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13.12.2024

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Ucraina, il ritorno della guerra fredda
2 Maggio 2014

Ucraina, il ritorno della guerra fredda

 

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Nella grave crisi politica e militare rivive il conflitto tra Ue e Russia, che tradisce il sogno di una «Europa a due polmoni» tanto invocato da Giovanni Paolo II. Ma in questi mesi è emersa anche una inaspettata nota positiva: l’unità della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse a difesa del popolo ucraino e della sua identità nazionale

 

 

La crisi ucraina e le forti tensioni tra Russia da una parte e Unione Europea dall’altra sviluppatesi in questi mesi non possono non fare tornare alla mente una visione dell’Europa tanto cara al santo papa Giovanni Paolo II. Vale a dire quella dell’«Europa a due polmoni», l’Occidente e l’Oriente. Giovanni Paolo II ha cominciato nel 1989 a usare questa espressione che era stata coniata  originalmente dal poeta russo Vjaceslav Ivanov negli anni ’20 dello scorso secolo, per indicare la necessità dell’unità dei cristiani: occidentali e orientali, cattolici e ortodossi. Giovanni Paolo II la riprende e valorizza mentre l’impero sovietico comincia a sgretolarsi e per l’Europa si prospetta uno scenario futuro assolutamente impensabile fino a pochi anni prima. L’immagine dell’«Europa a due polmoni» si riferisce anzitutto al patrimonio spirituale e alla comune fede cristiana che Occidente e Oriente europeo hanno condiviso fino al 1054, anno dello scisma d’Oriente. C’è perciò bisogno di un cammino ecumenico, di una unità vera che però allo stesso tempo può e deve essere l’unico fondamento di una Europa unita anche sul piano politico ed economico. Soltanto un’Europa che riconosca – al di là dei diversi interessi nazionali – una comune radice potrà crescere in pace rifuggendo sia dal modello comunista, miseramente fallito, sia dalla schiavitù del consumismo che sembra aver conquistato i paesi occidentali. Fin qui la visione profetica di Giovanni Paolo II.

Guardando al dramma attuale dell’Ucraina, non si può non notare come invece in questi venti anni abbiano prevalso le vecchie logiche di potenza, o quantomeno quelle della Guerra fredda: con una Russia debole e privata del suo impero, all’indomani del crollo del regime comunista, l’Unione Europea si è rapidamente allargata ad Est, accogliendo paesi finalmente liberati dal giogo del comunismo, ma sempre considerando la Russia un potenziale nemico. In questo modo, l’allargamento a Est non ha avuto il sapore dell’abbraccio a popolazioni e culture per troppo tempo separate da noi, ma piuttosto la preoccupazione di togliere il più in fretta possibile tutte le “armi” che avrebbero potuto favorire la rinascita della minaccia russa. Allo stesso modo, una Russia in ripresa davanti a una Europa incapace anche solo di pensare una politica unica ha cominciato a riguadagnare posizioni, anche militarmente, come ha già fatto in Georgia nel 2008. L’Ucraina, paese dai confini creati a tavolino – con un ovest decisamente affine alla Polonia e un est abitato in gran parte da russi e una Crimea che non si sa come fosse nei suoi confini –, era ampiamente previsto che divenisse il terreno di confronto, per non dire scontro, tra Unione Europea e Russia.

Con lo scoppiare della crisi qualcosa di inaspettato è però avvenuto sul piano delle Chiese cristiane, ovvero l’unità che si è creata attorno al desiderio di appropriarsi di una identità nazionale che si è concretizzata nella protesta del Majdan. Per apprezzare appieno questa novità, bisogna ricordare che l’Ucraina è il paese europeo dove storicamente più forti sono le tensioni interconfessionali. La cristianità è infatti divisa tra la Chiesa greco-cattolica e le tre Chiese ortodosse in cui si è spezzata l’Ortodossia dopo l’indipendenza nel 1992.

Tra greco-cattolici e ortodossi, dopo la separazione nel lontano 1596, non c’è mai stata pace ma le tensioni si sono ulteriormente acuite dopo che nel 1946 Stalin sciolse ufficialmente la Chiesa greco-cattolica trasferendo tutte le sue chiese agli ortodossi. Questi ultimi, d’altra parte, hanno vissuto una dolorosa rottura nel 1992 quando dal Patriarcato di Mosca si sono separate prima la Chiesa del nuovo Patriarcato di Kiev e poi la Chiesa autocefala ucraina. Anche qui le tensioni hanno avuto modo di acuirsi per la contesa sulla proprietà degli edifici sacri.

Tutte queste divisioni e ostilità si sono però miracolosamente ricomposte nell’appoggio alla protesta del Majdan, fatto ancora più rilevante se si considera che nella “Rivoluzione arancione” del 2004 la Chiesa legata al Patriarcato di Mosca, al contrario delle altre, era apertamente a fianco dell’allora governo. In questo caso, invece, fin dall’inizio della protesta, lo scorso dicembre, i preti sono scesi in piazza a sostenere e confortare spiritualmente i manifestanti. Una tenda-cappella è stata dapprima montata dai greco-cattolici, a cui si sono ben presto uniti anche i sacerdoti ortodossi. Tutti insieme hanno mantenuto viva e costante la preghiera, tante le persone che si confessavano, immagini che hanno richiamato alla memoria quelle dei grandi scioperi polacchi nei cantieri di Danzica. Impressionanti anche le immagini e testimonianze di preti cattolici e di monaci ortodossi che, quando sono scoppiati scontri violenti, si sono fisicamente messi in mezzo tra manifestanti e polizia per evitare ulteriori spargimenti di sangue.

Come sottolinea la rivista La Nuova Europa, il fattore di novità maggiore consiste proprio nel cambiamento avvenuto nella Chiesa ortodossa legata al Patriarcato di Mosca, cosa che ha messo in moto una serie di cambiamenti interni: «Proprio nei giorni della vittoria del Majdan, il 24 febbraio, il santo Sinodo della Chiesa ucraina Patriarcato di Mosca ha deciso di eleggere un locum tenens del vecchio metropolita Vladimir molto malato, scegliendo il metropolita Onufrij, uomo di preghiera stimato da tutti. Ma le novità sono andate ben oltre la sua nomina: il Sinodo ha fatto un passo deciso per superare le divisioni istituendo una Commissione speciale per il dialogo con le altre due Chiese ortodosse ucraine», che – se avesse successo – potrebbe cambiare radicalmente la situazione religiosa e sociale del paese.

Malgrado ciò, l’annessione della Crimea ha però fatto sorgere altre preoccupazioni: alcuni sacerdoti cattolici, temendo le rappresaglie dei russi, si sono spostati nella parte occidentale dell’Ucraina e anche la Chiesa ortodossa Patriarcato di Kiev ha espresso il timore di essere bandita dal territorio.

In ogni caso, finora la Chiesa ucraina Patriarcato di Mosca ha continuato a tenere una posizione a difesa dell’indipendenza ucraina. Il “reggente” Onufrij ha anche scritto direttamente al presidente russo Vladimir Putin agli inizi di aprile, quando la minaccia separatista ha investito anche l’Ucraina orientale, chiedendo con forza di rispettare l’integrità territoriale e l’autonomia dell’Ucraina. È una situazione assolutamente nuova che ha messo in imbarazzo anche il Patriarcato di Mosca, preso tra la convinta lealtà al governo russo e la preoccupazione di una divisione interna causata dagli eventi ucraini. Il patriarca Kirill, pur essendo un deciso nazionalista, non ha avallato la campagna di Putin e ha anzi fatto sapere di adoperarsi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. E ha poi fatto rumore l’assenza dello stesso Kirill alla Duma (il parlamento federale russo) per il “grande discorso” di Putin del 17 marzo in cui giustificava l’annessione della Crimea con la difesa della Grande Russia. A rappresentarlo ha mandato l’anziano metropolita Juvenalij (la benedizione del Patriarcato era indispensabile per legittimare la riappropriazione della “terra santa” di Crimea) che però non sedeva neanche in prima fila come avrebbe dovuto da protocollo.

Resta il fatto che, nella grave crisi politica e militare ucraina, l’unico segnale positivo viene proprio dall’unità fin qui vissuta dai cristiani, che può anche far sperare in un futuro superamento della logica della Guerra Fredda.

 

 

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