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11.12.2024

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«Scusi, potrebbe confessarmi?»
31 Gennaio 2014

«Scusi, potrebbe confessarmi?»

 

 

Perché e come confessarsi. Che cosa insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica per fare una “buona confessione”. Che è fonte di una gioia vera


 

Possono essere diversissimi le circostanze e i sentimenti che ci spingono a chiedere ad un sacerdote: «Scusi, potrebbe confessarmi?». La vita crea sempre motivi per cui una persona trova il tempo per varcare la soglia del confessionale. Ma non sempre ci si mette in ginocchio per ricevere l’assoluzione sacramentale, dopo aver guidato il proprio cuore a sentire ciò che permette a Dio di concederci il perdono. Infatti, come nella parabola del padre misericordioso, Dio non attende altro che il momento in cui noi torniamo a casa e gli concediamo la gioia di poterci avvolgere nel suo abbraccio che perdona. Sant’Ambrogio nel suo trattato I sei giorni della creazione ci parla di questa felicità del Signore, interpretando così il riposo divino: «Dio creò il cielo e non leggo che si sia riposato; creò la terra e non leggo che si sia riposato; creò il sole, la luna e le stelle, e non leggo che nemmeno allora si sia riposato; ma leggo che ha creato l’uomo e che a questo punto si è riposato, avendo un essere a cui rimettere i peccati».
Il perdono è già stato preparato per noi, non si attende altra gioia che il donarcelo. Ma allora, come deve essere il cuore dell’uomo per regalare a Dio la possibilità di perdonarlo? È uno scritto illuminante di Santa Teresina di Lisieux che ci indica la risposta. Lo scrive verso il termine della sua vita, sono i suoi ultimi pensieri, e dice così: «Sì, lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, col cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, perché so quanto egli ami il figliol prodigo che ritorna a Lui».

La contrizione e il proposito. Previo esame…
Tutto sta qui, nel chiedere di venire confessato, avendo il cuore spezzato dal pentimento, portando nel cuore la più viva contrizione, dove la parola stessa ci fa immaginare un cuore stritolato dal dolore per i peccati commessi. Infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica, parlando degli atti del penitente, inizia esattamente dalla contrizione che definisce come «Il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire ». Accostarsi a Gesù presente nel Sacramento della Penitenza senza il cuore che fa male, significa fare una Confessione superficiale, che rischia di risolversi in una Confessione inutile.
È vero che molto spesso non è facile pentirsi di tutto ciò che di “piacevole” e “utile” abbiamo ottenuto scegliendo il peccato. Difatti, chi invece di partecipare alla Messa domenicale preferisce trascorrere una giornata immerso in un limpido e fresco mare, difficilmente sentirà dolore per la bella giornata trascorsa, magari evitando la calura estiva. Come chi sceglie l’impurità faticherà a pentirsi del piacere provato o dell’avventura trascorsa. E così per tutti i peccati. Però, se nella nostra vita c’è un sincero e intenso amore per il Signore, dopo aver commesso un peccato, non possiamo non sentire il cuore spezzato per aver ferito il Cuore di Dio. Questo è il pentimento sufficiente per aprire la porta del nostro cuore e lasciare che Dio ci avvolga con il perdono che aveva pronto da donarci pur di riaverci per sé. Ma nel nostro cammino di santità dobbiamo pregare e lottare per arrivare a sentire anche il disprezzo per ciò che ci allontana dall’amore di Dio.

L’accusa dei peccati
Primo frutto del pentimento è il vivo desiderio di accusarsi del male fatto. Infatti, nella parabola del padre misericordioso, quando il figlio comprende il suo peccato dice: «Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te». Lo stesso avviene per chi ha il cuore spezzato dal pentimento: non può conservare nella sua coscienza il peccato commesso, deve confessarlo, sente il bisogno urgente di accusarsi rendendo pubblico il peccato che nasconde nell’anima. Questo è il motivo per cui il Concilio di Trento ripreso dal Catechismo della Chiesa Cattolica ci insegna che «è necessario che i penitenti enumerino nella Confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti». Tacere un peccato al confessore per vergogna e per opinioni personali o per altro, è chiaro segno di un pentimento solo apparente. Chi ha il cuore contrito è lieto di subire anche la vergogna di far conoscere la sua bassezza al sacerdote, che magari anche lo conosce, sapendo che questo atto di umiltà è il primo e più grande gesto di espiazione del peccato che si è compiuto.
Inoltre, nascondere volutamente un peccato mortale durante il Sacramento della Riconciliazione significa uscire dal confessionale con tutti i peccati con cui vi si era entrati più uno, quello di sacrilegio. Per assurdo, se si è presa la decisione di non dire tutti i peccati gravi commessi, sarebbe meglio non confessarsi affatto, infatti non si offenderebbe Dio evitando un nuovo peccato. Sant’Agostino ha delle splendide parole per farci comprendere quanto sin qui detto: «Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d’accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni ti unisci a Dio. L’uomo e il peccatore sono due cose distinte: l’uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto».
Ci sono poche gioie in questa vita che rendono felici quanto l’inginocchiarsi per ringraziare Gesù, dopo aver scandito uno ad uno tutti i propri peccati davanti a Dio che ti ha accolto, ascoltato e perdonato nella persona del sacerdote.

Duc in altum: “impara a guardare le stelle”

Nel nostro animo nasce una sorta di orgogliosa dignità quando troviamo il coraggio di confessare anche le colpe più vergognose. È come diventare capaci di distogliere lo sguardo dal fango ed innalzarlo al cielo. Oscar Wilde ha un significativo aforisma che dice: «Siamo tutti nella fogna, ma alcuni di noi sanno guardare le stelle». Tutti nella vita abbiamo commesso peccati di cui ci vergogniamo, oppure abbiamo desiderato commetterli, compreso chi finge il contrario. La nostra dignità non sta nel fingere di essere persone per bene, dato che Dio sa chi siamo realmente e gli altri conoscono di cosa si può essere capaci. Il nostro orgoglio deve stare nel saper guardare le stelle nonostante la fogna che ciascuno di noi è capace di produrre; nel mostrare a Dio il nostro peccato per far brillare la sua misericordia, di cui siamo resi certi dalla formula sacramentale che ci garantisce l’avvenuto perdono: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Purtroppo nel periodo in cui viviamo, la sincerità nella Confessione non è il problema più grave. Oggi si sbandierano i propri peccati ovunque, quasi fossero motivi per cui essere invidiati. La vergogna ed il pudore dei propri errori sono stati sostituiti dal vanto di fare e di dire quanto gli altri ancora non hanno avuto il coraggio di fare e di dire. Oggi il Sacramento della Confessione non è minacciato perché gli uomini si rifiutano di dire i peccati, ma perché gli uomini non sanno più che cosa è peccato. Questo è tragico, perché significa che l’uomo d’oggi non sa più distinguere il bene dal male. E quindi non sa più perché dovrebbe chiedere perdono. In questo momento storico ubriaco di relativismo, credo che educare a confessarsi significhi formare le coscienze, prima che insegnare come ci si confessa per bene.

Dopo il perdono, il rimedio
Infine, dobbiamo ricordarci che quando si ha il cuore spezzato dal pentimento, si prova il vivo desiderio di riparare al male fatto. Il male fa male. Il peccato provoca sempre dei danni che impoveriscono il Corpo Mistico di Cristo e l’umanità. «L’assoluzione toglie il peccato, ma non porta rimedio a tutti i disordini che il peccato ha causato. Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualche cosa di più per riparare le proprie colpe: deve soddisfare in maniera adeguata o espiare i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche penitenza», così insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica. Soddisfazione, espiazione e penitenza suonano come concetti fastidiosi alla nostra mente, perché ci conducono a far fatica, ci richiedono sacrificio, ci impongono rinunce. A noi piace il guadagno facile, vorremmo avere tutto a basso prezzo e meglio ancora regalato. Purtroppo, invece, le cose preziose costano e costano sempre caro. Quello che puoi acquistare a buon prezzo risulta spesso merce scadente o di scarsissimo valore. La misericordia che Dio ci concede quando corriamo a Lui con il cuore contrito è un perdono che Dio ci ha preparato pagandolo un caro prezzo: tutto il Sangue di Gesù Cristo, ogni istante della sua Passione.
Quando ci si reca a Gerusalemme, si vive una grande emozione nel momento in cui si può entrare curvi e in silenzio nel Sepolcro. È il cuore del pellegrinaggio: si va in Terra Santa per vedere noi stessi che quel sepolcro è vuoto, il cadavere che custodiva non è più lì perché è risorto, adesso è vivo.
Questo è il cuore della nostra fede. Ma altrettanto indimenticabile è il momento in cui si sale sul Calvario, percorrendo i grandi e diseguali gradini fino ad arrivare alla roccia dove era piantata la Croce. Infatti, il rimanere sul Calvario ci ricorda che noi in quel luogo ci siamo già stati.
Mentre Gesù pendeva dalla Croce, ciascuno di noi era lì presente, perché il Signore ci teneva davanti ai suoi occhi con il nostro volto e il nostro nome, sapendo che quello che stava patendo e la morte che stava arrivando erano il modo in cui, espiando, ci avrebbe salvati. E siamo stati salvati non perché Gesù ha sofferto, il solo soffrire non salva. Siamo stati salvati perché quella sofferenza espiatrice è stata accolta e sostenuta per amore. Qui si capisce la necessità di unire anche la nostra espiazione a quella offerta da Gesù sulla Croce, compiendo la riparazione e la penitenza. La Chiesa nel Sacramento della Riconciliazione ci impone delle lievissime penitenze, che però ci ricordano che il peccato perdonato ha delle conseguenze che vanno riparate.
Attraverso dei gesti tanto sobri, come sono quelli della Confessione, noi veniamo perdonati, ci viene concesso un nuovo inizio. Così Chesterton riassumeva tutto questo: «Quando un cattolico ritorna dalla Confessione entra veramente, per definizione, nell’alba del suo stesso inizio. Egli sa che in quell’angolo oscuro, in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a Sua immagine».

 

 

 

 

Dossier: Il Sacramento della Penitenza

 

IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 39 – 41

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