Celebrata a Roma, dal cardinale Darfo Castrillon Hoyos una Messa secondo il messale antico, detto di san Pio V.
Presenti diversi cardinali e oltre duemila fedeli. Un segnale importante che speriamo venga raccolto.
Continuano e si moltiplicano i segnali di apertura e di attenzione della Santa Sede verso il mondo dei tradizionalisti: Giovanni Paolo Il vorrebbe sanare la ferita dello scisma lefebvriano del 1988 e fin dal 2000 ha incaricato il cardinale Dario Castrillón Hoyos, colombiano, Prefetto della Congregazione per il clero e presidente della Pontificia commissione “Ecclesia Dei”, di avviare contatti per far rientrare la Fraternità San Pio X nella comunione con Roma. Non è dato di sapere che esito avranno queste trattative, ma è certo che il cardinale ha voluto manifestare la sua vicinanza anche e soprattutto a quei tradizionalisti che già sono in piena comunione con il Papa: per questo, aderendo alla richiesta di vari gruppi e associazioni, Castrill6n lo scorso 24 maggio ha celebrato una Messa secondo il messale antico nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Era dal tempo dell’entrata in vigore del nuovo Orda Missae post-conciliare che un autorevole porporato in carica ai vertici di un importante dicastero vaticano non celebrava secondo quel messale in una Basilica romana. E per l’occasione, Castril16n ha voluto pronunciarsi in modo molto chiaro sulla legittimità di questa liturgia. “Il rito cosiddetto di San Pio V – ha detto durante l’omelia – non si può considerare come estinto e l’autorità del Santo Padre ha espresso la sua benevola accoglienza verso i fedeli che, pur riconoscendo la legittimità del rito romano rinnovato secondo le intenzioni
del Concilio Vaticano II, rimangono legati al precedente rito”. Il cardinale ha quindi ricordato che in una cappella laterale, a pochi metri dall’altare maggiore della Basilica, è conservato e venerato il corpo di San Pio V, il Papa domenicano del quale il messale porta il nome, perché fu lui a stabilire – in un’epoca burrascosa a causa della riforma protestante – che la liturgia celebrata a Roma divenisse quella usata in tutta la Chiesa latina. Castril16n ha spiegato che questa “veneranda forma liturgica” ha alimentato l’infanzia e la giovinezza di Karol Wojtyla, che ha celebrato in questa forma la sua prima Messa da sacerdote e da vescovo. E ha aggiunto: “L’antico rito romano conserva quindi nella Chiesa il suo diritto di cittadinanza nella multiformità dei riti cattolici, sia latini che orientali. Ciò che unisce la diversità di questi riti è la stessa fede nel mistero eucaristico, la cui professione ha sempre assicurato l’unità nella Chiesa, santa, cattolica e apostolica”. Com’è noto nel 1988, con il motu proprio Ecclesia Dei afflicta, Giovanni Paolo II concesse l’indulto invitando i vescovi – ai quali spetta la decisione in merito – a concedere l’uso del messale di San Pio V nell’ultima edizione disponibile, quella del 1962. Lo fece per far sì che, dopo lo scisma di monsignor Lefebvre, i fedeli rimasti legati a quella forma liturgica potessero rimanere nella comunione con Roma.
Purtroppo, nonostante le richieste siano abbastanza rare e i gruppetti che le presentano piuttosto esigui, in molte diocesi i vescovi fanno fatica a concedere l’indulto: non rispondono oppure rispondono negativamente. La Messa di Santa Maria Maggiore aveva anche lo scopo di far vedere che per la Santa Sede questi particolari fedeli non sono di serie “B”. E per giustificare pienamente l’uso del vecchio rito, il cardinale Castrill6n ha utilizzato una citazione presa dai testi del Vaticano Il: “La Santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legalmente riconosciuti e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati”. In realtà, a ben guardare, quella citazione conciliare si riferiva agli altri riti, diversi dal rito romano, come ad esempio il rito ambrosiano, il mozarabico, il bizantino, il siro-malabarese, etc. Va detto infatti che il rito romano in quanto tale è quello attualmente in vigore nell’Ordo Missae e dunque il messale di San Pio V rappresenta soltanto una fase antica dello stesso rito, nonostante tanti siano stati i cambiamenti. Va però aggiunto che l’uso dell’Ordo Missae di San Pio V è stato concesso dal Papa alla comunità dei lefebvriani di Campos, in Brasile, da poco ritornata alla comunione con Roma.
Dunque l’autorità superiore ha nei fatti sancito che quel messale può essere in alcuni specifici casi ancora in vigore.
Nell’omelia, il cardinale ha toccato, seppur indirettamente, il tema delle difficoltà incontrate dai tradizionalisti a causa dei divieti di alcuni vescovi. Lo ha fatto citando il Papa:
“So che siete immensamente grati al Santo Padre – ha detto – per l’invito rivolto ai vescovi di tutto il mondo ‘ad avere una comprensione e un’attenzione pastorale rinnovata per i fedeli legati all’antico rito”‘. Un passaggio interessante dell’omelia di Castril16n è stato quello dedicato alla citazione di Sant’Agostino: “In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas” (” unità nelle cose essenziali, libertà in quelle dubbie, carità in tutto”).
I fedeli riuniti nella Basilica, il 24 maggio, erano circa duemila, provenienti da tutt’Italia e anche dall’estero.
Presenziavano al rito anche alcuni cardinali, come gli americani Bernard Law e William Baum, l’austriaco Alfons Maria Stickler, il cileno Jorge Arturo Medina Estevez. Prima della Messa, è stato recitato il Rosario secondo le intenzioni del Papa (ma non nella nuova forma da lui proposta nella lettera Rosarium Virginis Mariae).
“Il nostro obiettivo è stato quello di ‘sdoganare’ definitivamente quella parte di fedeli cattolici che ha una sensibilità liturgica legata al vecchio rito – ha detto Alessandro Zangrando, presidente della sezione veneziana di “Una Voce”, uno degli organizzatori -. È stata un’occasione per dimostrare una volta di più che il nostro unico obiettivo è quello di conservare un tesoro inestimabile della Chiesa”.
C’è dunque da sperare che in futuro i tradizionalisti siano accolti con maggiore benevolenza, e nonostante alcune rigidità e schematismi di cui spesso sono vittime, siano per lo meno trattati con la stessa apertura con la quale oggi nella Chiesa si guarda ai “fratelli separati” delle altre chiese e confessioni cristiane.
RICORDA
“Infine il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, dichiara che la santa madre Chiesa considera come uguali in diritto e in dignità tutti i riti legittimamente riconosciuti; vuole che in awenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati; desidera infine che, ove sia necessario, siano riveduti integralmente con prudenza nello spirito della sana tradizione e venga loro dato nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo”. (Concilio Vaticano II, Costituzione “Sacrosanctum Concilium”, n. 4).
“È divenuto sempre più percepibile il pauroso impoverimento che si manifesta dove si scaccia la bellezza e ci si assoggetta solo all’utile.
L’esperienza ha mostrato come il ripiegamento sull’unica categoria del ‘comprensibile a tutti’ non ha reso le liturgie davvero più comprensibili, più aperte, ma solo più povere”.
(Cardinale Joseph Ratzinger, in Vittorio Messori, Rapporto sulla fede, Paoline, Cinisello Balsamo 1985, p. 132).
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 12 – 13