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10.12.2024

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Terra promessa, ma lontana
31 Gennaio 2014

Terra promessa, ma lontana

 

 

 

 

Israele non attua gli accordi del '93, i visti per il personale religioso sono concessi con sempre maggiore difficoltà, la situazione dei cristiani è di "sofferenza". E si allontana la possibilità per papa Benedetto XVI del tanto desiderato pellegrinaggio in Terrasanta.

Trattative arenate tra Israele e Santa Sede e visti per la Terrasanta negati a preti e religiosi: si allontana così la possibilità di un pellegrinaggio in Terrasanta di papa Benedetto XVI, un desiderio espresso più volte. Lo aveva detto anche padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della I Santa Sede in occasione della recente visita in I Vaticano del presidente israeliano Shimon Peres: «Il Papa ha un grande desiderio di andare, è I naturale, ma per un viaggio ci vogliono le condizioni sia per quanto riguarda la situazione generale e la pacificazione dell'area, sia per quanto I concerne la situazione dei rapporti".
E proprio i rapporti tra Israele e Santa Sede sono a un punto critico. Dopo gli accordi fondamentali firmati nel 1993, la Santa Sede ha dovuto fare i conti con la mancanza di volontà da parte israeliana di tradurli in leggi, per cui rimangono inattuati. Attualmente la commissione mista sta lavorando all'accordo detto "economico", richiesto dagli accordi del 1993, per tutelare lo statuto fiscale della Chiesa in Israele e salvaguardare i luoghi santi ed altre proprietà ecclesiastiche.
Ma ancora una volta, il 12 dicembre, la riunione si è risolta con un nulla di fatto e l'unico aspetto positivo è il comune impegno a rivedersi ancora il prossimo maggio a Roma.
Nel frattempo è scoppiata un'altra grana, ovvero l'estrema difficoltà per preti e religiosi di ottenere visti. «Malgrado le promesse del governo israeliano – aveva denunciato la Radio Vaticana il 7 novembre scorso – sacerdoti e suore che escono da Israele continuano ad avere bisogno, per rientrare, di un nuovo visto di ingresso da parte di un consolato israeliano, che ottengono con grosse difficoltà e che comunque impone mesi di esasperante attesa per il disbrigo delle pratiche». In pratica si applicano anche a preti e religiosi le restrizioni agli ingressi comuni a tutti i cittadini che provengono da "Paesi nemici", elenco nel quale sono entrati recentemente a far parte anche Giordania ed Egitto, pur essendo questi due gli unici Paesi arabi ad aver firmato un trattato di pace con Israele. Essendo il clero cattolico in Israele di provenienza soprattutto giordana, ed essendo giordani gran parte dei seminaristi del patriarcato latino, è evidente il problema che l'atteggiamento israeliano comporta.
Secondo quanto affermato a Radio Vaticana da padre David Jaeger, rappresentante della Santa Sede in seno alla Commissione mista, «i responsabili ecclesiastici di Terrasanta hanno preferito evitare proteste pubbliche, cercando invece di ottenere un mutamento di linea tramite negoziati discreti con le autorità civili competenti». Tutto ciò però pare non aver dato risultati: «Nell'accordo fondamentale con la Santa Sede del '93 – aveva detto padre Jaeger – era stato previsto in linea di massima il diritto della Chiesa a dispiegare il proprio personale nelle proprie istituzioni» ma questo «fino ad oggi non è avvenuto». E così, ad esempio, «l'unico sacerdote siro-cattolico abilitato alla cura pastorale della sua comunità è bloccato da mesi a Roma e non può ripartire per Israele».
Stando alle dichiarazioni fatte ad AsiaNews da monsignor Antonio Maria Vegliò, segretario della Congregazione per le Chiese orientali e membro della delegazione vaticana alla Commissione mista, la questione dei visti per il personale religioso non è stata neanche affrontata nella riunione del 12 dicembre, ma nei giorni successivi è stata al centro del colloquio tra il nunzio apostolico a Gerusalemme e responsabili del governo. Non si sa però con quali esiti. Di certo c'è – come ha detto il custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa – che la situazione dei cristiani in Terrasanta resta di "sofferenza". L'elemento positivo, ha detto padre Pizzaballa, è che la sofferenza rende la comunità cristiana (170mila persone circa, il 60% in territorio israeliano e il 99% di origine arabo-palestinese) ancora più determinata ad essere presente: «Siamo pochi, siamo piccoli, ma ci siamo e ci saremo. La nostra è una comunità molto fiera, convinta. E poi i poveri non possono emigrare, e ci sono tanti poveri».



 

IL TIMONE  N. 69 – ANNO X – Gennaio 2008 – pag. 48

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