Sintetica cronistoria delle tappe che hanno portato al conflitto tra israeliani e palestinesi. Intanto nella terra di Gesù, i cristiani sono dimenticati. E costretti – nei fatti – ad emigrare.
Conquistata dagli arabi tra il 636 e il 638 d.C., la Palestina fu abitata da forti comunità arabe cristiane, da sparuti gruppi ebrei e da comunità arabe musulmane.
Le statistiche, incerte, riguardano la zona della Mezzaluna fertile e non solo l’area palestinese. Verso la metà del XIX secolo, si registra la presenza del 2.4% di Ebrei (erano 0,9% nel 1580), del 18,1% di cristiani (contro il 7,3% del 1580), e del 79,5% di musulmani contro il 91,8% precedente.
Un censimento del 1894 evidenzia in Palestina un 13,3% di cristiani, destinati, come vedremo, a diminuire considerevolmente. Le presenze ebraiche in Palestina aumentano, favorite specialmente dagli inglesi, in particolare dopo la nascita del movimento politico e culturale Sionista, fondato da Theodor Herzl (1860-1904) alla fine del XIX secolo per riportare gli ebrei nell’antica terra di Israele. Nel 1855 nella zona di Hebron si contano circa 30.000 ebrei
a fronte di 300.000 arabi, e nel 1895 50.000 ebrei su 500.000 arabi. Gli ebrei beneficiano del finanziamento di grandi finanzieri europei. La famiglia Rothschild, ad esempio, compra terreni in Palestina, vi installa l’ebreo come gestore, questi fa lavorare il contadino arabo dando così luogo ad una condizione simil-coloniale. Questo rapporto economico tra ebrei e arabi col tempo muta. Gli ebrei che provengono dalla Russia zarista dopo il moto rivoluzionario del 1905, sono ideologicamente socialisti e intendono instaurare in Palestina una società ugualitaria e nuova. Essi preferiscono lavorare personalmente i terreni, licenziando la mano d’opera araba, con ciò creando tensioni tra i due gruppi. Inoltre, utilizzano un sistema economico di stampo occidentale, che comprende il sistema bancario e i finanziamenti a prestito contrari alla legge coranica.
Nel secolo scorso
Con il XX secolo inizia un graduale calo delle presenze cristiane in Terra Santa. Nel 1914 i cristiani sono l’11,26% e nel 1922 scendono al 9,5%. Intanto gli inglesi perseguono contemporaneamente più politiche nell’area: 1) creare un’area satellite di carattere arabo; 2) accordarsi con la Francia per la spartizione del territorio medio-orientale; 3) estromettere la Germania e la Russia dalla regione; 4) stabilire un accordo con il movimento sionista, ormai diffuso sul continente europeo.
La Prima guerra mondiale segna il tracollo degli Imperi ottomano, russo e asburgico. Questo determinerà un exploit dei nazionalismi, contrari alla costituzione di realtà multietniche che invece si volevano creare nella zona mediorientale.
L’Inghilterra, che già nel 1917 con la Dichiarazione Balfour (deputato conservatore inglese) aveva auspicato la costituzione di una “national home” per gli ebrei in Palestina, acquisisce il “mandato”, che durerà fino al 1947, sull’area della Mesopotamia e della Palestina.
Spera di ottenere tre risultati: 1) affermare il suo controllo sulla zona; 2) controllare eventuali ingerenze francesi sulla Terra Santa; 3) bilanciare le richieste sioniste e quelle arabe sperando di fare da arbitro.
Alla fine degli anni ’20 e negli anni ’30 scoppiano disordini tra arabi ed ebrei insediati.
L’Inghilterra organizza commissioni di inchiesta per accertare la reale entità delle tensioni presenti. Nel 1936 la Commissione Peel ascolta più di 130 testimoni tra ebrei, sionisti, arabi palestinesi e arabi di diversa nazionalità. Il rapporto pubblicato nel 1937 incita alla divisione della Palestina in uno Stato ebraico (la pianura costiera comprendente la valle di Jezreel e la maggior parte della Galilea) e uno arabo (comprendente i rimanenti territori e la Transgiordania). Stabilisce inoltre la costituzione di un corridoio, da Gerusalemme alla costa fino a Jaffa, controllato dai britannici.
Contemporaneamente si propone di trasferire la popolazione a seconda dello Stato di appartenenza. Ma il piano di spartizione è respinto dagli arabi (ad eccezione di Abdullah di Transgiordania) e determina una rottura all’interno del movimento sionista. Nel febbraio 1939 si svolge a Londra la Conferenza di Saint James, cui partecipano una delegazione ebraica guidata da Chaim Weizmann, e una delegazione araba comprendente rappresentanti di cinque paesi e degli arabi palestinesi. Le posizioni sono diametralmente opposte e la Conferenza si chiude con un nulla di fatto.
Nel maggio 1939 viene pubblicata la Carta Bianca McDonald. Il documento propone la creazione in dieci anni di uno Stato unitario palestinese i cui confini vadano dal Mediterraneo al Giordano. Inoltre delinea un piano quinquennale per l’immigrazione di 75.000 ebrei, ma non prevede nessuna ulteriore immigrazione senza il consenso arabo. Nel marzo 1940 è limitata severamente la vendita di terreni agli ebrei. Il movimento sionista guarda alla Carta Bianca come a un “atto di tradimento”. Nel quadro della politica inglese, invece, la Carta rappresenta un atto di simpatia nei confronti del mondo arabo, reso necessario dallo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Dopo la seconda guerra mondiale
Nel 1947 i britannici deferiscono la questione palestinese alle Nazioni Unite. Si forma un comitato speciale per la Palestina, che raccomanda la spartizione del territorio in due Stati, uno ebraico e l’altro arabo, e suggerisce che Gerusalemme diventi una città internazionale. 33 Paesi approvano il piano, 13 lo rifiutano, 10 si astengono.
I britannici lasciano il territorio il14 maggio 1948 e gli Stati Uniti acquisiscono maggior potere decisionale sulla zona. l’opinione pubblica ebraico-americana si schiera per la causa sionista: il presidente Truman cerca il consenso degli elettori per essere confermato alla presidenza ed è quindi molto sensibile alla lobby ebraica. Questa situazione pone fine al terrorismo ebraico contro il governo britannico, che si era intensificato negli anni postbellici e che forse aveva causato il ritiro della Gran Bretagna dalla zona. Nel frattempo, in coincidenza con il ritiro dei contingenti britannici, il governo provvisorio ebraico capeggiato da Ben Gurion proclama lo Stato d’Israele. l’atto determina lo scoppio di una guerra di indipendenza da parte del popolo arabo palestinese, che termina solo nel 1949 con l’armistizio di Rodi. Da questo momento in poi, il governo di Israele è gestito da coalizioni di centrosinistra, dirette da Ben Gurion, leader del partito laburista.
Lo Stato israeliano non è riconosciuto dai paesi arabi. Iniziano continui sconfinamenti di guerriglieri fedayin nel territorio di Israele osteggiati con forza dal governo israeliano laico e socialista. L’Unità 101 di Sharon diventerà famosa per questo compito.
Il regime di persecuzione antisionista e antiebraico instaurato da Stalin porta alla rottura delle relazioni diplomatiche fra Unione Sovietica e Israele e a un graduale avvicinamento dell’URSS ai paesi arabi. Il 23 gennaio 1950, in contrasto con la risoluzione delle Nazioni Unite, Israele trasferisce la propria capitale da Tel Aviv a Gerusalemme.
Contemporaneamente, in Egitto, Gamal Abdel Nasser con un colpo di Stato destituisce il re Faruk e instaura una repubblica dittatoriale che gode dell’appoggio di una coalizione politica che va dai Fratelli Musulmani ai comunisti. La politica panaraba intrapresa da Nasser origina una crisi che sfocia nella guerra del Sinai, dopo la nazionalizzazione del canale di Suez da parte egiziana. Contro l’Egitto si schierano la Francia, l’Inghilterra e Israele. Il conflitto termina con una vittoria israeliana dal punto di vista militare, ma con un trionfo di Nasser dal punto di vista politico, tanto che il canale di Suez resta egiziano.
Nel 1967 Nasser chiede il ritiro delle forze di sicurezza dell’ONU poste a presidiare il confine del Sinai, proclama la chiusura del golfo di Aqaba alle navi israeliane e sigla un patto militare con la Giordania. La reazione di Israele è immediata: nel giugno del medesimo anno un attacco aereo simultaneo contro le forze arabe dà inizio a un conflitto brevissimo (Guerra dei sei giorni) che si conclude con una straordinaria vittoria militare israeliana. Israele occupa Gerusalemme Est, la Cisgiordania, la striscia di Gaza, le alture del Golan. Circa 200.000 profughi palestinesi fuggono dai territori occupati riversandosi in Egitto, Giordania e Siria.
Intanto, nel 1964, era nata ufficialmente l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) sotto gli auspici degli egiziani e della Lega Araba. L’Organizzazione acquista importanza grazie alla leadership di Arafat.
Dopo la Guerra dei sei giorni, a Khartoum, gli arabi riuniti ribadiscono i famosi “tre no” al popolo israeliano: no alla pace; no al riconoscimento; no alla diplomazia. Nel frattempo i territori occupati da Israele sono lentamente colonizzati. Nel 1973 l’Egitto con Sadat cambia la politica di Nasser e propone il riconoscimento di Israele in cambio della restituzione del Sinai. Il premier israeliano Golda Meir non si fida. Sadat scatena un’offensiva nota come “Guerra dello Yom Kippur”, in ottobre. L’Egitto rioccupa il Sinai e supera i confini della penisola, ma le truppe di Israele, guidate da Sharon, con un’abile manovra arrivano a novanta chilometri da Il Cairo. Le potenze internazionali impongono un rigoroso cessate il fuoco e un’ondata di profughi, circa 400.000, si riversa in Siria e in Libano (fatto che sarà determinante per lo scoppio della crisi libanese nel 1976). Intanto il governo israeliano vede per la prima volta una forte presenza dei nazionalisti. Begin è il leader del movimento Herut (libertà) che punta all’acquisizione di entrambe le sponde del Giordano. Questo partito si unisce all’area liberale nazionalista formando il nuovo partito detto Likud che, guidato da Begin, vince le elezioni nel 1977 e governa fino al 1981.
Intanto in Cisgiordania si insediano gruppi di coloni ebrei.
Speranze di pace
Nel novembre 1977 il presidente egiziano Sadat si reca a Gerusalemme, incontra Begin e tiene un discorso al Parlamento israeliano. Anteponendo gli interessi dell’Egitto a quelli comuni degli arabi, propone il riconoscimento di Israele in cambio della restituzione del Sinai. Il mese successivo, il primo ministro israeliano ricambia la visita recandosi al Cairo. Purtroppo Sadat paga con la vita questa mossa filoebraica considerata gravemente colpevole dall’ambiente dei Fratelli Musulmani. La presenza nel Sud del Libano delle basi dell’OLp, da cui partono frequenti attentati nei confronti di Israele, determina la risposta nel giugno 1982 dell’esercito israeliano che avanza fino a Beirut. l’invio di una forza multinazionale di pace da parte di Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna consente l’evacuazione dei combattenti dell’O LP ma non riporta la pace. Alla fine del 1987 i palestinesi dei territori occupati danno vita ad una rivolta (lntifada) contro Israele, che reagisce duramente. Nel dicembre del 1988 Arafat annuncia la fine del terrorismo senza tuttavia l’assenso della componente fondamentalista di Hamas (Movimento della Resistenza islamica), fondato ufficialmente il 14 dicembre 1987 da Ahmed Yassin e che ancora oggi rappresenta l’ala più integralista della compagine palestinese. Il 20 agosto 1993 rappresentanti di Israele e dell’O LP s’incontrano a Osio per un accordo di pace. Il 9 e il 10 settembre successivi, Arafat e Rabin si scambiano lettere di mutuo riconoscimento. Il 13, a Washington, ha luogo la famosa stretta di mano tra Arafat e Rabini quali firmano una Dichiarazione alla presenza di Bill Clinton. Il 4 maggio 1994 Israele e OLP siglano un accordo riguardante la striscia di Gaza e l’area di Gerico. Il 1° luglio Arafat torna in Palestina e il12 stabilisce a Gaza il proprio quartier generale, acclamato da migliaia di palestinesi. 1126 ottobre un trattato di pace viene siglato anche tra Israele e Giordania. Il 4 novembre 1995 Rabin viene assassinato aTei Aviv da un estremista israeliano.
Ai nostri giorni
Il 23 ottobre 1998, alla presenza di Bill Clinton e del re Hussein, Arafat e Netanyahu (eletto primo ministro il 30 maggio 1996, a capo di un governo di destra) siglano l’accordo di Wye River e si impegnano ad adempiere agli accordi precedenti. Sulla stessa linea vi è l’accordo di Sharm el-Sheikh del 5 settembre 1999. Nel frattempo era stato eletto primo ministro il laburista Barak. L’11 luglio 2000 una conferenza a Camp David non porta a risultati soddisfacenti. Alla fine di settembre 2000 il presidente del Likud Sharon si reca in visita alla Spianata delle Moschee, per ribadire la sovranità israeliana sulla zona. Ne segue la cosiddetta “Intifada di Al-Aqsa” che dura tuttora. Il degenerare dei rapporti fra il mondo musulmano e gli Stati Uniti, determinato dall’attentato dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington, determina una recrudescenza dei contrasti anche nel mondo mediorientale fra israeliani e palestinesi ed è ormai storia dei nostri giorni.
I cristiani
In questo contesto intricato e complesso, pochi ricordano il dramma delle comunità cristiane presenti sul territorio palestinese, osteggiate da entrambe le fazioni in quanto considerate dai musulmani troppo filo-occidentali e dagli ebrei comunque palestinesi. Dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, secondo uno studio di Bernard Sa bella (Comparing Palestinian Christians on Society and Politics: Context and Religion in Israel and Palestine), un dato essenziale che caratterizza il cristianesimo palestinese è l’emigrazione, soprattutto fra coloro che hanno un buon livello di istruzione (diploma o laurea) ed un reddito medio o medio-alto. A questo va abbinato il decrescente tasso di natalità sceso al 2,5% circa contro un 7,7% delle donne musulmane nei territori occupati della Palestina (Philippe Fargues, I cristiani arabi dell’Oriente: una prospettiva demografica). Con questi elementi si è passati dal 7,6% del 1946 al 2% di presenza cristiana stimata nel 2000.
IL TIMONE N. 21 – ANNO IV – Settembre/Ottobre 2002 – pag. 18 – 20