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12.12.2024

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Storici
31 Gennaio 2014

Storici

 

 

Scriveva Jacques Ellul (1912-1994) a proposito degli scienziati: «Basta il più piccolo dubbio sul valore assoluto di ciò che fanno, la più misurata domanda sulla finalità del loro lavoro, che subito un dito vendicatore si punta contro l’infame che ha osato attentare alla maestria del progresso». Essi «hanno bisogno di essere non solo gli eroi della scienza e della potenza, ma anche i martiri dell’incomprensione e del regresso. La tecnica è totalitaria. Non si pone mai il problema del bene e del male, del lecito o illecito della propria ricerca».
Ellul si riferiva, ovviamente, ai professionisti delle cosiddette «scienze esatte», che di solito lavorano con entità incontrovertibili quali i numeri. Non tutti, però; solo gli scientisti, quelli che scrivono Scienza col maiuscolo e di essa fanno religione. Quanto possano essere «esatte» certe scienze, poi, lo vediamo, per esempio, a proposito dell’eterna polemica sull’evoluzionismo: con gli stessi dati alla mano, alcuni giurano sulla derivazione scimmiesca dell’uomo, altri trovano conferma alla Bibbia. Insomma, ormai dovrebbe essere chiaro che non basta una cattedra universitaria, non basta neppure un Nobel, per poter zittire il prossimo al grido di «Lei non sa chi sono io!».
Ma la pretesa di «scientificità» (e, dunque, di indiscutibilità) rasenta il ridicolo quando viene accampata da quelli che insegnano storia all’università. Noi apologeti ne sappiamo qualcosa perché i nostri numerosi detrattori non mancano mai di far ricorso, tra gli altri, a questo argomento. Come voi, cari lettori, sapete, per fare apologetica (che, lo ricordo, non è magnificazione sempre e comunque, ma esposizione del punto di vista cattolico: certo, in modo unilaterale, ma per niente diverso da quel che fanno gli apologeti di tutte le altre visuali), per fare apologetica, dicevamo, non di rado occorre ripercorrere le pagine di storia che vengono regolarmente usate per gettare fango sul cattolicesimo. Ebbene, i nostri libri vengono altrettanto regolarmente accusati, per prima cosa, di «mancanza di scientificità». Nel linguaggio della casta degli storici accademici ciò significa che: a) prima di scrivere un libro che tratti di storia bisogna perdere qualche anno negli archivi; b) le note a piè pagina devono occupare più spazio del testo; c) la bibliografia in fondo al volume deve essere lunga almeno cento pagine. Ovviamente, per far ciò occorre non avere altro da fare nella vita; cioè, essere, come loro, storici professionisti. Qualcuno di costoro ha anche motivato l’atteggiamento: se un finto medico può andare in galera per esercizio abusivo della professione, perché non un finto storico? L’obiezione è facile: un finto medico può ammazzare la gente, un finto storico no.
Ma è proprio su questo termine, «finto», che vogliamo attirare la vostra attenzione, cari lettori. Ammesso che solo uno storico pagato dallo Stato possa aver diritto di scrivere libri e articoli di storia, noi apologeti cattolici possiamo vantare nelle nostre file un numero non piccolo di storici accademici, alcuni anche fin troppo noti. I quali, guarda un po’, dopo avere visitato archivi, stilato note a piè pagina, accumulato sterminate bibliografie, traggono conclusioni assolutamente uguali alle nostre. Ora, poiché questi non possono essere snobbati come «non scientifici», con loro si cambia sistema e si ricorre al sempre efficace «fascisti», magari accostando maliziosamente certe loro amicizie o frequentazioni o trascorsi giovanili.
Oppure luoghi di scrittura. Così, se uno scrive su una rivista dell’Istituto Gramsci non è detto che sia comunista. Se, invece, scrive sul «Timone», è certo che sia un bieco reazionario.
Ma torniamo agli storici con cattedra universitaria in generale. Siamo proprio sicuri che basti lavorare in modo «scientifico» per non dire fesserie? Il mondo, almeno quello italiano, si divide in credenti e agnostici, e ciò vale anche per gli storici accademici. Infatti, anche loro partono da un pre-giudizio prima di mettersi al lavoro. Ricordate il libro dello storico accademico Sergio Luzzatto su Padre Pio? Uno che per i credenti è stato uno dei più grandi santi del cristianesimo divenne in quel libro un «fenomeno di clerico-fascismo».
Da buon agnostico, Luzzatto non ha fatto altro che applicare il suo modo di vedere la realtà, che è fatta solo di destra-sinistra. Quando Andrea Tornielli ha pubblicato un intero libro per mostrare i limiti di un simile metodo, Luzzatto ha avuto buon gioco (secondo lui) nel dargli del «non scientifico». Infatti, Tornielli è un giornalista, anche se i meandri del Vaticano li frequenta da una vita. Un solo argomento gli è stato opposto, il solito: zitto, tu, che non sei uno storico accademico.
La verità è che tutti, accademici e non, scrivono di storia in base alla loro concezione, che è sempre preventiva. Non ci vengano a raccontare di «scientificità», perché, per avere le idee chiare, la «scientificità» non serve a niente. Si contano sulle dita di una mano quelli che, a furia di compulsare archivi, si sono arresi all’evidenza e, a rischio di perdere il posto, lo hanno fatto sapere a tutti. Ci torna in mente Romolo Gobbi, che nel 1992 osò pubblicare per Rizzoli Il mito della Resistenza. Era, allora, ricercatore presso l’università di Torino e aveva già cinquantacinque anni e molti volumi pubblicati.
Scoppiò un putiferio. Non sappiamo se sia riuscito a salire in cattedra. E che dire di Renzo De Felice, che doveva andare alle lezioni scortato dalla polizia? Morale della favola: la storia non è una scienza, punto e basta. È un racconto, che il narratore porge come gli pare.
È lui a decidere quali sono i buoni e quali i cattivi nella vicenda che sta raccontando.
E così facciamo anche noi apologeti. Anzi, ben sapendo di dover andare controcorrente, cerchiamo il più possibile di utilizzare testi di autori “laici” per dimostrare che gli stessi fatti possono essere letti anche in modo diverso (secondo il famoso principio della bottiglia mezzo piena o mezzo vuota). Tuttavia, pure così procedendo ci danno degli «scorretti» e/o «saccheggiatori» di opere altrui. La verità è che non sopportano concorrenza nell’istruire il popolo. Lo stesso motivo, se ci pensate, che portò Cristo alla morte in giovane età.
Ooops! L’ho detto! Adesso mi daranno del «vittimista»…

 

 

IL TIMONE N. 88 – ANNO XI – Dicembre 2009 – pag. 20 – 21

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