La solidarietà non è meramente un sentimento di comunanza né sola assistenza materiale verso chi ha bisogno. È il motivo ultimo per cui esiste la comunità politica
Uno dei pilastri su cui appoggia la pace sociale è la solidarietà. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, papa Francesco ricorda che la solidarietà indica molto di più di qualche sporadico atto di generosità; essa «richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni».
La destinazione universale dei beni
Per parlare in modo appropriato di giustizia sociale e solidarietà, bisogna innanzitutto ricordare che il mondo è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, in altre parole che esiste una destinazione universale dei beni anteriore al diritto di proprietà. In questa prospettiva il possesso privato dei beni si giustifica alla luce del loro orientamento al bene della persona e, attraverso essa, al bene comune.
L’idea della destinazione universale dei beni è stata progressivamente trascurata dalla cultura moderna sino a diventare del tutto marginale. L’ideologia liberale, non di rado fondata sull’esaltazione senza limiti del bene e della libertà individuale, e l’ideologia social-comunista, che teorizza la superiorità delle strutture sociali collettive, considerate più importanti della stessa persona umana, ingenerano nell’epoca moderna l’idea che il bene della persona e quello della società stiano tra loro in un rapporto conflittuale, quasi che il bene individuale e quello collettivo siano necessariamente in contrapposizione tra loro.
Il liberalismo che (nella sua versione più diffusa), esalta la libertà assoluta del singolo e il suo diritto di perseguire il proprio bene individuale, giunge sino a negare i legami e le responsabilità interpersonali; mentre il collettivismo, da parte sua, rivendicando il diritto alla realizzazione del bene collettivo, toglie ogni limite al potere dello Stato, sino alla negazione dei diritti inalienabili dell’uomo.
Bene personale e bene comune
L’individualismo e il collettivismo, che si sono affrontati negli ultimi due secoli, presentandosi come fautori di due visioni dell’uomo e della società radicalmente contrapposte, hanno in realtà in comune un errore di prospettiva fondamentale: entrambi non riescono a vedere che il bene della persona e quello della collettività sono in un rapporto d’implicazione e non di esclusione.
Il loro errore nasce da una concezione del bene comune limitata agli elementi socioeconomici e, come conseguenza, una visione della vita sociale ridotta a competizione tra interessi contrapposti. Tale fraintendimento ha una ricaduta anche sul modo di concepire la solidarietà, ricondotta a un sentimento di comunanza e benevolenza tra uomini o all’assistenza di chi ha bisogno. Quest’idea di solidarietà, solo materiale, non ne coglie il pieno significato, radicato nella natura sociale della persona umana.
Sia il bene comune che la vita sociale non possono essere ridotti alla sola dimensione materiale; al contrario, essi vanno definiti in relazione alla persona nella sua totalità, che comprende tanto la dimensione materiale quanto quella spirituale e sociale dell’uomo.
Il bene comune rettamente inteso, di conseguenza, deve comprendere ed essere orientato sia al conseguimento dei beni materiali necessari alla vita, come il cibo, il lavoro, la salute, sia ai beni intangibili come l’educazione e la cultura, o il diritto di fondare una famiglia o quello di esprimere liberamente la propria religiosità, nella stabilità e sicurezza di un giusto ordine sociale e politico. La comunità umana nasce dall’unione solidale dei membri che costituiscono una determinata società. Un’unione è solidale quando realizza il giusto equilibrio tra singolo e comunità, tutelando la libertà e la dignità del singolo dalle ingiuste pretese della collettività, ma anche arginando le pretese dell’individualismo che nega il legame esistente per natura tra gli uomini.
L’uomo come essere sociale
La vita di relazione, cioè l’esercizio della socialità, è necessaria all’esistenza dell’uomo. La sua centralità si manifesta sin dal concepimento, nella dipendenza assoluta dell’embrione dalla madre. Dopo la nascita, il bambino vive e sviluppa la propria identità grazie alla comunità familiare. In seguito saranno la comunità civica, la scuola, la comunità economica e politica a consentirgli di conseguire gli obiettivi che superano le sue capacità individuali e a sviluppare le sue doti personali.
Grazie alle relazioni sociali instaurate mediante le scelte decise di volta in volta, l’uomo mette in gioco e realizza la propria ragione e la propria libertà, cioè le caratteristiche che lo qualificano come persona. In questa dinamica di partecipazione alla vita comunitaria, espressa dalle responsabilità familiari, economiche, sociali e politiche assunte, l’uomo può fare esperienza del rapporto d’implicazione esistente tra il suo bene personale e il bene comune.
La scoperta di questa relazione profonda mette in luce la responsabilità di partecipare alla costruzione del bene comune, secondo la funzione che ciascuno svolge all’interno della società e secondo le proprie capacità, ricercando, attraverso la partecipazione, l’inclusione di ogni persona, nella consapevolezza che non può esistere un bene di tutti che non sia contemporaneamente bene di ciascuno. Dalla partecipazione responsabile e generosa nasce un popolo: «In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che “l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale”. Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia» (Evangelii Gaudium, 220).
Il senso ultimo della solidarietà
In questa prospettiva la solidarietà, centrata sul primato della persona umana e sul suo essere sociale, si rivela come l’unica strada per il definitivo superamento del conflitto tra individuo e collettività attraverso il principio secondo cui «l’unità è superiore al conflitto»: «Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto. La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (Evangelii Gaudium, 228).
La solidarietà diventa qui qualcosa di più che una politica sociale. Diventa la prospettiva stessa del nostro vivere in società, l’aspetto che continuamente ci ricorda il motivo ultimo per cui esiste la comunità politica.
Per saperne di più…
Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, nn. 160-196, www.vatican.va
Giacomo Samek Lodovici, Il bene comune, “il Timone”, 113 (2012), pp. 30-31, www.iltimone.org
Francesco Botturi, Il bene della relazione e i beni della persona, in L. Melina – J.J. Perez- Soba (eds.), Il bene e la persona nell’agire, Lateran University Press, 2002, pp. 161-184.
Gabriel Chalmeta, Etica applicata. L’ordine ideale della vita umana, Le Monnier, 1997, pp. 75-98.
IL TIMONE N. 130 – ANNO XVI – Febbraio 2014 – pag. 32 – 32
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