Per gran parte della filosofia metafisica medievale, e per il cristianesimo, Dio è onnisciente, conosce nel dettaglio e perfettamente non solo ciò che è avvenuto nel passato, non solo tutto ciò che accade oggi, ma anche tutto quanto accadrà, anche tutte le scelte future di ogni essere umano, anche quelle che avverranno fra cento o mille o centomila anni (se la storia continuerà per tutto questo tempo).
Siamo liberi o necessitati?
Ma, allora, sorge una questione importante: se Dio è onnisciente, se conosce tutto quello che faremo, vuol dire che tutto è già scritto? Vuol dire che noi recitiamo una parte che ci è assegnata e che non dipende in alcun modo da noi, un copione già tutto predeterminato? In altri termini, se Dio è onnisciente, allora che cosa resta della libertà umana? Vuol dire che crediamo di essere liberi ma, in realtà, siamo invece rotelle di un ingranaggio inesorabile, di una macchina cosmica, burattini in mano ad un “Grande Burattinaio”?
Questo problema è quello del rapporto tra prescienza (conoscenza perfetta in anticipo) divina e libertà umana, talvolta detto anche problema dei futuri contingenti: gli eventi futuri sono tutti necessari, comprese le azioni umane, oppure accanto a molti eventi necessari, determinati da leggi fisiche e biologiche, ci sono anche eventi che possono non accadere (che sono appunto contingenti), eventi che sono le azioni umane libere? La questione è stata trattata con una certa finezza già da Severino Boezio (nato nel 480 circa, morto nel 526 o forse nel 524) filosofo, questore e console, consigliere del re Ostrogoto Teodorico (più propriamente detto Teoderico), poi caduto in disgrazia, incarcerato e infine giustiziato. Durante il periodo di prigionia Boezio scrisse il De consolatione philosophiae, in cui affronta anche la questione che stiamo esaminando. Nel seguito, salvo poche aggiunte, seguiamo la falsariga della sua risposta, integrandola con quanto affermerà molti secoli dopo Tommaso d’Aquino.
Conoscere in anticipo non equivale a causare
In primo luogo, la conoscenza in anticipo di x non equivale alla produzione di x, conoscere in anticipo x non equivale a causarlo. Ad esempio, so con certezza che l’uomo che mi sta di fronte morirà, prima o poi (visto che l’uomo è mortale), ma questo non vuol dire che sia io la causa della sua morte (a meno che non decida di assassinarlo). Quindi, la prescienza divina degli eventi futuri, comprese tutte le azioni umane, non equivale di per sé alla loro predeterminazione. Certo, Dio conosce gli eventi che egli stesso determina, ma ci sono altri accadimenti che Dio, pur conoscendo benissimo, non determina.
Rispetto a Dio tutti gli eventi sono presenti
In secondo luogo (come hanno variamente compreso già Platone, Aristotele e Agostino), Dio non è sottoposto alla successione temporale, allo scorrere del tempo, non vive nella dimensione temporale che caratterizza noi esseri umani, che viviamo in un presente transeunte che diventa passato, in un presente che precede il futuro. In Dio non c’è alcun divenire (Aristotele dice che Dio è Atto puro), nemmeno il mutamento temporale. Dio vive piuttosto in un eterno presente: un presente che non trapassa e che non precede il futuro. Questo vuol dire che gli eventi sono sì, in se stessi e rispetto a noi, passati, presenti o futuri, cioè essi accadono in successione temporale, ma, rispetto a Dio, non sono passati o futuri, bensì tutti simultaneamente presenti.
Facciamo un esempio: se ci avviciniamo ad un affresco in cui sono raffigurati molti eventi e lo guardiamo da cinque centimetri di distanza, vediamo un solo evento che vi è raffigurato; se invece ci allontaniamo di due metri, vedremo tutti gli eventi che sono stati dipinti dall’autore. Certo, noi non riusciamo a vedere in modo nitido molti eventi simultanei, mentre Dio li conosce tutti distintamente. Come dice Dante, la storia, anche nei suoi aspetti contingenti, è tutta «dipinta», cioè, dispiegata, di fronte a Dio (cfr. il “Ricorda” in fondo a questo articolo per una citazione dei versi da lui scritti al riguardo).
Facciamo un altro esempio (molto simile a quello di Tommaso, Summa Theologiae, q. 14, a. 13, ad 3): se Tizio percorre un luogo affollato, vede e incontra prima Caio, poi Sempronio, poi Giovanni, poi Pietro, ecc.; ma se Tizio guarda da un grattacielo questo luogo, può vedere queste persone tutte insieme.
Insomma, anche le azioni umane sono tutte simultaneamente dispiegate al cospetto di Dio: dunque, propriamente parlando, Dio non ha una prescienza, cioè una conoscenza anticipata di eventi che devono ancora accadere, bensì una scienza: conosce tutta la storia simultaneamente.
E, quanto alle nostre azioni, certamente il nostro potere di agire viene da Dio, che è creatore di ognuno di noi, dunque Dio è causa del nostro agire: se lui non ci creasse non potremmo agire, non potremmo fare alcunché, non esisteremmo nemmeno; ma è causa della libertà del nostro agire, perché ci crea appunto liberi. Per analogia: ognuno di noi è stato generato dai suoi genitori e, se non fossimo stati generati dai nostri genitori, non potremmo agire: dunque i nostri genitori sono (in modo analogo a Dio) cause del nostro agire (per la precisione sono cause seconde), ma il nostro agire è nondimeno libero e non determinato dai nostri genitori (in modo analogo a Dio, non identico: infatti Dio non “genera”, bensì “crea” l’anima di ciascuno; l’unico generato da Dio è Cristo).
Perché pregare se Dio sa già cosa desideriamo?
Applichiamo questo discorso alla preghiera, sia pur limitandoci a pochi cenni per ragioni di spazio. Che cosa serve esprimere a Dio, con le preghiere, le nostre richieste? Dio non le conosce già tutte? Sì, Dio le conosce già tutte, ma vuole che gli uomini preghino, affinché «pregando meritino di ricevere quanto Dio onnipotente fin dall’eternità aveva disposto di donare ad essi» (Tommaso, Summa Theologiae, II-II, q. 83, a. 2, ad 3). In altri termini, la preghiera «non informa Dio sul bisogno di ciò che è richiesto, né piega la sua volontà a concederlo», però «causa l’avvenire di qualcosa, in quanto rende chi prega idoneo a riceverlo» (citiamo dalla p. 84 dell’articolo di Stephen Brock menzionato in bibliografia).
Perché Dio ha bisogno della nostra preghiera?
Si può infine domandare: perché Dio ha bisogno delle nostre preghiere? Che cosa gli procurano? In realtà nulla, perché Dio non ha bisogno di nulla, essendo perfetto. Piuttosto, come dice Tommaso d’Aquino (nel passo poc’anzi citato e nel successivo articolo 3), la preghiera serve a noi: ci fa comprendere o capire meglio che siamo finiti e miseri (Agostino parla di confessio peccatorum nelle Confessioni), che Dio è grande (questa è la confessio laudis, sempre per Agostino): ci fa comprendere o capire meglio, che abbiamo bisogno di cercarLo e di amarLo.
Per saperne di più…
Boezio, De consolatione philosophiae, V, VII.
Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 14, articoli 9 e 13, II-II, q.83, articoli 2 e 3.
Stephen Brock, Sulla causalità della preghiera di petizione: C.S. Lewis, Peter Geach e Tommaso d’Aquino, «Acta Philosophica», 23 (2014), pp. 79-88.
IL TIMONE – Aprile 2014 (pag. 30 – 31)
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