Il Verbo si è fatto carne, la salvezza e la verità è fra noi.
Ma il Natale è dall’uomo di oggi sentito lontano, estraneo.
La responsabilità di noi cristiani è rieducare l’uomo alla sua umanità, aiutare l’uomo ad aprire il proprio cuore e la propria mente ad un mistero che è la possibilità reale e totale
Risuona ancora una volta, nella nostra coscienza e nel nostro cuore, l’annunzio del Natale cioè dell’inizio Dell’avvenimento cristiano: l’Incarnazione di Dio in Gesù Cristo e la chiamata degli uomini a partecipare alla sua presenza di Redentore. La partecipazione alla sua presenza ci dona la possibilità di essere redenti, ossia strappati al dominio del nulla e consegnati alla grande e quotidiana fecondità della paternità di Dio e della maternità della Chiesa.
Risuona alta, ancora una volta, questa voce, questo annunzio, questa Parola che, da duemila anni, ricorda ad ogni generazione cristiana che il Verbo si è fatto carne e quindi che la vita umana poggia, da allora, sulla roccia sicura della presenza di Cristo e può essere vissuta come il quotidiano ed inesorabile cammino verso il compimento in ciascuno di noi della gloria del Signore crocifisso e risorto.
Certo risuona, ma in che mondo risuona?
Come vive l’uomo alla cui coscienza e al cui cuore la Chiesa rinnova oggi questo annunzio?
Certamente è un uomo non ancora totalmente distrutto nella sua umanità ma, come ricordava san Giovanni Paolo II in un
formidabile discorso del 1980, sicuramente annichilito.
Una vita miserevole
L’uomo è annichilito di fronte alla potenza del male che nasce anche dal cuore dell’uomo, ma più profondamente nasce da quel mistero del male che tenta sistematicamente l’eliminazione della presenza di Cristo e della Chiesa dal mondo.
L’uomo è annichilito dalla terribile conseguenza dell’aver perduto Dio, come diceva Paul Claudel ne L’Annuncio a Maria: si può rinnegare Dio ma allora si comincia a mangiare l’erba amara dello scoglio della noia. L’uomo ha vissuto finora una vita miserevole, anche se consolata dalle grandi possibilità economiche a disposizione di una fascia non ridotta del cosiddetto “Primo Mondo”.
Adesso invece questa vita miserevole, perché innanzitutto priva di senso, di bellezza, di tensione ideale, priva di capacità di sacrificio, priva di esperienza di gioia, è pure assalita da una povertà economica generalizzata, anche nel Primo Mondo, che rende la vita mediocre anche materialmente. È un annunzio di salvezza!
Ma chi, attorno a noi, desidera la salvezza? È un annunzio di verità! Ma chi, attorno a noi, desidera la verità? È un Annunzio di cambiamento totale dell’intelligenza e del cuore. È l’annunzio della nascita di un uomo nuovo che conosce l’origine della propria vita e cammina, quotidianamente e liberamente, verso l’attuazione del suo destino di bellezza, di verità e di giustizia in Cristo.
Ecco, tutto questo è sentito come assolutamente estraneo, lontano, e la tentazione più terribile è di tradurre in termini gnostici, sofistici, mitologici, e quindi tutti dominabili dall’individuo, anche i contenuti fondamentali e trascendenti dell’annunzio cristiano.
Si può certamente, allora, rinnegare Dio, come ha ricordato spesso san Giovanni Paolo II citando padre de Lubac, ma una volta rinnegato Dio si è contemporaneamente rifiutato e rinnegato l’uomo. In questo degrado antropologico, in questa diffusa ottusità, in cui i vizi diventano diritti e le devianze hanno la pretesa di essere la normalità, la violenza diventa il metodo normale dei rapporti, dalle famiglie fino alle società internazionali e mondiali. L’affermazione esclusiva del proprio benessere diventa l’unica molla della vita personale e sociale e la nostra società assomiglia sempre più ad un immenso campo di concentramento brulicante di gente che non sa neppure più comunicarsi all’altro.
Alla luce di tutto questo, noi cristiani dobbiamo essere consci che la nostra responsabilità è assolutamente irrinunciabile, e dobbiamo lavorare perché la prima conseguenza del nostro annunzio natalizio nella vita dell’uomo sia un tentativo di rieducare l’uomo alla propria umanità.
La nostra responsabilità
Se non aiutiamo i nostri fratelli uomini ad accettare la sfida della vita quotidiana, ad accettare la sfida che la vita lancia alla
ragione e al cuore, a rimettersi in moto verso quel destino incombente ed insieme trascendente – che ogni grande cultura
umana ha intuito e che costituisce la sostanza della laicità dell’Occidente – il nostro annunzio non ha un interlocutore adeguato.
Aveva ragione Kierkegaard quando diceva: «si diventa sensibili al cristianesimo, non approfondendo le grandi questioni
cosmologiche o sociali, ma approfondendo il senso della propria personale esistenza».
“Uomo conosci te stesso”, questa è una infrastruttura potente dell’annunzio cristiano. L’annunzio che Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio, secondo la grande intuizione della Patristica, diventa un aiuto all’uomo, nel suo primo formularsi, nel ritrovare il cammino della propria esperienza umana.
Noi non dobbiamo cadere nella tentazione, che si ripete annualmente, di dire questo annunzio in modo meccanico ed ossessivo, o di pensare ad un Natale come al recupero artificioso dei sentimenti della nostra infanzia o dei tempi in cui la religione, la fede, aveva un certo peso nella vita sociale. L’annunzio cristiano oggi va rivissuto nella sua totale essenzialità
come il primo irrinunciabile compito di aiutare l’uomo ad aprire il proprio cuore e la propria mente ad un mistero che, proprio perché è venuto tra noi, è la possibilità reale e totale di cambiamento.
Quanto appena detto è ciò che io ritengo essere il compito della Chiesa oggi: un’evangelizzazione che abbia come primo impatto, nella vita e nella coscienza della persona e quindi della società, il cammino di autentica umanizzazione, come ricordava sempre in maniera profonda ed accorata san Giovanni Paolo II.
Il pericolo grave allora, che incombe su questa responsabilità, non viene da fuori ma dalla nostra debolezza come cristiani. Da fuori viene l’odio cieco e violento per cui 150 milioni di cristiani, in tutto il mondo, vengono minacciati nella loro vita e nelle loro convinzioni, secondo l’agghiacciante documento dal titolo inquietante:
Il Libro nero della condizione dei cristiani nel mondo, pubblicato da un gruppo di settanta uomini di cultura francesi.
Il nemico è forte, certo, ma la forza del nemico si fonda sulla nostra debolezza di cristiani. L’accettare di fatto che il cristianesimo si muova non sul filo dell’umanità integrale, della linea della pienezza della ragione, della grandezza del cuore, della capacità di rischiare – perché la vita è un rischio -; o l’accettare che il cristianesimo corra sul filo dell’emotivismo e si riduca ad emozione; o ancora accettare che vi sia una separazione netta tra fede e ragione, tra fede e cultura: tutto questo è il grande tradimento che tanti cristiani possono compiere nei confronti del Signore Gesù Cristo.
Cristo è venuto al mondo, è stato generato dalla Vergine Maria, ha vagito in una mangiatoia, non perché il mondo ne ricevesse una qualche emozione ma perché fosse provocato a percorrere quella strada che è Via, Verità e Vita. La presenza di Gesù, oggi come allora, si offre all’uomo come la Via, la Verità e la Vita. â–