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6.12.2024

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Scrittura e tradizione: i Fondamenti
31 Gennaio 2014

Scrittura e tradizione: i Fondamenti

 

 

Che cos’è il sacramento della Penitenza? Come ricevere il perdono dei peccati commessi dopo il Battesimo? Che cosa lega l’inferno e la misericordia divina alla confessione?


 

Il peccato e la “perdita del senso del peccato”
Non è possibile comprendere questo sacramento se non si comprende che cos’è il peccato: le sue vicende e la considerazione di cui gode nella Chiesa dipendono strettamente da come il peccato è considerato dai cristiani. Che cos’è il peccato? Quella cosa che molti, per non dire tutti, fanno ma di cui – proprio per la sua diffusione – non c’è troppo da preoccuparsi; oppure come la vera origine di tutti i mali del mondo, dell’uomo e della storia? Questo è il vero dilemma in cui si gioca il senso della vita di ogni uomo e alla luce del quale anche il nostro sacramento prende tutto il suo terribile e meraviglioso significato.
Giovanni Paolo II ha parlato a più riprese dello smarrimento del senso del peccato, come del vero e profondo male della nostra epoca, riprendendo peraltro una preoccupazione di Pio XII: «L’uomo contemporaneo sperimenta la minaccia di una impassibilità spirituale e persino della morte della coscienza; e questa morte è qualcosa di più profondo del peccato: è l’uccisione del senso del peccato. Tanti fattori concorrono oggi ad uccidere la coscienza negli uomini del nostro tempo, e ciò corrisponde a quella realtà, che Cristo ha chiamato “peccato contro lo Spirito Santo”» (Angelus del 1° aprile 1979).

Nella Sacra Scrittura
Oggi si direbbe che, almeno dal punto di vista ideale, il processo abbia toccato il fondo, perché il relativismo contemporaneo non mette più soltanto in discussione la “gravità” del peccato, ma la stessa nozione di peccato. Quando poi il relativismo si fa “dittatura”, parlare di peccato è… il peccato più grave che possa esistere. Nella Sacra Scrittura invece il peccato è descritto come il vero male del mondo, la radice di tutti i mali, il “male assoluto”. Dio crea il mondo e lo fa bene: per sette volte (il sette indica un ciclo compiuto, un’opera perfetta) osserva la sua opera e constata che è fatta bene. «Dio vide che era cosa buona» (Gn 1,4.10.12.18.21.25.31). Al capitolo terzo del Genesi fa però la sua comparsa quell’evento che – in un certo qual modo – “rovina” l’opera bella di Dio: il peccato. Il peccato non è dunque fatto da Dio: è opera di una creatura libera, è un uso cattivo del dono stupendo della libertà. Il racconto mette però in luce che il peccato è sì opera dell’uomo, ma non una sua assoluta “invenzione”, perché gli è stato suggerito da qualcun altro, cioè da un misterioso “serpente”, che in realtà è il Diavolo (cfr. Sap 2,24). Il primo peccatore, il vero “inventore” del peccato è il Diavolo, «[…] peccatore fin dal principio» (1Gv 3,8). Tutti i capitoli successivi ci descrivono il terribile ed orribile progresso del male nel mondo in conseguenza di quell’unico peccato: difficoltà tra l’uomo e la donna che prima si volevano così bene (cfr. Gn 3,12), il primo omicidio della storia (cfr. 4,8), la nascita della poligamia e l’umiliazione della dignità della donna (cfr. 4,19), la diffusione della vendetta e della violenza (cfr. 4,23-24). La cattiveria dell’uomo giunge ad un punto tale da provocare la giusta punizione di Dio, il disastro del diluvio. Ma anche dopo il diluvio la cattiveria dell’uomo non cessa, giunge anche a mancare di rispetto nei confronti del proprio padre (cfr. 9,22), cioè del modello ed origine di ogni autorità, e il peccato produce il terribile frutto della divisione dell’umanità in popoli e nazioni che non si capiscono più, si odiano e si fanno la guerra (cap. 11). Un solo peccato: quali e quante conseguenze disastrose!

Il peccato degli Angeli e la creazione dell’inferno
A monte del peccato dell’uomo proietta sulla storia la sua ombra tenebrosa un peccato ancora più imponente, misterioso e terribile: il peccato degli angeli. È a causa di questo solo peccato che nasce la realtà terribile dell’inferno, il «fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,41; cfr. 2Pt 2,4). L’inferno è la chiave per comprendere il peccato, ne è la “cifra”. È per questo che i santi vi riflettevano spesso e, in qualche caso, non rarissimo, hanno ricevuto da Dio la grazia di farne in qualche modo esperienza in questa vita, come nel caso di santa Teresa d’Avila. Lei, che pur sperimentò grazie mistiche elevatissime di unione con Dio, considerò la visione dell’Inferno come «una delle più grandi grazie che Dio mi abbia fatto» (Vita, cap. 32, 4). L’inferno è la “cifra” del peccato, perché ne svela la natura profonda, quella di essere “separazione da Dio”, separazione da quel Dio alla cui «immagine» e «somiglianza » (Gn 1,26) siamo stati creati, che è la ragione del nostro essere, il cui amore – solo – ci può dare la felicità vera e definitiva.
Scriveva Giovanni Paolo II nel 1994: «Ricordiamo che in tempi ancora non troppo lontani, nelle prediche durante i ritiri o le missioni, i Novissimi – morte, giudizio, paradiso, inferno e purgatorio – sempre costituivano un punto fisso del programma di meditazione… Si può dire che tali prediche, perfettamente corrispondenti al contenuto della Rivelazione nell’Antico e nel Nuovo Testamento, penetravano profondamente nel mondo intimo dell’uomo, scuotevano la sua coscienza, lo gettavano in ginocchio, lo conducevano alla grata del confessionale, avevano una loro profonda azione salvifica. (…). Ci si può effettivamente domandare se, senza questo messaggio, la Chiesa sarebbe ancora capace di destare eroismo, di generare santi » (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, 1994, pp. 197-198).
Il Verbo eterno di Dio si è incarnato, ha offerto la sua vita sulla croce ed è risorto, proprio per liberarci da questo male terribile che è il peccato. Lo spettacolo spaventoso di quest’uomo che pende dalla Croce è – insieme ed indissolubilmente – l’immagine eloquente della gravità del peccato e della infinita misericordia di Dio. La remissione dei peccati avviene innanzitutto e soprattutto con il Battesimo, poiché però «la vita nuova nella grazia, ricevuta nel Battesimo, non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato (cioè la concupiscenza), Cristo ha istituito questo Sacramento per la conversione dei battezzati, che si sono allontanati da lui con il peccato» (Compendio, n. 297). C’è differenza tra la remissione dei peccati che avviene con il Battesimo e quella che è offerta con il sacramento della Penitenza? La differenza c’è ed è grande.

Fra Battesimo e Penitenza
La forma più antica del sacramento della penitenza è quella che avviene mediante una esclusione del peccatore dalla comunità e una sua riammissione dopo un lungo e rigoroso tempo di penitenza. È quella che viene chiamata “penitenza canonica” o “pubblica”. Non perché comporti una confessione pubblica del peccato, ma perché il procedimento di esclusione (scomunica) e di riammissione ha evidentemente una valenza pubblica. Il sacramento del Battesimo è completamente diverso perché avviene su persone che ancora non fanno parte della Chiesa e su cui dunque la Chiesa non ha potere. Con il Battesimo non c’è una esclusione-riammissione, ma solo una incorporazione nella Chiesa che avviene in modo totalmente gratuito. Il Battesimo dei bambini, una pratica che nella Chiesa c’è stata fin dagli inizi, lo manifesta con chiarezza.
Quando dunque la Chiesa esclude il peccatore dal suo seno lo fa per due fondamentali ragioni: per evitare che il membro malato possa infettare gli altri e per far sì che il peccatore si ravveda e compia un percorso di conversione. In questo percorso lei lo accompagna con la preghiera e i sacrifici dei suoi membri, la riammissione avviene in modo solenne e ha un carattere sacramentale. Il Concilio ecumenico di Trento, che ha chiarito di fronte alla negazione dei protestanti l’origine divina di questo sacro rito, cioè la sua natura pienamente sacramentale, si è ricollegato ad un passo della Scrittura: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (Gv 20,19-23).
Il Signore ha dato ai suoi Apostoli un potere “di legare e di sciogliere”: «In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo » (Mt 18,18; cfr. CCC 1444). «Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio» (CCC 1445). Ma questa espressione ha anche un altro significato “demonologico” che è assolutamente coerente con quello “ecclesiologico” richiamato dal Catechismo. Il peccato infatti è una schiavitù che pone sotto il dominio delle forze demoniache e – in questa prospettiva – “legare” vuol dire abbandonare il peccatore in questa triste situazione. È così che san Paolo si comporta nei confronti dell’incestuoso di Corinto: «Ebbene, io, assente con il corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, colui che ha compiuto tale azione. Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore» (1Cor 5,3-5). Sciogliere allora vuol dire liberare dai lacci di Satana e riammettere pienamente nella Chiesa, con un accesso pieno alle sue grazie e alla sua protezione: questo è l’autentico significato della parola “assolvere”. Questa procedura della Chiesa è cambiata sensibilmente nel corso del tempo. Il problema che dobbiamo affrontare oggi di una interpretazione corretta dell’ultimo concilio ecumenico, che deve guardarsi bene da una distruttiva “ermeneutica della rottura”, per praticare invece la corretta “ermeneutica della riforma nella continuità”, trova qui uno degli esempi storici più evidenti ed istruttivi.
Dal giudizio di esclusione portato dall’autorità della Chiesa nei confronti del peccatore, si passa all’autoaccusa del peccatore davanti al suo ministro; dalla riammissione pubblica e solenne (e molto rara, in qualche caso una sola volta nella vita…), si passa all’assoluzione portata dal ministro in un rapporto “privato” con il penitente; dalla penitenza che precede l’assoluzione, spesso lunga e molto faticosa, alla penitenza che segue l’assoluzione e assume un carattere accentuatamente “simbolico” (significa l’accettazione delle sofferenze della vita come cammino di purificazione davanti a Dio). Molto è cambiato: ma la sostanza rimane e deve rimanere intatta. Da una parte gli atti del penitente: pentimento, confessione e penitenza (la “materia”); dall’altra l’azione di Dio attraverso il giudizio del ministro: l’assoluzione (la “forma”). Quello che può apparire come un accentuato “lassismo”, alla luce dei principi immutabili contenuti nella Scrittura interpretata dalla Chiesa, prende invece la forma di uno sviluppo mediante il quale la Chiesa comprende più a fondo la grandezza ineffabile della misericordia di Dio e le esigenze continue e “quotidiane” del processo di conversione. La confessione infatti diventa sempre più “facile” e quindi frequente e ingloba al suo interno – anche se in forma non obbligatoria ma comunque raccomandata – la confessione dei peccati veniali. Diventa anche il luogo naturale in cui può nascere un rapporto di direzione spirituale per condurre gli uomini sulle vie strette ed impervie, ma affascinanti, della santità.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1422-1498.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 296-312.
Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et Pænitentia, 2 dicembre 1984.

 

 

 

 

 

Dossier: Il Sacramento della Penitenza

 

IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 36 – 38

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