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10.12.2024

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Socrate
31 Gennaio 2014

Socrate

 

 

Uno dei più grandi maestri della filosofia antica. Non privo di una forte tonalità religiosa. Capace di morire per coerenza con la sua dottrina. Mirava al bene dell’anima, coltivando il sapere e la virtù. Meglio soffrire un’ingiustizia piuttosto che commetterla

 

Tra i grandi maestri della filosofia antica, un posto del tutto particolare è occupato da Socrate. L’originalità delle sue dottrine, la tragica fine a cui andò incontro ed il fatto che non abbia lasciato nulla di scritto sono gli elementi principali che hanno contribuito a farne una figura quasi circonfusa da un’aura di leggenda.
Per ciò che concerne le teorie filosofiche da lui sostenute, dobbiamo fidarci degli scritti di Platone (specialmente l’Apologia di Socrate, che riporta i discorsi fatti da Socrate al processo che ne decretò la condanna a morte), che fu suo allievo, e che ce le ha tramandate nei celeberrimi dialoghi, in molti dei quali Socrate funge da protagonista. Altre notizie su di lui ci provengono da Aristofane, Senofonte ed Aristotele, che, rispetto a Platone, mostrano nei suoi confronti minore interesse e minore ammirazione.
Socrate nacque ad Atene nel 470/469 a.C. e morì nel 399, condannato alla pena capitale dal tribunale della sua città che lo ritenne ingiustamente colpevole di empietà e di corruzione dei giovani. Egli non fondò una scuola, ma preferì praticare una sorta di insegnamento itinerante per le strade, nelle piazze ed in altri luoghi pubblici di Atene.
La prima importantissima novità introdotta da Socrate nel panorama filosofico del suo tempo consiste nella cosiddetta svolta antropologica: tralasciate le ricerche intorno alla natura, egli preferì concentrarsi sull’uomo, indagandone in particolare la dimensione etica. La più significativa delle dottrine socratiche riguardanti l’essere umano è quella secondo cui la vera essenza dell’uomo è l’anima. Da tale dottrina derivano conseguenze di estremo valore, tra le quali spicca la decisa svalutazione della dimensione fisica dell’essere umano: il corpo è soltanto un contenitore, uno strumento destinato a perire, mentre l’anima, che è coscienza di sé, pensiero e moralità, è immortale. Di qui, l’accorato appello di Socrate a cercare solo secondariamente i beni materiali, quali il piacere, il successo, la ricchezza, e a prendersi principalmente cura dell’anima, coltivando il sapere e la virtù che, a suo giudizio, coincidono. Egli afferma, infatti, che nessuno fa il male volontariamente, ma per ignoranza, e che l’ignoranza è all’origine di ogni vizio: in ciò consiste quello che viene definito l’«intellettualismo etico» di Socrate.
Secondo il grande pensatore ateniese, vivere virtuosamente non è tanto un obbligo, quanto l’unico modo per essere felici; in tal modo, nel socratismo, virtù, sapienza e felicità finiscono per coincidere: si tratta di una dottrina che ebbe notevole successo tra i filosofi greci, mentre il cristianesimo la rifiuterà, ritenendo che non è il sapere a garantire agli uomini la bontà e la felicità, che sono frutto della rettitudine del cuore nell’obbedienza alla volontà di Dio e dell’accoglienza del dono della Grazia, e non una conquista della ragione umana.
Inoltre, Socrate insegnò che è meglio soffrire un’ingiustizia piuttosto che commetterla: anche per questo motivo, egli accettò con serenità di morire ingiustamente, addirittura consolando quegli stessi amici che erano andati a trovarlo in carcere il giorno in cui bevve la cicuta. Celebre è rimasta la maieutica socratica, ovvero l’arte di far emergere, attraverso il dialogo, la verità presente nell’animo dell’interlocutore.
A questo proposito, Socrate era solito dire che egli operava sugli spiriti come sua madre, che era ostetrica, operava sul corpo delle donne gravide: ella aiutava le partorienti a dare alla luce i figli, mentre lui permetteva alle persone di «partorire» quella verità che ospitavano nella loro anima. Per ottenere questo risultato, Socrate iniziava a dialogare, mettendo in crisi le certezze dell’interlocutore e facendogli capire che soltanto chi è consapevole della propria ignoranza è davvero in grado di intraprendere il cammino verso il vero. Di contro alla superbia dei falsi sapienti, egli rivendica il valore dell’umiltà dell’uomo autenticamente saggio, il quale è convinto che soltanto un faticoso lavoro di ricerca può condurre dal buio dell’errore alla luce della conoscenza.
Non v’è dubbio che nella filosofia socratica sia presente anche una forte tonalità religiosa. Non disponendo, a questo proposito, della testimonianza di Platone, dobbiamo ricorrere a quella di Senofonte, in base alla quale possiamo ritenere che Socrate credesse in un Dio onnisciente, ordinatore e provvidente. Certo, la Provvidenza a cui pensa il filosofo ateniese è diversa da quella in cui crederanno i cristiani: egli infatti non si riferisce a un rapporto diretto e personale di Dio con il singolo uomo, ma la descrive come una specie di capacità divina di sovrintendere alle sorti generali del mondo. Un altro aspetto della religiosità socratica concerne l’esistenza di un «daimonion» che il filosofo asserisce di avvertire dentro di sé: si tratta di una voce divina che, in determinate situazioni della vita, lo ha distolto dal compiere un’azione o dal fare una scelta che si sarebbero rivelate per lui dannose. Tale «daimonion», dunque, riguarda direttamente la persona di Socrate e non le sue dottrine filosofiche.
La personalità e la filosofia di Socrate hanno messo a dura prova gli studiosi di ogni tempo, che hanno incontrato gravi difficoltà nel ricostruirle e comprenderle con precisione.
Resta comunque indubitabile il fatto che, come opportunamente ricorda Giovanni Reale, «del messaggio generale di Socrate è debitore l’intero occidente».

 
 
 
 
 
RICORDA

«Della morte non mi importa, se non è troppo eccessivo dirlo, proprio per niente. Invece, ciò che mi importa più di tutto è di non commettere ingiustizia o empietà».
(Platone, Apologia di Socrate, 32 C-D)

 

 
 

BIBLIOGRAFIA

 

Giovanni Reale, Storia della filosofia greca e romana. Vol. II – Sofisti, Socrate e socratici minori, Tascabili Bompiani, 2004.

 

 


IL TIMONE  N. 95 – ANNO XII – Luglio/Agosto 2010 – pag. 32 – 33

 

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