità non è più il sole, o qualcosa di analogo, ma l’uomo che si fa dio). Questa affermazione è corroborata da qualsiasi indagine storica o letteraria.

Orrori nel mondo classico

In Grecia, per esempio, in uno dei paesi più civili dell’antichità, abbiamo conoscenza dei riti oscuri delle sacerdotesse di Dioniso, raccontati da Euripide nella sua tragedia “Le Baccanti”. La cerimonia in onore di Bacco, dio del vino e delle sfrenatezze, delle orge e dei tirsi sbattuti insistentemente sui tamburi, si concludeva solitamente col sacrificio di un animale o di un bambino.
Esisteva, nella Grecia antica, anche la figura del farmakos, cioè di una persona che veniva scelta dalla comunità per essere immolata e procacciare così la fecondità per tutti. Lo storico greco Plutarco racconta che prima della battaglia di Salamina Temistocle sacrificò tre persiani a Dioniso Omestes, per propiziare la vittoria.
Anche nel mondo romano accadeva qualcosa di simile: tanti storici, come Tito Livio, scrivono che nei momenti di panico, quando si riteneva che alcuni avvenimenti particolari fossero indizio di future sciagure, il popolo si affrettava a compiere sacrifici umani, di solito immolando degli schiavi o degli stranieri. Anche nel più barbaro mondo germanico avvenivano fatti di tal genere: Cesare, nel De Bello gallico, afferma che i druidi, i sacerdoti celtici, «immolano uomini come vittime o promettono che immoleranno loro stessi».

I barbari prima del cattolicesimo

Abbiamo testimonianze di grandi storici dell’epoca che raccontano l’esistenza di analoghe consuetudini anche presso i Britanni e gli abitanti dell’Irlanda. Interessantissimo il ca-so dei Longobardi: questo popolo germanico ferocissimo, estremamente barbaro, il cui re Alboino beveva nel cranio del padre di sua moglie, viene ad un certo punto in contatto, nel 568, con l’Italia, romana e cattolica. Il primo incontro è uno scontro terribile, ma pian piano la cultura romanocattolica fa presa sui feroci conquistatori. Che praticavano l’antropofagia rituale, l’immolazione di teschi e di uomini agli dei, l’adorazione di vipere sacre a cui venivano offerti brandelli di carne animale.
L’influenza cattolica sui Longobardi è testimoniata dall’Edit-to di Rotari, nei capitoli riguardanti le streghe (capp.197-198), in cui si condanna l’usanza di uccidere delle donne accusate di «divorare gli uomini», e nella legislazione di Liutprando, che condanna le pratiche magiche, gli stregoni e gli incantatori, e nello stesso tempo promulga le prime leggi longobarde sulla tutela delle donne, sul matrimonio, sulla trasmissione ereditaria e sulla tutela dei minori e dei servi. Anche il mondo sassone conosce, in questi anni, prima della conversione al cristianesimo, l’usanza di mangiare e immolare uomini, magari per offrirli e poi appenderli all’albero sacro, il celebre Irminsul, simbolico sostegno dell’universo, che sarà rispolverato dai nazionalsocialisti: secondo la religione germanica infatti, Odino si era impiccato ad un albero per acquistare la conoscenza magica delle rune.
Le poco civili civiltà precolombiane
Se ci spostiamo fuori dall’Europa, i fatti diventano ancora più eclatanti. Recenti ritrovamenti nei mari dell’America Latina testimoniano ad esempio che per tenere in vita il mare, affinché esso continuasse a fornire pesci e quindi sostentamento, i popoli precolombiani annegavano periodicamente centinaia di persone. Gli Aztechi e i Maya erano soliti fare altrettanto, soprattutto col sole, ma anche con le altre forze naturali, per scongiurare la fine del mondo, sempre imminente e possibile. Per l’inaugurazione del tempio Mayor, infatti, il re azteco Ahuitzotl fece sacrificare da venti a ottantamila prigionieri, mentre il suo successore, Montezuma, ne immolò dodicimila in una sola volta. «L’idea della morte come fonte della vita – scrive lo storico Franco Marengo – sembra costituire la base del sistema religioso azteco: se il mondo ebbe vita da un atto di immolazione, per mantenerlo in vita era necessario ripetere questo atto, cioè immolare vittime al sole perché non si spegnesse, e ad ogni altro dio perché non cessasse la sua funzione… a insanguinare ogni giorno i gradini degli enormi templi piramidali era quest’an-sia ossessionante di non lasciar finire il mondo, un’ansia che raggiungeva il suo frenetico culmine ogni cinquantadue anni, quando la minaccia della catastrofe si faceva più concreta e imminente…». Tutti gli dei del variopinto pantheon precolombiano vogliono sacrifici: li vogliono il mare e il sole, la pioggia e il fuoco, e i popoli dominatori li devono procurare, attraverso continue guerre contro i popoli confinanti. Per questo le società precolombiane sono perennemente in conflitto, per placare i loro idoli di sangue: la dea Tlatecuhtli, ad esempio, è una divinità tellurica ed infera rappresentata con un «gonnellino adorno di crani e ossa incrociate, la lingua sfrangiata che fuoriesce dalla bocca ghignante, mani e piedi hanno forma di rapace, piccoli teschi marcano gomiti e ginocchia, lacci e conchiglie segnano le spalle, mentre dai capelli emergono pezzi di carta simboli del sacrificio» (Corriere della Sera, 23/11/2006). Ometto a questo punto altre considerazioni sull’antropofagia rituale, presente in alcuni paesi, come i Caraibi, l’Indonesia, la Melanesia e l’Africa, prima del cristianesimo, o là dove il Vangelo non è giunto.
 

Il problema della colpa originaria
Dopo tanti orrori, una considerazione importante. Il sacrifico rituale antico ha una sua logica: come notava Donoso Cortes, infatti, presuppone l’esistenza di una colpa primitiva; sottintende un’idea di incommensurabilità tra l’uomo e Dio; intuisce Dio come Giustizia; utilizza creature innocenti, le uniche degne, e nasce dal desiderio di propiziarsi la divinità, o di espiare delle colpe. Il sacrificio di Cristo, che sostituirà tutti i sacrifici umani dell’antichità, ponendo fine ad essi e istituendo il sacrifico della Messa, compie e realizza anche le credenze, errate ma non assurde, degli antichi: soddisfa al peccato originale di Adamo ed Eva; dice dell’abisso ontologico tra Creatore e creatura, in base al quale nessun essere umano, sebbene sacrificato, è capace di placare l’immensità di Dio. Il sacrificio di Cristo afferma Dio come Giustizia, ma anche, grandissima novità, come Misericordia, come Padre e non solo come Padrone; è sacrificio di un innocente, ed è, infine, sacrificio espiatorio, propiziatorio, ed anche di lode. È, come si dice nella Messa, il “sacrificio perfetto”, l’unico “a Te gradito”.

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«Lo stato azteco costituiva un dominio sanguinario e totalitario su una massa di popolazione da parte di una ristretta minoranza. Basterà ricordare la pratica dei sacrifici umani, per capire come agli spagnoli, comprensibilmente, quel mondo apparisse come una civiltà dai tratti demoniaci. Cosa facevano i sacerdoti aztechi? Qual era la loro grande capacità? Da come si vedeva un buon sacerdote? Da quanti cuori riusciva a strappare, perché la forma sacrificale preferita dagli aztechi era quella di strappare ai sacrificati il cuore, dopo aver aperto la strada col pugnale, con la propria mano. E queste cose non le raccontano i cattivi spagnoli. Io stesso ho visto ora in un’esposizione (ho visto tante volte le riproduzioni, ora le ho viste dal vero) ho visto i rotoli aztechi in cui essi si gloriano e rappresentano questi sacrifici. Cioè per gli aztechi era un fatto positivo strappare i cuori. A quanti? A tanti! Per esempio, questo è un testo che ci dà proprio in maniera fredda le pratiche azteche: «… nelle calende del primo mese si uccidevano molti bambini sacrificandoli in vari luoghi e in cima alle colline asportando il loro cuore in onore degli dei (…): nel primo giorno del secondo mese celebravano una festa (…) e uccidevano e scorticavano molti schiavi e prigionieri; nel primo giorno del terzo mese celebravano una festa (…) in questa festa essi uccidevano molti bambini sulle colline; nel primo giorno del quarto mese…» e così via per diciotto mesi del calendario. In occasione delle grandi feste, ma anche nelle feste private i ricchi signori aztechi compravano sul mercato degli schiavi, li ubriacavano, li sottoponevano a varie pratiche e poi li sacrificavano in onore degli ospiti. Ma poi c’erano le grandi feste pubbliche. Da un testo azteco sappiamo che nel 1484 in onore di un dio dal nome molto difficile, furono sacrificati 20.000 prigionieri»
(1492-1992 bilancio di un centenario, trascrizione della conferenza tenuta dal prof. Marco Tangheroni [1946-2004], ordinario di storia medioevale all’Università di Pisa, 1990, in http://www.storialibera.it/epoca_moderna/scoperta_dell_america/1492-1992_bi-lancio_di_un_centenario.html).

IL TIMONE – N.62  – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 22-24

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