Per volere bene al prossimo, bisogna volere bene a Dio. Così nasce l'amore per la carità verso ogni uomo, povero o ricco che sia. Questo ci insegna don Bosco, che non era un filantropo in veste talare.
Correva il 1847. Don Giovanni Bosco, che non sapeva di essere santo, fondava il suo secondo Oratorio. Karl Marx, che era convinto di esserlo, scriveva il "Manifesto del Partito Comunista" e lo avrebbe pubblicato l'anno seguente.
Passato il giro di boa del 2000, il prete di Castelnuovo d'Asti, classe 1815, è vivo almeno quanto l'amore che ha sparso nel suo tempo e in quello che verrà. Il filosofo di Treviri, di tre anni più giovane, è morto quanto l'infezione con cui ha contagiato il mondo intero. Giusto qualche teologo di una qualunque liberazione potrebbe sostenere il contrario: a patto che non pensi di appropriarsi di don Bosco in quanto prototipo della santità sociale.
Non è un pericolo da scartare, perché la mente umana ha un bisogno tremendo di catalogare ogni brandello di esistenza. Non c'è creatura o avvenimento che non corra il rischio di finire in una categoria. E siccome, nello stesso periodo, san Giovanni Bosco si è occupato dei giovani poveri, san Giuseppe Cafasso dei carcerati e dei condannati a morte, san Giuseppe Benedetto Cottolengo dei malati incurabili, santa Maria Mazzarello delle fanciulle, il beato Luigi Orione dei bambini indigenti, ecco servita la categoria del santo sociale. Che può anche essere comoda per un bigino di storia del risorgimento, ma dice davvero poco a chi abbia interesse alla propria anima. Per il semplice motivo che il termine santità non sopporta aggettivi. Qualsiasi specificazione vi si apponga finisce per sottrarvi ciò che ha di essenziale: la bellezza di un'anima che risponde alla chiamata di Dio. La categoria di santo sociale è una frode logica quanto potreb-be esserlo – nel linguaggio sportivo – quella di "campione mondiale d'Italia". Senza contare che don Bosco non aveva i requisiti per soddisfare un simile concetto. Per occuparsi del sociale secondo i canoni di chi ha confezionato questo termine bisogna essere ricchi, colti e cosmopoliti. Solo così si nutre quel naturale distacco che permette persino di immolarsi per il prossimo, ma senza amari o ed escludendo dal proprio orizzonte anche la più pallida idea di Dio: miracoli dell'ideologia. Dal canto suo, il fondatore dei salesiani era povero, ignorante e veniva da una cascina del Piemonte profondo. Tutto quanto portava in testa e nel cuore lo doveva a mamma Margherita, ed era davvero poco paragonato al bagaglio di un teologo come si deve: qualche brano della Scrittura imparato a memoria, gli episodi del Vangelo, i principi fondamentali della vita cristiana tra cui il fondamentale "Dio vede anche nei tuoi pensieri", il Paradiso e l'Inferno, il valore redentivo della sofferenza, la Provvidenza, i Sacramenti, il Rosario.
I santi nascono e crescono cosi. E sarebbe tutto più semplice se, invece che parlare di santità sociale, di impegno, di scelta preferenziale per i poveri, si parlasse di Carità: che è una virtù teologale, non solo per il "Catechismo" di san Pio X, ma per la Chiesa di sempre. In altre parole, la mamma di san Giovanni Bosco aveva insegnato a suo figlio che, per volere bene al prossimo, bisogna volere bene a Dio. Altrimenti si finisce per schiacciare tutti dentro i propri disegni. Non aveva studiato san Tommaso, ma veniva da una tradizione che lo aveva assorbito fino all'ultima stilla.
Don Bosco voleva bene a tutti, senza fare eccezioni. Si occupava dei poveri perché ne avevano più bisogno, ma non vedeva la necessità di contrapporli ai ricchi, che pure chiedevano il suo consiglio. Non aveva posizioni politiche avanzate, non formulava intelligenti analisi sociali, se ne infischiava del progresso che non fosse rispettoso delle leggi divine. Molto semplicemente, vedeva il bisogno e interveniva. Lo faceva su uomini concreti, quelli che la storia la fanno tutti i giorni anche se sembrano patetici di fronte alle grandi sintesi intellettuali.
A differenza di chi guarda il suo tempo con il cannocchiale della storiografia o con il microscopio della sociologia, lui non si curava neanche di mettersi le lenti da presbite. Così, avendo qualche problema nel vedere da vicino, finiva per sbattere contro uomini in carne e ossa. E siccome poteva vedere benissimo da lontano, era in grado di mostrare l'Infinito. Nell'aprile del 1885, passeggiava nel giardino di una signora che lo aveva invitato a pranzo. Camminando lentamente, si fermò davanti a un'aiuola fiorita. Raccolse una viola e la porse alla sua ospite. «Lei è stata gentile a invitarci, signora» le disse. «E io voglio ricambiare con un fiore che è un pensiero. Il pensiero dell'eternità. È un pensiero che deve accompagnarci sempre. Tutto passa in questo mondo, solo l'eternità rimarrà per sempre. Lavoriamo perché la nostra eternità sia felice».
Nel 1884 fu intervistato da un reporter del "Journal de Rome" che voleva conoscere il segreto dei suoi miracoli. «Non ho mai pensato ad altro che a fare il mio dovere. Ho pregato e ho confidato nella Madonna» rispose. E alla domanda sull'avvenire della Chiesa e del mondo replicò: «lo non sono un profeta. Lo siete invece tutti voi giornalisti. Quindi è a voi che bisognerebbe domandare che cosa accadrà. Nessuno, eccetto Dio, conosce l'avvenire. Tuttavia, umanamente parlando, c'è da credere che l'avvenire sia grave. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa. E la Madonna, che visibilmente protegge il mondo contemporaneo, saprà far sorgere dei redentori».
Questa visione soprannaturale, e non altro, spiega il fascino che don Bosco esercitava ed esercita persino su molti anticlericali. Fu proprio il ministro Rattazzi che spiegò spontaneamente a don Bosco come fondare una congregazione, nonostante la soppressione degli ordini religiosi da lui stesso decretata con la famosa legge del 1855. «Rattazzi» disse il sacerdote «volle con me combinare vari articoli della nostra Regola, riguardanti il modo di comportarci rispetto al Codice Civile e allo Stato». In pratica gli insegnò come istituire una congregazione che al suo interno fosse governata dalle normali leggi ecclesiastiche mentre, rispetto allo Stato, risultava governata secondo le leggi civili.
Nacque così l'idea di una società religiosa che davanti allo Stato fosse una società civile. Qualcosa che poteva stare solo nei sogni e nelle intuizioni visionarie di don Bosco. Perché, se non bastasse, questo prete mette in subbuglio la mentalità moderna anche con il suo vedere oltre la realtà. Le sue visioni sono famose, a partire da quella che ebbe a nove anni in cui era già figurato il suo futuro di educatore santo: e non di santo educatore.
Ma qui è bene fermarsi. Sventato il pericolo di vederlo declassato a santo sociale, si rischierebbe di vederlo in santo della psicanalisi. Che non è meglio.
Ricorda
«Io sono col Papa, sono cattolico, obbedisco al Papa ciecamente. Se il Papa dicesse ai piemontesi: Venite a Roma, allora io pure direi: Andate. Se il Papa dice che l'andata dei piemontesi a Roma è un furto, allora io dico lo stesso. Se vogliamo essere cattolici, dobbiamo pensare e credere come pensa il Papa».
(Don Giovanni Bosco, Storia Ecclesiastica, 1870).
Bibliografia
Giovanni Battista Lemoyne, VIta di 6ioI18nni Battista Bosco, SEI, 1927.
Antonio Socci, La dittatura anticattolica. Il caso don Bosco e l'altra taccia del risorgimento, Sugarco, 2004.
Teresio Bosco, Don Bosco, Elledici, 1998.
IL TIMONE – N. 42 – ANNO VII – Aprile 2005 pag. 26 -27