Fu un grande apologeta. Ma una ricerca troppo individuale della verità e un carattere non facile lo portarono ad aderire all'eresia montanista.
Uomo dal pensiero originale e di grande efficacia comunicativa. Si è guadagnato una posizione di spicco nella letteratura cristiana antica.
In occasione dell'udienza del 30 maggio 2007, il Santo Padre Benedetto XVI tenne una catechesi dedicata a Tertulliano, uno dei più celebri scrittori cristiani dei primi secoli. Inquadrando la figura di questo grande autore africano, il Papa disse, fra l'altro: «Una ricerca troppo individuale della verità, insieme con le intemperanze del carattere – era un uomo rigoroso – lo condussero gradualmente a lasciare la comunione con la Chiesa e ad aderire alla setta del montanismo. Tuttavia, l'originalità del pensiero unita all'incisiva efficacia del linguaggio gli assicurano una posizione di spicco nella letteratura cristiana antica».
Quinto Settimio Fiorente Tertulliano nacque a Cartagine intorno alla metà del Il secolo e morì, si pensa in età estremamente avanzata, dopo l'anno 220, forse verso il 230. Della sua vita sappiamo molto poco: si presenta come un uomo particolarmente colto, si ritiene che la sua conversione risalga al 193 circa ed alcuni pensano che sia anche diventato prete, per poi, intorno al 207, aderire all'eresia montanista, all'interno della quale potrebbe addirittura aver dato vita a una setta improntata ad idee ancora più estreme di quelle sostenute da Montano. Il montanismo nacque come un movimento di riforma spirituale della Chiesa, fu caratterizzato dall'esaltazione religiosa, dall'attesa dell'imminente ritorno di Cristo che avrebbe costituito il millenario regno della Gerusalemme celeste, dalla fiducia totale nei doni carismatici di cui venivano ritenuti depositari i capi del movimento stesso e dal più radicale ascetismo rigoristico.
Spirito ardente, scrittore eccellente, animo polemico, Tertulliano si spese senza riserve nella lotta contro l'errore, convinto che la verità, da lui fatta pienamente coincidere con il cristianesimo, non tollerasse debolezze e compromessi. Sinceramente pronto al martirio, egli non nascose i propri difetti, ma la certezza di stare dalla parte della vera religione lo spinse a scontrarsi senza esitazioni con i non credenti.
Le numerose opere da lui scritte possono essere divise in vari gruppi.
Ci sono, innanzitutto, gli scritti apologetici, tra i quali spicca il celebre Apologeticum, unanimemente giudicato il suo capolavoro: in esso, forte di una solida preparazione giuridica, l'autore mette l'accento sulle ingiustizie di cui sono vittime i cristiani, rivendica la loro piena correttezza come cittadini e ribadisce con forza che il cristianesimo non è una dottrina fra le tante, ma la verità stessa rivelata da Dio in persona.
Vi sono poi i trattati polemici, diretti contro coloro che si erano allontanati dalla retta dottrina: in essi Tertulliano attacca numerose eresie, facendo ricorso ad argomenti di carattere teologico e giuridico.
Un terzo gruppo di opere comprende gli scritti sulla disciplina, la morale e l'ascesi: tali testi mostrano il progressivo scivolamento di Tertulliano verso il montanismo. Si tratta di lavori in cui egli parla di numerosi argomenti – la preghiera, la penitenza, il matrimonio, la castità, il servizio militare, il digiuno e vari altri ancora -, palesando un rigorismo estremo che lo porta a condannare qualunque forma di contaminazione, reale o presunta, del cristiano con la mentalità e i costumi del mondo.
Tertulliano non fu un filosofo in senso stretto, ma alcune sue convinzioni hanno lasciato una traccia importante anche nella storia del pensiero filosofico. A questo riguardo, alcuni studiosi hanno sostenuto che egli manifestò un atteggiamento duramente critico nei confronti della filosofia stessa, fino a sposare una concezione decisamente antirazionalista. A tale proposito, a molti è nota l'espressione credo quia absurdum, con la quale spesso viene sintetizzata la posizione tertullianea. Tale formula, che non compare negli scritti dell'autore cartaginese ma che può essere, almeno in parte, considerata suggestivamente valida per descrivere il suo pensiero, indica la totale disomogeneità tra fede e ragione ed esprime la convinzione che la verità del messaggio cristiano deve essere creduta e non può essere dimostrata; anzi, essa è da accettare per fede proprio perché appare assurda, insostenibile su di un piano razionale.
A questo riguardo, è stato fatto notare che non casualmente Tertulliano fa riferimento al versetto della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, ove l'Apostolo scrive: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti». Non v'è dubbio che Tertulliano abbia sempre privilegiato la Rivelazione affidata alla Sacra Scrittura, distinguendo con nettezza il cristianesimo dalle filosofie, ritenute madri delle eresie. In effetti, per lui, la critica dei filosofi ha una finalità eminentemente antieretica, in quanto egli ritiene che essi siano gli ispiratori degli eresiarchi. A suo giudizio, al cristiano bastano la Bibbia e la Tradizione: la curiosità intellettuale tipica della speculazione filosofica è vana e dannosa e il cristianesimo non deve essere confuso con la sapienza umana. Tuttavia, un attento esame degli scritti tertullianei mostra che in essi sono presenti molti riferimenti al pensiero pagano e che sono assai vive alcune esigenze metafisiche proprie della religione cristiana, cosa che testimonia la notevole sensibilità culturale del loro autore, il quale però risulta dominato dalla preoccupazione che la nuova fede in Gesù Cristo non venga per nessun motivo assimilata ad altre dottrine e, in particolare, alla gnosi. Riguardo alla questione dell'atteggiamento di Tertulliano nei confronti della ragione e della ricerca filosofica, molto utili risultano le seguenti considerazioni di Antonio Livi: «Egli ha manifestato un grande disprezzo per la filosofia pagana, pur riconoscendo ne molti meriti speculativi, ma ciò non significa che egli disprezzi la ragione: infatti, il suo argomento razionale più frequente è l'appello al "senso comune», sia per quanto riguarda l'intima convinzione che ogni uomo ha della sua libertà e del suo dovere di usarne bene in rapporto a Dio, sia per quanto riguarda la sapienza tramandataci dalle tradizioni popolari; Tertulliano, insomma, oppone una razionalità presuntuosa e aristocratica (propria dei filosofi pagani) ad una razionalità umile e intuitiva (il senso comune), e pertanto non è giusto attribuirgli una propensione al fideismo e all'irrazionalismo».
RICORDA
«Contrapponendo alla "sapienza mondana" la "sapienza della Croce", Tertulliano scrive: "Faccio bene a non vergognarmi [del Vangelo], e la mia è una saggissima stoltezza.
È stato crocifisso il Figlio di Dio? Ebbene, io non mi vergogno di questa verità, proprio perché me ne dovrei vergognare [con un criterio mondano]. È addirittura morto il Figlio di Dio? Ci credo senz'altro, proprio perché appare come una cosa folle. Dopo essere stato sepolto, Egli è risorto? Per me è una cosa assolutamente certa, proprio perché [ai pagani] sembra impossibile" (Sulla carne di Cristo, 5, 3-4). Come si vede, non è una professione di fideismo, ma una sottolineatura (del tutto conforme alla dottrina di san Paolo) del carattere paradossale della verità cristiana, impossibile da accettare senza la grazia della fede; la trascendenza del mistero rivelato non è assurdità, cioè non implica alcuna contraddizione con il senso comune o con altre evidenze razionali. L'interpretazione fideistica di Tertulliano si deve in gran parte a Kierkegaard nel solco della teologia luterana».
(Antonio Livi, Filosofia e senso comune nella teologia dei padri preniceni, «Acta Philosophica», 2 (1993), 1, p. 59, nota 28).
BIBLIOGRAFIA
Tertulliano, Opere apologetiche (Ai martiri – Apologetico Ai pagani – La testimonianza dell'anima – Polemica con gli Ebrei – A Scapula), Città Nuova, Roma 2006. Questo volume, curato da Claudio Moreschini e Pietro Podolak, contiene una vasta introduzione e un'accurata bibliografia, ampiamente sufficienti a orientare chi volesse approfondire la conoscenza di Tertulliano.
Antonio Livi, Filosofia e senso comune nella teologia dei padri preniceni, «Acta Philosophica», 2 (1993), 1, pp. 43-70,
http://www.actaphilosophica.itlpdf/Acta_1993_1.pdf
IL TIMONE N. 81 – ANNO XI – Marzo 2009 – pag. 32 – 33