Papa Francesco guida la comunità cristiana anche con parole semplici ed efficaci, pronunciate quotidianamente durante la Messa a Santa Marta, dove abita. Confessione, vergogna, conversione e spirito missionario in una recente omelia
«Tante volte – ha affermato papa Francesco – pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria» per pulire la sporcizia sui nostri vestiti: «Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria: è un incontro con Gesù, ma con questo Gesù che ci aspetta, ma ci aspetta come siamo. “Ma Signore, senti sono così…”, ma ci fa vergogna dire la verità: “Ho fatto questo, ho pensato questo”. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana… la capacità di vergognarsi: io non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono “sin vergüenza”, senza vergogna: questo è “un senza vergogna”, perché non ha la capacità di vergognarsi e vergognarsi è una virtù dell’umile, di quell’uomo e di quella donna che è umile».
Conversione e spirito missionario
Queste parole sono state pronunciate da papa Francesco durante l’omelia in una delle Messe quotidiane celebrate nella cappella di Santa Marta, dove vive, alle 7 del mattino e sono state riportate dalla Radio Vaticana il 29 aprile scorso. Vengono registrate ma il Papa non le ha riviste e quindi non compaiono sul sito ufficiale della Santa Sede, dove invece appaiono tutti i documenti ufficiali del Magistero pontificio. Quindi non so come qualificarli, se Magistero o non ancora, in vista di una revisione da parte del Pontefice che permetta poi la loro collocazione nei documenti ufficiali.
A parte questo, importante, quesito relativo alla portata magisteriale di tali omelie, queste parole hanno avviato per me una certa riflessione, che mi ha portato a compiere un gesto che non è ancora istintivo per tanti cattolici, ma confido che lo possa diventare. Ho preso in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica e sono andato a leggermi la parte relativa al «sacramento della penitenza e della riconciliazione» (nn. 1422 ss).
Vi ho trovato anzitutto un appello alla conversione, perché questo sacramento realizza l’appello di Gesù alla conversione degli uomini, affinché ritornino al Padre dal quale si sono allontanati con il peccato (cfr. n. 1423). La conversione credo sia il problema principale della Chiesa nel nostro tempo, sia per quanto riguarda coloro che non hanno la fede o l’hanno perduta, sia per quanto riguarda quelli che pensano di averla, ma la coltivano poco o per nulla, rischiando così di perderla o di confonderla con loro opinioni.
Il CCC parla così di due conversioni. La prima si ottiene con il Battesimo, la seconda con la penitenza; con «l’acqua e con le lacrime», per usare le parole di sant’Ambrogio (CCC 1429). È evidente come la conversione sia un problema diverso in Asia, dove la Chiesa opera per la prima evangelizzazione in situazioni spesso di persecuzione fisica, o in Africa, dove i cristiani sono diventati la maggioranza del continente ma sono comunità ancora giovani e devono soprattutto coltivare e fare crescere il dono della fede, oppure in Occidente, dove la Chiesa è chiamata dai pontefici a una seconda e nuova evangelizzazione a cui le comunità cristiane non sono ancora adeguatamente preparate, mentre permane una persecuzione culturale e amministrativa da parte di governi laicisti. Ma in tutti i tre casi, appare il legame fra la conversione e lo spirito di apostolato o missionario: se non ci convertiamo ci ripieghiamo su noi stessi e finisce lo spirito missionario, se invece ci convertiamo profondamente e se coltiviamo il dono della fede, allora la Chiesa diventa missionaria, porta il vangelo e la civiltà.
«Gesù chiama alla conversione» (CCC 1427). Adesso possiamo contemplare questa richiesta anche nel “terzo mistero della luce” del rosario, dopo l’introduzione dei “misteri della luce” voluti dal beato Giovanni Paolo II. Come svolgere questa missione è compito delle indicazioni del Magistero della Chiesa, dei pontefici anzitutto, e dei vescovi nelle rispettive diocesi, che si trovano ad affrontare alcuni problemi comuni a tutti i cristiani e altri assai diversi. Ma che questo sia un punto da verificare ogni volta che andiamo a ricevere il sacramento della confessione mi pare certo. Che cosa abbiamo fatto del talento ricevuto con il sacramento del Battesimo? La fede cattolica l’abbiamo sotterrata sotto il nostro quieto vivere, oppure abbiamo cercato di comunicarla e di imparare a trasmetterla, posto che non siamo nati esperti nella conoscenza della fede?
Le due conversioni
Se nel Battesimo riceviamo il dono della Fede e dunque la “prima conversione”, abbiamo bisogno di una “seconda conversione”, scrive sempre il Catechismo (1428). Essa avviene durante il corso di tutta la vita e si serve del sacramento, per riconciliarci con Dio dopo aver confessato i peccati compiuti.
«Questa seconda conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa che “comprende nel suo seno i peccatori” e che, “santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento” (Lumen gentium, 8). Questo sforzo di conversione non è soltanto un’opera umana. È il dinamismo del “cuore contrito” (Sal 51,19) attirato e mosso dalla grazia (cf Gv 6,44; 12,32) a rispondere all’amore misericordioso di Dio che ci ha amati per primo (cf 1 Gv 4,10)».
Proprio perché non è soltanto un’opera umana, questa seconda conversione non dobbiamo concepirla come qualcosa che dipenda dalla nostra capacità organizzativa di cattolici impegnati o dalla nostra bravura di fedeli attivi. Dobbiamo fare un primo passo, quello di rivolgerci al tribunale della misericordia, e poi lasciarci lavorare dalla grazia di Dio. Se non ci opponiamo con la nostra umanità peccatrice, questo dinamismo è incontenibile e conduce alla vetta della santità. Così nascono i santi e così cambiano le società perché, come ha scritto Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi (soprattutto n. 28), i cattolici devono evitare l’errore commesso durante la modernità di pensare soltanto alla salvezza individuale senza preoccuparsi degli altri, della loro salvezza e santificazione. E devono anche comprendere che dalla Fede, ricevuta come un dono e coltivata come un talento prezioso, deve nascere un giudizio culturale sul proprio tempo e quindi un tentativo di costruire un “mondo migliore” di quello nel quale si vive. Insomma, il cattolico non può, senza tradire la propria fede, disinteressarsi del mondo a lui contemporaneo, ma deve cercare di «animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico » (Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem) e di consacrare il mondo a Cristo (cf Pio XII, 5 ottobre 1957 e Paolo VI, 23 aprile 1969).
Il ruolo della vergogna
E qui entra in gioco la vergogna di cui accennava il Papa. Quando andiamo a confessarci proviamo vergogna di quanto abbiamo commesso. Questa è una cosa buona. Dio permette e infonde questo sentimento perché ci purifica e ci porta a odiare il peccato. A volte ci permette di constatare la nostra mediocrità, l’incapacità di comprendere e valutare veramente i nostri comportamenti e tutto questo ci aiuta capire che in ogni cosa dipendiamo da Dio, dalla sua volontà. Anche la nostra crescita verso di Lui dipende da Lui.
“Senza vergogna” dunque è un detto che esprime tutta l’antica saggezza popolare, una felice espressione di un proverbio vero, che aiuta l’uomo a ricordarsi di essere peccatore fin dalla nascita e, quindi, proprio grazie al fatto di riconoscere, vergognandosi, questa sua intrinseca debolezza, l’uomo potrà essere riscattato dall’amore di Dio, un amore paziente e potente.
Ricorda
«Come si rimettono i peccati? Il primo e principale sacramento per il perdono dei peccati è il Battesimo. Per i peccati commessi dopo il Battesimo, Cristo ha istituito il Sacramento della Riconciliazione o Penitenza, per mezzo del quale il battezzato è riconciliato con Dio e con la Chiesa». «Perché la Chiesa ha il potere di perdonare i peccati? La Chiesa ha la missione e il potere di perdonare i peccati, perché Cristo stesso glielo ha conferito: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23)».
(Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 200-201).
IL TIMONE N. 124 – ANNO XV – Giugno 2013 – pag. 58 – 59
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