Nessuno ha la volontà reale di fermare il dilagare della pornografia. Che colpisce le fasce più deboli, giovanissimi e immigrati, e degrada l'immagine della donna.
Fino al punto di farla apparire una facile «preda».
Le radici culturali che alimentano la diffusione degli stupri.
Sono due le piaghe sociali che occupano con cronometrica precisione le prime pagine dei giornali e i notiziari televisivi: gli incidenti mortali sul lavoro e gli stupri. L'escalation dei primi è legata all'inosservanza delle norme sulla sicurezza da parte delle imprese; inosservanza spesso unita all'incoscienza delle persone coinvolte. Il dilagare degli stupri è invece un allarmante segnale del degrado di una società che non ha più punti di riferimento saldi e condivisi. Le «morti bianche» nascono dal permanere di una spietata logica del profitto che può, forse, essere corretta e temperata da leggi più severe ed efficaci. Più difficile, invece, pensare che le violenze carnali possano essere eliminate semplicemente grazie a pene più rigorose, controlli più efficienti sul territorio e corsi di autodifesa. Tali violenze sono infatti favorite, come vedremo, da quel clima culturale dominante che ha fatto dello sradicamento di ogni regola morale il suo fiore all'occhiello. Perché indignarsi di certi fatti, quando in realtà li si alimenta in tutti i modi? Lacrime di coccodrillo. Ma ecco alcune cifre per inquadrare il fenomeno.
Un'aggressione ogni due ore
In media, le violenze carnali denunciate ogni anno in Italia sono quasi cinquemila, tredici al giorno, una ogni due ore (quelle denunciate, non tutte quelle realmente accadute, che si suppone siano di più). E le persone aggredite, nella maggior parte dei casi, sono donne. Altro dato che fa riflettere: su dieci violenze ben quattro, cioè il 40 per cento, sono opera di stranieri (ma la percentuale di stranieri in Italia è «solo» dell'8 per cento!). E spesso i violentatori sono parenti stretti della vittima… La politica che cosa fa? Almeno all'apparenza, non sta a guardare. Anzi, si agita. La richiesta di «più sicurezza» ha dato l'impronta alle recenti elezioni, sia legislative che amministrative. C'è chi sostiene che il candidato di centrodestra per la poltrona di primo cittadino della Capitale, Gianni Alemanno, abbia vinto il ballottaggio contro Francesco Rutelli proprio per aver dato più ascolto alla domanda di sicurezza che veniva dalle periferie della città. Insomma, ha scelto una linea più dura e decisa. Vedremo, alla prova dei fatti, a Roma e nell'intero Paese, se la battaglia per la sicurezza del nuovo governo andrà oltre le dichiarazioni di principio. Ma il problema finisce qui? Si esaurisce con un più capillare pattugliamento delle strade, magari coadiuvato dalle ronde in "camicia verde", e l'iscrizione in massa alle palestre per imparare a difendersi? Nient'affatto. Misure certo utili, quelle accennate. Ma c'è una riflessione più profonda e più amara da compiere.
Business da due miliardi di euro l'anno
Partiamo da qualche altro dato, meno noto. Anzi, finora accuratamente taciuto. O al più relegato su testate specializzate (come il settimanale economico Il Mondo, che nel numero del 9 maggio scorso ha pubblicato una attenta inchiesta in merito). Ci riferiamo al dilagare incontrollato del porno-business, vera e propria industria del sesso, che non conosce recessione e fattura più di 2 miliardi di euro l'anno (prostituzione esclusa). Se le riviste pornografiche tradizionali, l'home video e i sexy shop sono in declino, oggi i settori più redditizi sono i siti web, i videotelefonini e la pay tv: una ventina sono gli spettacoli a luci rosse in onda tutte le notti su vari canali di Sky Italia. Secondo il Quarto rapporto sulla pornografia, realizzato da Eurispes con il patrocinio del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, si tratta di un settore che ha un trend di crescita superiore al 10 per cento annuo.
I cartelloni pubblicitari
La diffusione così capillare e l'estrema accessibilità (con la connivenza di genitori «tolleranti» e aperti), hanno messo la pornografia alla portata dei giovanissimi. Ma anche degli immigrati. Entrambi, per motivi diversi, di fronte alla sconcia invasione sono da considerare le "fasce più deboli». Gli uni, i ragazzi, sono per ragioni anagrafiche immaturi e influenzabili, perciò corruttibili. Gli altri, gli immigrati – vulnerabili perché magari lontani dalla moglie per mesi e anni – dimenticano in fretta di provenire da Paesi dove il sesso non è ancora ridotto a merce e il senso della vita non è la ricerca esasperata del piacere. A travolgerli non è solo una pornografia sempre più esplicita e aggressiva. Ma anche una sorta di pornografia soft, quella che emana da ogni cartellone pubblicitario e da ogni spot tv: bocche sensuali, scollature vertiginose, bellezze provocanti, introvabili nella vita reale, si materializzano per vendere un liquore, un dopobarba, un orologio, o per presentare una lotteria con ricchi premi. Cosa può pensare un immigrato di tutte queste ragazze "disinvolte», che fanno capolino a ogni angolo di strada o da qualsiasi rete tv?
«Si deve provare ogni esperienza»
Chi "difende» gli immigrati a ogni piè sospinto – giustamente: sul piano del lavoro, dei diritti, della lotta a ogni discriminazione – non si cura affatto poi di difenderli dal «veleno» corrosivo della pornografia più o meno occulta. Una ragione c'è. Coloro che predicano l'uguaglianza, la solidarietà e l'integrazione, il più delle volte sono anche quelli che, fraintendendo la lezione di Freud (rispettare e amare la grande forza creativa dell'eros), ritengono normale soddisfare i propri stimoli sessuali in tutte le direzioni. Per loro "non vi è nulla che in natura sia cattivo» e "si deve provare ogni esperienza». Affermano, costoro, che "non esiste una occasione di piacere che non debba venir perseguita», così che il godimento sessuale è ricercato in sé, fuori da ogni significato più alto e da ogni norma morale. Scompare in tal modo l'argine che in ogni civiltà ha sempre distinto l'uomo dalla brutalità animale. E prevale un'immagine degradata della donna, che diventa così una "preda», un oggetto-merce. Per chi è schiavo della pornografia, la donna non ha diritti. E, se resiste, è pronta una coltellata.
Odio «razziale» verso la donna
Come possiamo uscirne? Non è facile scalfire la mentalità dominante in materia di rapporti liberi tra i sessi, mentalità ormai consolidata anche tra le giovanissime (l'ideale è la velina, non l'insegnante o il medico) e alimentata, come abbiamo visto, da un business miliardario e in continua crescita. Ma in un Paese come l'Italia democratica, che mette alla gogna le idee non conformiste, perché solo la pornografia è invece un "pensiero» ammesso e depenalizzato?
Sant'Agostino diceva: "Uno Stato non può essere sicuro quando restano in piedi le mura, ma decadono i costumi».
RICORDA
«(…) il corpo non viene più percepito come realtà tipicamente personale, segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo. Esso è ridotto a pura materialità: è semplice complesso di organi, funzioni ed energie da usare secondo criteri di mera godibilità ed efficienza. Conseguentemente, anche la sessualità è depersonalizzata e strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell'amore, ossia del dono di sè e dell'accoglienza dell'altro secondo l'intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti».
(Giovanni Paolo II; Lettera Enciclica Evangelium vitae, n. 23).
IL TIMONE N. 74 – ANNO X – Giugno 2008 – pag. 14-15