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11.12.2024

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Tolone, il fuoco della missione
31 Gennaio 2014

Tolone, il fuoco della missione


La diocesi francese è diventata uno dei più interessanti laboratori della “nuova evangelizzazione”, puntando sui movimenti, l’adorazione eucaristica, la cura della liturgia. Una rivoluzione attuata dal vescovo Dominique Rey

Nel giugno dello scorso anno il quotidiano cattolico La Croix ha pubblicato un’interessante mappa delle diocesi francesi, con il numero dei sacerdoti incardinati, il rapporto fra sacerdoti e abitanti e soprattutto il numero di sacerdoti in attività, un aspetto che spesso sfugge alle rilevazioni ma è fondamentale per misurare la presenza della Chiesa sul territorio. Prendendo questo dato balzava agli occhi un’anomalia. Le prime diocesi risultavano, nell’ordine, Parigi (1365 sacerdoti), Strasburgo (490), Lione (391), Nantes (297) e Rennes (284). Città importanti, sedi metropolitane (a parte Nantes) e realtà storicamente strutturate. Al sesto posto, su un totale di 106 diocesi, figurava a sorpresa quella assai meno blasonata di Frejus-Tolone, nel dipartimento di Var, con 225 sacerdoti attivi. Non solo, ma mentre per le prime classificate, a parte Parigi che fa storia a sé, i presbiteri “in pensione” erano di più (Nantes e Rennes) o praticamente pari (Strasburgo e Lione) rispetto a quelli ancora sul campo, a Frejus-Tolone il vantaggio degli ultimi era sensibile.
Tolone, lo si può capire anche da questo particolare, è un “caso” nella Chiesa francese ormai da diversi anni. È la diocesi più dinamica per quanto riguarda quella “nuova evangelizzazione” che altrove è rimasta spesso solo uno slogan. E l’artefice di tutto ciò è il suo vescovo, Dominique Rey. Rey, 61 anni, viene dalla comunità carismatica Emmanuel, nata in Francia nel 1972, e ha un curriculum sui generis. Laureato in economia e commercio, con un dottorato in economia tributaria, ha lavorato per tre anni all’ispettorato generale delle imposte, al Ministero delle finanze, fino alla decisione di entrare in Seminario nel 1979. Dopo l’ordinazione è stato formatore di seminaristi provenenti dall’Emmanuel, parroco a Parigi e rettore del Santuario di Paray-le- Monial. Il suo destino si è incrociato con quello di Joseph Madec, vescovo di Tolone. Costui negli anni ’80 e ’90 aveva tenuto la diocesi lontana dalle ambiguità pastorali del post-Concilio, istituendo tra l’altro un buon Seminario. Prima di diventare emerito, nel 2000, aveva chiesto aiuto all’arcivescovo di Parigi, il cardinale Lustiger, e al nunzio apostolico per trovare un successore che tenesse Tolone su un binario sicuro. E la ricerca era caduta su Rey.
Vescovo a soli 48 anni, Rey si è quindi trasferito dal nord in una bella e ruvida città di mare, famosa per la base navale militare, alle prese con i problemi di tante città portuali, tra cui la massiccia presenza di immigrati. Di fronte a un quadro non facile, nonostante l’onesto lavoro fatto dal suo predecessore, con una vita parrocchiale ridotta al lumicino, Rey ha pensato a una robusta iniezione di ricostituente. Ispirato dall’esperienza vissuta con Emmanuel, ha iniziato a chiamare a Tolone diverse “nuove comunità”, in genere sorte nell’ambito del Rinnovamento carismatico cattolico, in Europa e America Latina, ma non solo. Realtà fresche, fervorose, con la missione nel proprio Dna. Si è mosso in senso opposto rispetto ad altre diocesi, dove perdurava la frizione con i movimenti e dove l’apparato curiale faceva muro all’arrivo di realtà laicali o religiose militanti. Oggi le nuove comunità a Frejus-Tolone sono una cinquantina, dalle brasiliane Recado, Shalom, Canção Nova, Palavra viva, di impronta carismatica, all’Istituto del Verbo Incarnato, nato in Argentina, con il suo ramo femminile, le Serve del Signore e della Vergine di Matarà, alle Carmelitane messaggere dello Spirito Santo, alla fraternità sacerdotale Molokai ecc. E a ognuna di esse è stata affidata una parrocchia.
Le conseguenze di questa scelta si sono fatte sentire nel giro di poco tempo. Innanzitutto, con la ripresa della catechesi a tutti i livelli e la nascita degli apostolati più variegati. Poi con il boom di vocazioni, con un Seminario che oggi conta 70 giovani in formazione, il tutto in una diocesi con 600mila battezzati e in una Chiesa francese dove la media annuale di ordinazioni è di un sacerdote scarso per diocesi. Si tratta di vocazioni che per quattro quinti provengono appunto dalle nuove comunità. «Qualsiasi sia la origine, i futuri preti ricevono la stessa formazione di base» ha spiegato Rey a Le Monde, «li aiutiamo a prendere familiarità con la diocesi, tenendo in considerazione la loro identità e il loro carisma». La vivacità e il carattere internazionale del Seminario gli ha dato un appeal speciale. Il che, ha detto sempre Rey, è un altro vantaggio: «Oggi i giovani scelgono il Seminario come sceglierebbero una Business School, via internet. L’approccio rispecchia quello che sta avvenendo nella società, dove la gente cerca una rete di contatti e uno scambio di esperienze a livello globale».
L’operazione è ambiziosa e delicata, ha bisogno di equilibrio e di apertura da parte di tutti i soggetti coinvolti. Le critiche non sono mancate, alcune non peregrine. Qualcuno ha espresso perplessità per l’arrivo di associazioni o famiglie religiose fin troppo giovani e fragili. Altri hanno fatto notare che affidare le parrocchie a nuove comunità può funzionare in Francia, dove la Chiesa diocesana è sfibrata, ma laddove sopravvive una Chiesa di base ancora robusta certi innesti creerebbero tensioni fortissime. Però ogni Paese, appunto, fa storia a sé. Rey, l’ha fatto presente diverse volte, non ha la presunzione di aver trovato la ricetta ottimale, ma è convinto che di fronte alla perdita di terreno del cattolicesimo non ci si possa arrendere e qualcosa vada fatto o tentato. Anche rompendo schemi o tabù ecclesiali. Basti un esempio piccolo ma eloquente. In un quartiere di Tolone a maggioranza musulmana è stata mandata una comunità di sacerdoti legati al rito antico, in grado di parlare l’arabo e con una formazione ad hoc per quanto riguarda la cultura e la religione islamica. «L’evangelizzazione non vuol dire provocazione – ha commentato Rey, parlando di questa e di altre scelte controcorrente – può essere portata avanti in modo tattico anche solo incontrando la gente. Dagli incontri possono nascere delle domande e qualche volta le domande portano su una via che conduce al battesimo. La cosa importante qui non sono i numeri, ma è che, in una società secolarizzata, dove la presenza cristiana è stata spazzata via, si torni a dare una certa visibilità al cristianesimo. La fede non è solo qualcosa di personale, dovrebbe anche avere una manifestazione pubblica. La Chiesa dev’essere un segno per quelli che ne sono fuori».
Il coinvolgimento di sacerdoti legati alla Tradizione, come nel caso del quartiere islamico, non è un’eccezione. Rey ha aperto le porte anche a loro fin dagli inizi, essendo uno dei non molti vescovi che celebrano la Messa sia col Novus Ordo che col Messale del 1962. Il motu proprio Summorum Pontificum ha trovato a Tolone una ricezione più che favorevole e oggi anche in seminario entrambe le forme del rito romano sono insegnate e usate. L’attenzione alla liturgia e al culto eucaristico è infatti l’altro grande ambito su cui questo vulcanico pastore ha più insistito, tanto da fondare nel 2007 i Missionari della Santissima Eucaristia, un’associazione pubblica clericale di diritto diocesano, che ha per carisma la promozione e l’organizzazione dell’adorazione perpetua. Hanno la loro sede nella cittadina di Sanary e sono presenti anche negli Stati Uniti e in Italia. Su loro iniziativa nel giugno del 2011 si è tenuto a Roma il primo convegno internazionale sull’adorazione eucaristica. «Ho scoperto con maggiore intensità l’adorazione eucaristica quando ero rettore del Santuario di Paray-le-Monial – ha raccontato Rey –, essendo membro della comunità Emmanuel e stando accanto al suo fondatore, Pierre Goursat, che era un fervente adoratore del Santissimo Sacramento, ho sperimentato fino a che punto questa preghiera dava forza alla mia vita spirituale e sacerdotale. Ogni fecondità cristiana è sacrificale. Trova la sua origine nel gesto che Cristo compie nella sua Pasqua e che l’Eucaristia attualizza in ogni celebrazione». Detto in altri termini, termini che non è usuale sentire pronunciare in modo così netto e vibrante da un pastore, «la prima condizione dell’evangelizzazione è l’adorazione», perché «ogni uomo è fatto per adorare, ovvero per riconoscere la signoria di Cristo e, in questo gesto di donazione di se stessi, che implica l’adorazione, donarsi totalmente e definitivamente a Lui».

IL TIMONE N. 127 – ANNO XV – Novembre 2013 – pag. 28 – 29

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