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13.12.2024

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Tra Dio e l’uomo
31 Gennaio 2014

Tra Dio e l’uomo

 

 

 

 

Negli ultimi due numeri de II Timone abbiamo parlato dei due pilastri fondamentali su cui si costruisce ogni discorso religioso: quello di Dio e quello dell’Uomo. Oggi puntiamo la nostra attenzione sul tipo di relazione che viene a costituirsi tra queste due realtà. La stessa parola religione proviene dal latino religare, unire insieme, porre in relazione. Già il fatto che si possa parlare di una qualche relazione è cosa che conforta ogni buon cercatore di verità, in quanto, paradossalmente, potrebbe anche porsi l’ipotesi di un Dio non interessato a stabilire alcun tipo di relazione con l’uomo. Per fortuna nessuna religione del mondo (per lo meno nell’ambito monoteista) ci presenta un Dio disinteressato dell’uomo, e questo non per esaudire un’esigenza di fede quanto piuttosto un’esigenza della ragione: un Dio disinteressato dell’uomo non l’avrebbe nemmeno creato. La primissima relazione che Dio instaura con l’uomo è infatti una relazione creatrice. Non vi è una sola religione monoteista che neghi questo dato.
Dalla Bibbia veniamo però a scoprire un altro dato che non è immediatamente percepibile dalla ragione: la relazione rivelatrice: Dio non solo crea l’uomo e lo conserva nel tempo, ma anche gli si rivela. La Bibbia stessa è storia delle rivelazioni di Dio. La parola rivelare viene da alcuni fatta risalire all’espressione retro velum dare, che in latino significa dare ciò che sta dietro il velo, ossia far conoscere quello che non è immediatamente comprensibile dalla ragione umana, finita e limitata. Per Ebrei e Cristiani, quindi, Dio è un Dio che parla, che si rivela. Quest’irradiazione di luce è dono gratuito di Dio, e non frutto di sforzi o di intuizioni da parte dell’uomo. Il luogo cui questa viene consegnata è la storia, in modo così indissolubile che il racconto stesso degli eventi di rivelazione diventa a sua volta Rivelazione (orale o scritta che sia). La Sacra Scrittura continua quindi nel tempo la Rivelazione di Dio, rendendola accessibile anche alle epoche successive. Mentre nell’Antico Testamento il destinatario di tutto questo è un popolo (da qui nasce l’Ebraismo), nel Nuovo Testamento abbiamo una destinazione universale: tutti gli uomini del mondo, tramite la Chiesa, sono i destinatari della Rivelazione. Il Cristianesimo vede in Gesù Cristo la massima Rivelazione di Dio nella Storia. E con Gesù viene ancora meglio messo a fuoco che la Rivelazione non è una semplice trasmissione di conoscenze alle quali non avremmo mai potuto accedere con la sola ragione. Ma è il manifestarsi della terza relazione che la Persona divina stabilisce con la persona umana: la relazione salvatrice. La Verità è una verità che salva. La storia è storia della salvezza. La scoperta di un Dio che salva è la testimonianza più gioiosa di tutta quanta la Bibbia. E il culmine dell’azione salvifica di Dio nella storia è ancora una volta Gesù Cristo. Conoscerlo equivale a salvarsi.
Solo chi scambia la Fede con una somma di convinzioni religiose (e quest’approccio gravemente limitante è purtroppo molto diffuso) riduce la Bibbia e il Vangelo a una somma di conoscenze trasmesse, o Cristo a un semplice maestro di saggezza. Credere non è un semplice ritener per vero, ma fiducia nel Dio che salva. Se paragonassimo gli uomini a una serie di pesci sfiduciati dalla vita poiché finiti per loro errore su una spiaggia, non diremmo, per esempio, che l’onda che li recupera restituendoli al mare porta ad essi solo una conferma dell’esistenza dell’acqua, ma diremmo che a tutti gli effetti li ha salvati. Cristo è, per i cristiani, quell’onda più lunga delle altre che solcando il deserto dell’esistenza umana restituisce all’oceano dell’Amore del Padre quell’umanità salvata che per diritto di natura gli apparteneva. L’autocomunicazione di Dio all’uomo è dunque una comunicazione redentrice, poiché la Verità rivelata è in ultima analisi Dio stesso, e Dio non è solo luce di Verità, ma amore rigenerante, redenzione di Grazia, azione salvifica dello Spirito.

IL TIMONE – N. 10 – ANNO II – Novembre/Dicembre 2000 – pag. 59

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