La presenza e l’opera apostolica di Paolo a Roma attestata dalle sue lettere e da fonti pagane. L’esistenza, controversa, e il grande interesse di un epistolario fra Seneca e l’apostolo dei gentili.
A causa della menzione nel capitolo 16 di Narcisso, il potente liberto dell'imperatore Claudio, morto prima della fine dell'anno 54, e di Aristobulo, che alla fine del 54 l'imperatore Nerone inviò a governare la piccola Armenia, ritengo di poter datare la Lettera ai Romani di san Paolo nello stesso 54 o alla fine del 53. In quell'anno Paolo aveva già intenzione di venire a Roma: lo dice lui stesso sempre nella Lettera ai Romani (1,10) e lo ribadisce (15,28 ss), spiegando che intendeva passare da Roma dopo aver portato a Gerusalemme i frutti della colletta che aveva raccolto fra i fedeli, prima di recarsi in Spagna.
In quegli anni la Chiesa di Roma esisteva già ed era fiorente: nella stessa Lettera Paolo dice (1,8) che la fede dei Romani era nota in tutto il mondo. Sempre dalla Lettera ai Romani risulta che la comunità era formata da cristiani provenienti dal giudaismo e da cristiani provenienti dal paganesimo, ma che la coesistenza degli uni con gli altri non era turbata dal problema della circoncisione come nelle chiese d'Asia e, in particolare, in quella dei Galati: nella stessa Lettera ai Romani, dal capitolo 1,18 fino alla fine dell'undicesimo, Paolo affronta il rapporto fra la Legge e la Fede, con argomenti teologici e non con severi rimproveri, come nella Lettera ai Galati, sino alla profezia dell'accoglienza finale di Israele nella fede in Cristo e nell'inno alla sapienza di Dio, che ha permesso a tutti di allontanarsi da Lui con il peccato, per poi salvarli con la Sua Grazia.
La Lettera ci rivela anche come la comunità era organizzata nelle diverse chiese domestiche, e i fedeli si incontravano nelle case di pagani e di ebrei convertiti («la chiesa che è nella casa di…», 16,5). Secondo la tradizione cristiana, confermata da autorevoli scrittori del Il secolo, in particolare da Papia vescovo di Gerapoli e da Clemente di Alessandria, la Chiesa di Roma era stata fondata nel 42 da Pietro, dopo essere sfuggito al carcere di Erode Agrippa a Gerusalemme, quando si recò «in un altro luogo», cioè, secondo la tradizione, appunto a Roma.
A Roma Paolo giunse dopo essere stato arrestato a Gerusalemme, nella primavera del 56, in seguito a un viaggio fortunoso, e nella capitale subì un processo davanti all'imperatore, al quale si I era appellato in qualità di cittadino romano, per difendersi dalle accuse mosse contro di lui, a Cesarea, dal sommo sacerdote Anania e dai Sadducei, davanti ai procuratori romani Antonio Felice, sino allo scadere del suo mandato nel 54, e poi al suo successore Porzio Festo, nel 55. Agli inizi del 56, in attesa del processo, Paolo fu trattenuto a Roma agli arresti domiciliari, in una casa presa in affitto, sotto il controllo dei pretoriani: gli Atti degli Apostoli (28,14-31) insistono sulla notevole libertà lasciata a Paolo in questa detenzione. Già a Pozzuoli si era potuto intrattenere con la comunità cristiana locale e in I una località della via Appia gli era venuta incontro, per accoglierlo, una delegazione di Cristiani di Roma. Qui poté I convocare presso di sé i maggiorenti I della comunità ebraica, che in due riprese ebbero modo di parlare con lui: alcuni credettero, altri rifiutarono di credere, cosicché Paolo, come già in Asia e in Grecia, dichiarò che si sarebbe rivolto ai pagani. In effetti, come risulta dalla Lettera ai Filippesi, scritta in questo periodo, Paolo ebbe la possibilità di far conoscere Cristo a tutto il pretorio, grazie ai soldati della custodia (1,13), e perfino nella Corte, visto che nella conclusione della lettera (4,22) invia anche i saluti dei cristiani "dalla casa di Cesare».
Paolo dice inoltre che la maggior parte dei fratelli, cioè dei Cristiani di Roma, avevano preso coraggio dalla sua prigionia per diffondere più esplicitamente e senza paura la parola di Dio, suscitando però in altri critiche invidiose (Filippesi 1,14-17).
Lo stile della comunità petrina a Roma
Queste ultime osservazioni ci dicono qualche cosa sulle caratteristiche della comunità petrina di Roma prima della venuta di Paolo: una comunità ricca di fede, ma molto riservata e decisa a evitare contrasti sia con i pagani sia con gli ebrei. E lo stile della Pomponia Graecina di Tacito, convertita nel 42 o 43, così coraggiosa da sfidare Messalina, così prudente da giustificare il suo mutamento di vita con il lutto per l'amica Giulia (Tacito, Annali, XIII,32). È lo stile di Pietro stesso che, ad Antiochia, aveva suscitato le critiche di Paolo perché aveva rinunciato a pranzare con i cristiani di origine pagana, quando ciò aveva scandalizzato gli ebrei, pure cristiani, giunti da Gerusalemme. Si trattava di un diverso metodo pastorale, non di una divergenza teologica (Galati 2,11 ss).
La prima prigionia romana di Paolo durò per due anni interi, dal 56 al 58, nei quali egli poté comportarsi "senza impedimenti e con piena libertà di parola», e finì con un'assoluzione nel 58, probabilmente di fronte al prefetto del pretorio Afranio Burro, che controllava ancora in quegli anni, unitamente all'amico Seneca, l'operato del giovane imperatore Nerone.
Lo scambio di lettere fra san Paolo e Seneca
Il 58 è la data più antica indicata nel discusso epistolario fra Seneca e Paolo: si tratta di 14 lettere, di cui due certamente aggiunte successivamente e false (quella relativa all'incendio di Roma del 64 e l'ultima, nella quale Seneca sembra diventato cristiano), le cui date più antiche indicate esplicitamente con i consoli ordinari o suffecti oppure implicite nella situazione descritta ci portano al 58 o al 59. Poi, con un lungo intervallo (che potrebbe coprire il progettato viaggio di Paolo in Spagna), si arriva al 62, l'anno delle nozze di Nerone con Poppea e l'ultimo in cui Seneca può essere ancora considerato "maestro di Nerone e l'uomo più potente di quel tempo», così come appunto lo definisce san Gerolamo, che fra l'altro accettava l'autenticità dell'epistolario.
Giunto a noi fra gli scritti di Seneca ma non fra quelli di Paolo, e privo di contenuti religiosi e teologici, l'epistolario fu ignorato a lungo dai cristiani ma, se riconosciuto autentico, può essere molto importante per gli storici, sia perché rivela le ragioni del benevolo comportamento verso i cristiani del governo di Nerone negli anni della "tutela" di Seneca e di Burro (con le assoluzioni di Pomponia Graecina e dello stesso Paolo) e della svolta, anche nei loro riguardi, oltre che in generale nel rapporto con gli stoici, del 62, sia perché ci rende ragione dell'atteggiamento simpatizzante che gli stoici romani assunsero nel I secolo nei riguardi del cristianesimo. Si tratta di uno scambio di biglietti fra amici, che hanno un contatto non soltanto individuale ma anche comunitario (infatti vengono ricordati amici sia di Seneca sia di Paolo), che si scambiano propri scritti. Fra l'altro, Seneca fa leggere le lettere di Paolo, che egli apprezza, anche a Nerone; altre lettere parlano di questioni linguistiche (Seneca trova difettoso il latino di Paolo e gli invia un libro de verborum copia, forse una specie di vocabolario). Nelle lettere i due amici si avvertono sui mutamenti in corso nella vita pubblica di Roma: importantissimo, da questo punto di vista, l'avvertimento che Seneca fa arrivare a Paolo sull'ostilità di Poppea (indicata da Flavio Giuseppe come giudaizzante) per il suo abbandono del giudaismo. La reticenza con cui Poppea è nominata (viene chiamata domina, la padrona) e il fatto che la parte avuta da Poppea nella persecuzione neroniana non è indicata da nessuna fonte cristiana, è a mio avviso un indizio di autenticità, insieme al fatto che i grecismi sono soltanto nelle lettere di Paolo, mentre sono assenti in quelle di Seneca. L'ostilità di Poppea, che ci porta al 62, se non ai primi mesi del 63, spiega l'editto di Nazareth, con cui un imperatore romano, che è certamente Nerone, accetta le accuse giudaiche sul trafugamento da parte degli Apostoli del corpo di Cristo (Mt 28) e la decisione dello stesso Nerone di applicare per la prima volta il senatoconsulto del 35, che dichiara il Cristianesimo superstitio illicita (Svetonio, Vita di Nerone, 16). È in base a questo senatoconsulto (e non all'accusa di aver incendiato Roma) che Paolo, ormai ben noto alla Corte, viene accusato e arrestato come cristiano: lo rivela il tipo di prigionia di cui si tratta nella Il lettera a Timoteo, ancora di tipo civile (Paolo può infatti ricevere libri e oggetti in genere). Invece i cristiani, accusati di essere incendiari dopo il rogo di Roma nel luglio 64, verranno arrestati in massa e uccisi con atroci tormenti (Tacito, Annali, XV,44).
Paolo morì dunque prima di Pietro, ma forse nello stesso 64: Clemente Romano li ricorda insieme nel comune martirio nella sua lettera ai Corinzi e la Chiesa romana continuò ad associarli come suoi cofondatori e martiri. Una iscrizione ostiense della fine del I secolo o degli inizi del Il ha conservato la dedica di un membro della gens Annea, la stessa di Seneca, al figlio carissimo Marco Anneo Paulo Petro (Corpus Inscritionum Latinarum, XIV, 566): un cristiano, io credo, della familia di Seneca.
Marta Sordi, I cristiani e l'impero romano, Jaca Book, 2004.
Idem, Impero romano e cristianesimo. Scritti scelti, Istituto Patristicum Augustinianum, 2006.
Idem, Rapporti personali di Seneca con i Cristiani, in Aevum Antiquum, n. 13/2000, pp. 123-127.
Ilaria Ramelli, L'epistolario apocrifo Seneca – San Paolo, in Vetera Christianorum, n. 34/1997, pp. 1-12.
Anonimo, Epistolario tra Seneca e San Paolo, a cura di Monica Natali, Rusconi, 1995.
Dossier: San Paolo a duemila anni dalla nascita
IL TIMONE N. 74 – ANNO X – Giugno 2008 – pag. 44-45