Una riflessione sui concetti di malattia e di benessere, per smontare un luogo comune oggi molto diffuso, quasi radicato, che li ritiene diritti. Un aspetto della “dittatura del desiderio”.
Che cos'è la salute?
Per rispondere proviamo a pensare a quando, invece, sentiamo di non godere di buona salute, di non essere sani. Forse risponderemo che ci sentiamo non sani quando abbiamo una malattia; ma tutti sappiamo che certe malattie possono essere presenti e noi non accorgercene, o che ci sono noti personaggi che pur con gravi handicap sono formidabili tenori o jazzisti, o sportivi di fama. Dunque, dovremo cercare un'altra via per definire la salute. E forse quella più semplice è capire che ci sentiamo "non sani" quando vorremmo fare una cosa che riesce agli altri nostri "pari" (per età o per sesso, ad esempio) e non ci riesce; oppure quando non riusciamo più a fare una cosa che di solito ci riusciva facile. Insomma: la parola salute è legata a filo doppio con la parola desiderio. La salute è la possibilità che i nostri desideri si realizzino. Certo, non i desideri strampalati di andare sulla luna (a meno che non siamo astronauti), o di correre i 100 metri in 10 secondi netti (a meno che non siamo in lotta per una medaglia olimpica); ma i desideri quotidiani, quelli ordinari di giustizia, di bellezza, di pace, e quelli personali, di fare le cose che ci piace fare. Ovviamente i desideri di un bambino sono ben diversi da quelli di un adulto, e quelli di un giovane ben diversi da quelli di un vecchio, ma la sostanza non varia: la salute è la realizzazione dei desideri "propri" dell'età o dello stato, "adeguati" al singolo individuo.
Capiamo allora che il contrario della salute non è la malattia, o almeno la malattia è un ostacolo alla salute nella misura in cui blocca la strada della realizzazione dei desideri, e per questo va sconfitta con tutte le armi della medicina e della volontà. Ma il vero nemico della salute è la perdita del desiderio, la perdita della speranza, la disperazione. È questo il vero nemico di cui le malattie non sono che delle avanguardie più o meno agguerrite, ma che aprono il passo al grosso dell'esercito nemico, che porta nella vita il grigio della tristezza di vivere. Compito della medicina, allora, è certamente curare le malattie, ma non trascurare l'uomo con i suoi desideri, non abbandonare dietro una ricetta o una diagnosi ben formulata la persona, che spesso necessita di conforto e incoraggiamento.
Ma per parlare di salute nella vita quotidiana, dobbiamo parlare di benessere, come suo metro, e qui sono dolori…
La spazzatura: metro del benessere?
"Benessere": bella parola che ci fa venire in mente suggestivi scenari, talvolta fin troppo suggestivi. Già, perché spesso associamo la parola benessere all'idea di possedere qualcosa di cui possiamo fare a meno, al possedere in eccesso; dunque al "non-uso" delle cose. Strano, perché quando pensiamo al gusto della vita, vorremmo assaporare fino in fondo ogni nostra esperienza. Se il superfluo è l'ideale, il metro del benessere è allora la spazzatura che produciamo!
Ma che cos'è il benessere? Semplicemente è la coscienza del fatto che godiamo di buona salute, ma, come detto sopra, la salute non è certo l'assenza di malattie, ma la possibilità che si realizzino i nostri desideri. Dunque, il benessere altro non è che la coscienza che siamo sulla strada buona perché i nostri desideri si realizzino. Si può obiettare, a questo punto, che c'è chi desidera proprio il non-uso delle cose, e qui entra in ballo la ragione umana: vigile che non ci lascia confondere nei nostri sogni ad occhi aperti tra desiderio per le cose e sperpero, spesso associato a valori negativi quali la superbia, che non è mai altro che una figlia della paura di perdere quanto stringiamo in mano. Ma bisogna capire che cosa è il desiderio. Già: "desiderio" voleva in origine significare l'arte del guardare le stelle (sidera, in latino) e usando questa parola si intendeva parlare di un'azione che aveva come orizzonte proprio qualcosa di altissimo come gli astri del cielo. Il desiderio umanamente ragionevole è quello commisurato alla persona che lo esprime: quello dell'anziano è diverso da quello del giovane; il bimbo che piange perché vorrebbe avere un bel paio di baffi piange per capriccio, non per desiderio.
Insomma, siamo passati nel corso del tempo, senza accorgercene, da un concetto di benessere basato sulla persona («vale ciò che mi fa diventare più me stesso, più ricco di esperienza e di spessore») ad uno basato sulla sensazione («vale ciò che mi fa sembrare invidiabile»), e questo al fondo apre un problema di non poco conto: se le cose sono solo sensazioni… più se ne assapora, meno ci piacciono. È una legge non scritta, ma vera: come per tanti piaceri fine a se stessi (e qui potremmo citare alcol, droga e similia), dopo un po' la quantità che ci serve per avere la stessa sensazione diventa maggiore: ci si assuefa, cresce la soglia per avere lo stesso piacere.
Tutto questo è importante sia per la vita di tutti i giorni che per la stessa medicina, perché capendo questo diventa più chiaro quale sia lo scopo dell'assistere e del curare: la presa di coscienza dei propri desideri, in modo che questi trovino una realizzazione. E per far questo serve un esercizio per imparare a riconoscere e a far riconoscere i propri desideri, in modo che chi si assiste non si imponga desideri irrealizzabili (il calvo che va in depressione se non ha una ricca chioma di capelli, l'anziano che non sa più far a meno del bisturi per far sparire rughe e gibbosità o il grave disabile che spera di vivere solo in funzione di una guarigione che spesso può essere solo miracolosa), ma si afferri ai desideri che spesso è difficile riconoscere perché sono così naturali che per miopia, pura miopia, non vediamo: il desiderio di essere accompagnati nella malattia, di non essere soli, di fare i progressi che è ragionevole attendersi (magari sempre con la speranza che accada il fatto inaspettato e risolutivo!). Dunque sarà bene che anche il curante non si prefigga obiettivi che non sono quelli del paziente reale, cioè rispetti i tempi, rispetti la capacità di sopportare, non generi illusioni, e aiuti a valorizzare le capacità, le forze e la passione che in ogni malato ancora albergano.
BIBLIOGRAFIA
Carlo Bellieni, La salute e l'utopia della perfezione, in L'Osservatore Romano, 19 novembre 2008.
Carlo Bellini, Parole alterate: il vocabolario del relativismo etico, in Studia bioethica, 2008,1 (2-3), pp. 63-68.
IL TIMONE N. 84 – ANNO XI – Giugno 2009 – pag. 50 – 51
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